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La peste per immagini

Come sono state raffigurate le devastanti epidemie del passato.

Sei una peste!”, si usa dire ancora adesso in tono affettuoso ad un bambino troppo esuberante e propenso a combinare guai.

Ma in origine la peste non aveva nulla di bonario: è stata una delle epidemie più terrificanti dell’umanità che nelle sue diverse fasi ha mietuto milioni di vittime, causando un significativo calo demografico tale da modificare il corso della storia.

Presente nel Medio Oriente fin dall’antichità (era annoverata tra le piaghe d’Egitto), in Europa si presenta più tardi e si registrano tre principali ondate pandemiche. La prima è la cosiddetta “Peste di Giustiniano” scoppiata a Costantinopoli a metà del VI secolo d.C. che molto probabilmente segnò la fine dell’impero bizantino e, più in generale, del mondo antico. Il numero di morti fu così elevato che non solo causò una grave crisi economica in quanto le campagne si spopolarono, ma fu responsabile anche dell’indebolimento dell’esercito, aprendo così la strada alle invasioni arabe.

La “Peste nera”, che si diffuse in pieno Medioevo tra il 1346 e il 1353, fu una delle più terribili. Difficile ovviamente fare una conta delle vittime, ma stando ai dati in possesso degli storici, si stima che la popolazione complessiva europea passò da 80 a 30 milioni di persone; la sola Toscana perse oltre il 50% dei suoi abitanti, mentre nella penisola iberica la malattia decimò circa il 65% dei residenti.

Data 1630 la “Peste manzoniana”, così denominata perché raccontata con dovizia di particolari da Alessandro Manzoni ne I Promessi Sposi. Quell’anno la malattia fu particolarmente virulenta nel nord Italia dove fece oltre 1 milione di vittime su una popolazione complessiva di 4 milioni. Va però precisato che l’intero secolo fu testimone di numerosi focolai che si sono propagati in diverse zone del continente, mietendo numeri impressionanti di vite.

Ora sappiamo che la trasmissione della malattia avviene attraverso le pulci che hanno morso un roditore infetto, ma all’epoca le cause erano sconosciute e le pessime condizioni igieniche non facevano altro che rinvigorire i focolai. Mentre i medici del tempo abbracciarono la teoria dei “miasmi”, attribuendo le ragioni a qualcosa di infetto che circolava nell’aria, e giravano bardati con palandrane e inquietanti “becchi” ripieni di essenze aromatiche e paglia imbevuta di aceto nella convinzione di impedire il passaggio del morbo, la credenza comune era che le pestilenze fossero un castigo di Dio per i peccati dell’umanità.

Queste tremende epidemie ebbero pesanti ripercussioni anche sull’aspetto psicologico della gente che doveva assistere attonita ed impotente ad una incontrollata devastazione. L’imprevedibilità e la violenza delle infezioni generarono un diffuso senso di terrore nei confronti della morte che non mancò di influenzare gli artisti del tempo. Abbiamo evidenze sia nella letteratura che nella musica, ma soprattutto nelle arti figurative. La pittura ci offre molte testimonianze del sentimento comune nei confronti di questi autentici flagelli e la morte diventa il soggetto protagonista dell’opera.

Caratteristiche del Medioevo, ai tempi della “Peste nera”, sono le Danze Macabre realizzate dalla seconda metà del 1300 e per buona parte del 1400. Si tratta di affreschi dipinti in luoghi sacri che raffigurano uomini benestanti inframmezzati da scheletri, allineati come per esibirsi insieme in un ballo popolare. Produzioni di questo tipo erano frequenti in Germania, Francia, Polonia, Estonia, Slovenia, Croazia, Svizzera e anche nel nord Italia (famosa quella dell’Oratorio dei Disciplini a Clusone in provincia di Bergamo). La più celebre è stata sicuramente quella di Lubecca, andata purtroppo perduta a seguito di un bombardamento avvenuto durante la II guerra mondiale.



Tema correlato, e ancor più incisivo, è quello del Trionfo della Morte, dove troviamo la personificazione della morte stessa che si impone beffarda sui vivi. Anche questo filone, analogamente alla danza macabra ha un forte intento didattico: quello del memento mori (ricordati che devi morire), un invito a riflettere sulla caducità della vita e sull’inconsistenza dei valori terreni che nulla possono dinanzi alla nera signora.

Un’opera molto significativa del Trionfo della Morte è quella che possiamo ammirare nella Galleria regionale di Palazzo Abatellis a Palermo. Si tratta di un affresco, di autore sconosciuto, che è stato staccato dalla sua sede originale e che sfortunatamente reca i segni di questa operazione mal eseguita. Ciò nonostante la scena non perde nulla della sua potenza drammatica. Al centro domina la Morte, rappresentata da uno scheletro che cavalca un irruente destriero, anch’esso raffigurato nella sua macabra anatomia. Cavallo e cavaliere irrompono con prepotenza in un incantevole giardino dove vari personaggi giovani e ben vestiti si stanno svagando ignari del destino che li attende. La Morte scocca i suoi dardi letali senza pietà colpendo indistintamente gli astanti, incurante della loro posizione sociale, tanto che i potenti, tra cui si può distinguere il Papa, giacciono proprio al centro, sotto al cavallo.

Questo affresco ispirò Pieter Bruegel il Vecchio che più tardi, nel 1562 circa, realizzò una sua versione del Trionfo della Morte, in un famoso quadro conservato al Museo del Prado di Madrid (vedi foto pag. 69). La scena descritta è simile, ma lo stile è quello tipico dell’arte fiamminga, dove ogni spazio viene riempito da oggetti e dove domina la ricerca del dettaglio.
Se l’opera di Palermo è pervasa da un profondo pathos, da un senso di raccapricciante sbigottimento e di orrore, nel dipinto di Brughel, caratterizzato da evidenti tratti caricaturali a rappresentazione delle umane debolezze, prevale il gusto del grottesco tale da sfociare quasi in una garbata ironia.

Di tenore completamente diverso è La Peste di Azoth, capolavoro di Nicolas Poussin del 1631, custodito al Louvre di Parigi (vedi foto pag. 71). L’opera, che vide la luce durante la “peste manzoniana”, racconta una storia dell'Antico Testamento quando la città di Azoth fu colpita da una pestilenza per essersi resa colpevole di aver sottratto l'Arca dell'Alleanza agli Israeliti.
Sullo sfondo di un tempio in rovina è ritratta una folla terrorizzata.
Qui la morte non è personificata, ma non per questo la scena è meno drammatica: la paura e la disperazione che leggiamo sui volti delle persone, enfatizzata anche grazie all’abilità dell’artista nella gestione dei chiaroscuri, sono davvero impressionanti.



Concludiamo con un accenno di come l’arte fu influenzata anche dalla fine delle pestilenze. Il XVII e XVIII secolo videro, infatti, la fioritura delle cosiddette “colonne della peste”, monumenti votivi sormontati da una statua della Vergine Maria o da altri simboli religiosi, erette a ringraziamento per la fine dell’epidemia. Sorsero un po’ in tutta Europa, soprattutto nei Paesi a Nord e a Est delle Alpi, come pure in Italia.
Tra le più famose quelle in stile barocco di Vienna e di Olomouc, nella Repubblica Ceca, annoverata tra i siti patrimonio mondiale UNESCO.
 
Raffaella Segantin

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