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Oggi parliamo di suicidio assistito

Un tema estremamente delicato e divisivo che tuttavia non può essere trascurato.

Oggi parliamo di suicidio assistito” è il titolo del Convegno organizzato da SO.CREM Bologna sabato 16 novembre 2024 presso la sede AVIS - Casa dei donatori di sangue.

Un evento che è riuscito ad andare oltre le differenze ideologiche, parlando del tema da molteplici punti di vista: normativo, sociologico, antropologico, teologico e comportamentale, con squarci sullo stato dell’arte nei Paesi in cui questa pratica è già normata.
Per la vastità delle relazioni, sarebbe pressoché impossibile illustrare tutti i contenuti, quindi ho scelto di focalizzarmi sulle informazioni nuove, emerse nel corso del dibattito, e su quelle ancora poco conosciute o su cui esiste una diffusa disinformazione.

Tra sentenze e lungaggini burocratiche

È risaputo che, in Italia, esiste una legge che condanna chiunque aiuti una persona a togliersi la vita. Non è invece altrettanto conosciuta la Sentenza n. 242 del 2019 della Corte Costituzionale che ha posto quattro condizioni in cui è ammissibile e non più penalmente perseguibile l’adozione del suicidio medicalmente assistito, ovvero: una persona che sia "(a) affetta da una patologia irreversibile e (b) fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili, la quale sia (c) tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma resti (d) capace di prendere decisioni libere e consapevoli".
Nonostante questa sentenza, Laura Santi (la consigliera dell’Associazione Luca Coscioni che ha ottenuto il nullaosta a ricorrere al suicidio medicalmente assistito in Italia) ha impiegato due anni solo per ottenere l’accesso alla verifica delle quattro condizioni poste dalla Corte Costituzionale. Oltretutto, non c’è riuscita da sola. Pur essendo in possesso dei quattro requisiti e avendo più volte cercato di ottenere la verifica, si è dovuta rivolgere agli avvocati dell’Associazione per sbloccare la situazione. Ovviamente, non tutti i malati hanno la possibilità di attendere così a lungo e ancora meno sono coloro che conoscono i propri diritti sanitari in maniera così approfondita da poterli esercitare.

Due buone leggi, ancora poco conosciute

E a proposito di leggi mal applicate e mal conosciute, il convegno è stato anche l’occasione per riparlare di due “buone leggi”: la Legge 22 dicembre 2017, n. 219 - “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento” e la Legge 15 marzo 2010, n. 38, “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”.
La prima è una legge sull’autodeterminazione del malato, che può scegliere quali trattamenti medici iniziare, quali continuare e quali interrompere. Può scegliere quando è capace di intendere e volere, grazie al consenso medico informato e alla pianificazione condivisa delle cure, ma anche se si trovasse privo di coscienza, grazie alle DAT - Disposizioni Anticipate di Trattamento (ex testamento biologico).
Nonostante la norma sia arrivata grazie a una forte spinta della popolazione, da quando è in vigore sono ancora pochissime le DAT depositate: solo 231,226 su una popolazione maggiorenne che supera i 44 milioni.
L’offerta di cure palliative e di terapie del dolore continua invece ad essere inefficiente e mal distribuita a livello nazionale, con ancora una grande differenza tra Nord e Sud. Una differenza che, di fronte al dolore dei malati, non può e non deve esistere.

Una legge in pericolo?

In questo quadro poco rincuorante, si inserisce il disegno di legge “Gasparri” (S. n. 1083, XIX legislatura, “Modifiche all’articolo 580 del codice penale e modifiche alla legge 22 dicembre 2017, n. 219, in materia di disposizioni anticipate di trattamento e prestazione delle cure palliative”), che vorrebbe introdurre l’obiezione di coscienza per il personale medico e propone che l’idratazione artificiale e la nutrizione forzata non siano considerati trattamenti medico-sanitari.
Una proposta che dimostra quanto poco questa legge sia conosciuta, anche dalla classe politica: la Legge 219 si basa infatti sull’autodeterminazione del malato e sul principio dell’habeas corpus, per cui la libertà personale è inviolabile e il medico non corre alcun rischio giuridico nell’applicarla, quindi non ha senso prevedere l’obiezione di coscienza. Inoltre, l’idratazione artificiale e la nutrizione forzata sono chiaramente indicati come trattamenti sanitari in tutta la letteratura medico-scientifica, per cui non si ravvede il motivo per cui la legge dovrebbe andare contro a ciò che la medicina stessa dichiara.

Tornando al tema del suicidio assistito

Di grande interesse i dati presentati dalle ricerche sociologiche svolte sul tema dai professori dell’Università di Bologna, che hanno dato un apporto scientifico incredibile al convegno.
Dalle ricerche condotte sul tema è infatti emerso che, nei Paesi in cui è stato introdotto il suicidio medicalmente assistito e/o l’eutanasia:
  • Non si riscontrano differenze di genere: accedono a queste pratiche tanto gli uomini quanto le donne.
  • È una strada scelta in massima parte da persone adulte, e in minima parte da giovani e da anziani, affette da malattie oncologiche (la SLA risulta marginale, anche perché è molto meno diffusa delle malattie oncologiche).
  • Non si riscontra un calo nel numero di suicidi volontari: i suicidi assistiti si sono aggiunti ai suicidi volontari, non li hanno sostituiti.
  • Le persone che pensano al suicidio assistito non contemplano l’idea di togliersi la vita da soli: il suicidio volontario non è considerato una forma di buona morte, è visto come un atto di disperazione ed è fortemente condizionato dal forte senso di solitudine e di isolamento (che nel suicidio medicalmente assistito non c’è) e dalla famigliarità all’utilizzo di armi o di mezzi letali (che non serve nella sua variante assistita).
  • L’eutanasia è moralmente più accettata del suicidio assistito; le leggi dedicate a quest’ultimo sono tollerate, ma disapprovate dalla morale comune.

Infine, un dato su cui lavorare 

Nel corso del convegno, è emerso che in Italia, nella scheda delle cause di morte, non compare il suicidio medicalmente assistito o l’eutanasia. Nell’immediato, questo non rappresenta un problema, visto che in Italia solo otto persone hanno ottenuto la verifica delle condizioni poste dalla Corte Costituzionale. In futuro, però, se i casi di suicidio assistito dovessero aumentare, mancherebbero dati socialmente rilevanti che potrebbero far luce su quali tipi di persone scelgono questa pratica. Ad esempio: influisce la classe sociale di appartenenza? Il grado di istruzione? C’è una correlazione con alcune patologie più che con altre? Se non viene inserito un campo dedicato al suicidio medicalmente assistito e uno per l’eutanasia, queste domande rimarranno senza risposta.
I relatori del convegno:
  1. Iole Benetello, Avvocato coordinatrice Cellula Coscioni Bologna.
  2. Felicetta Maltese, Coordinatrice Cellula Coscioni Firenze, attivista e disubbidiente civile.
  3. Asher Daniel Colombo, Professore Ordinario all’Alma Mater Università di Bologna, Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali.
  4. Niccolò Martini, Laureato magistrale in Antropologia Culturale ed Etnologia, specializzato nell’ambito dell’antropologia medica.
  5. Stefano Canestrari, Professore Ordinario all’Alma Mater Università di Bologna, Dipartimento di Scienze Giuridiche. Membro del Comitato Nazionale per la Bioetica.
  6. Fiorenzo Facchini, Professore Emerito di Antropologia all’Università di Bologna, Sacerdote dell’arcidiocesi di Bologna e consulente ecclesiastico dell’Associazione Medici Cattolici di Bologna.
  7. Francesco Campione, Tanatologo, Psicologo clinico, Presidente dell’Associazione Rivivere e della Clinica della Crisi. Membro Fondatore e Presidente dell’International Association of Thanatology and Suicidology.
 
Alice Spiga (direttrice SO.CREM Bologna)

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