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Suicidio assistito e eutanasia

Venticinque anni dopo, facciamo il punto sui Paesi che legalizzano queste procedure e analizziamo la situazione in Italia.

Poco più di un anno fa, a settembre del 2022, nella sua casa di Rolle, circondato dallo scenario fiabesco che caratterizza la sponda nordoccidentale del Lago di Ginevra, moriva Jean-Luc Godard.

A provocare la morte del regista 91enne era stata una procedura legalizzata ormai da molti anni in Svizzera: il suicidio assistito.
Ai giornalisti che lo interrogavano sui motivi di questa scelta, un familiare del grande cineasta francese rispondeva: “Non era malato; era semplicemente esausto”. Quello di Godard non è un caso isolato.

Ad oggi, nel mondo, sono dodici i Paesi che hanno introdotto norme che consentono una o più forme di morte medicalmente assistita, che vanno dal suicidio assistito all’eutanasia. Otto sono in Europa. La prima è stata proprio la Svizzera, dove norme che depenalizzavano il suicidio assistito furono introdotte, in un clima completamente diverso, addirittura nel 1942. Ma lasciando da parte una realtà estranea a noi contemporanei, è al 1998 che dobbiamo guardare. In quell’anno vengono aperte le prime “cliniche del suicidio” non solo ai cittadini svizzeri, ma anche agli stranieri.
Se parliamo di Europa, alla Svizzera sono seguiti il Belgio (dal 2002), i Paesi Bassi (dal 2011, ma preceduto da oltre un decennio di depenalizzazione di fatto), il Lussemburgo (dal 2009), la Germania (dal 2015), la Spagna (dal 2021) e infine l’Austria (dal 2022). Fuori dal nostro continente troviamo, poi, tre Paesi nelle Americhe: la Colombia (dal 1997), il Canada (dal 2016), parte degli Usa (il primo stato ha legiferato in tal senso nel 1994). Infine due si trovano in Oceania: parte dell’Australia (il primo stato ha approvato la legge nel 2017) e la Nuova Zelanda (2019). In realtà però, se invece che i “Paesi” consideriamo gli “Stati”, il numero sale ancora perché negli Usa sono 11 gli States che hanno approvato leggi che consentono il suicidio assistito: Oregon - il primo a introdurre la legalizzazione nel 1998, California, Washington, Vermont, Colorado, District of Columbia, New Jersey, Hawaii, Maine, New Mexico, Montana, mentre in Australia sono tre (Victoria, Western Australia, Tasmania).

Come è noto, per via indiretta, anche l’Italia si è in un certo senso aggregata al gruppo di Paesi menzionato. Il 25 settembre 2019 la Corte Costituzionale si esprimeva sul processo nei confronti di Marco Cappato, leader di un’associazione impegnata a favore dell’introduzione in Italia dell’eutanasia legale. L’accusa si basava sull’aiuto fornito dall’attivista a Fabiano Antoniani, noto come DJ Fabo che, in seguito a un incidente stradale, era rimasto tetraplegico e non vedente. Nel 2017 Cappato lo aveva materialmente accompagnato da Milano alla clinica Dignitas di Zurigo, dove DJ Fabo aveva potuto accedere alla morte medicalmente assistita, non disponibile in Italia.
La sentenza della Corte riguardava l’articolo 580 del codice penale relativo al cosiddetto omicidio del consenziente che punisce con pene comprese tra i 5 e i 12 anni l’istigazione o l’aiuto al suicidio.
La Corte indicava quattro criteri che escludevano la punibilità: che la patologia dovesse essere irreversibile, che dovesse essere causa di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili, che il paziente vivesse solo ed esclusivamente grazie a trattamenti o apparati di sostegno vitale senza i quali non sopravviverebbe, che lo stesso paziente fosse in grado di prendere una decisione autonoma, libera e consapevole. La Corte concludeva auspicando un indispensabile intervento del legislatore che tenesse conto dei paletti indicati. Intervento che non è finora arrivato. Ma dove invece i parlamenti hanno introdotto norme che consentono la morte medicalmente assistita, cosa è successo? I dati sono reperibili solo per alcuni Paesi, ma mettendoli in fila mostrano alcune tendenze di fondo ben identificabili.

Tendenze in crescita

La prima tendenza rivelata dal grafico riprodotto in queste pagine, è che non esiste una sola strada. A emergere è un vero e proprio dualismo nel ricorso alla morte medicalmente assistita, che oppone i Paesi europei da una parte, gli Usa dall’altra. I valori dei primi, infatti, sono sistematicamente di gran lunga superiori a quelli dei secondi. Ma quello su cui ci concentreremo è l’analisi della seconda tendenza, altrettanto se non più visibile, ovvero quella della crescita costante.

In quasi tutti i Paesi in cui qualche forma di morte medicalmente assistita è stata introdotta, con qualche eccezione, i numeri sono cresciuti negli anni. Certo il 2020 è stato un anno di interruzione della crescita, ma la spiegazione è tutta da addebitare alla pandemia, come mostra il rimbalzo l’anno seguente. La crescita del ricorso alla morte assistita, insomma, è continua nel tempo. Eppure, dopo avere seguito una traiettoria lineare nei primi anni successivi alla legalizzazione, ha accelerato progressivamente (con la parziale eccezione del Belgio). Questo andamento suggerisce che, dopo un primo periodo di assestamento, le morti medicalmente assistite sono soggette a una tendenza ad accelerare la loro diffusione. Il caso estremo sembra essere quello canadese. In nessun Paese l’incremento del ricorso alle morti medicalmente assistite è stato così travolgente come in Canada.

Le cause dell’accelerazione

A cosa possiamo imputare queste differenze e questa crescita così accelerata?
È difficile rispondere a questa domanda, ma due fattori sono chiaramente all’opera. Il primo chiama in causa trasformazioni culturali di medio periodo. Negli ultimi decenni del Novecento, infatti, fra l’opinione pubblica dei diversi Paesi occidentali si è progressivamente fatta strada una disponibilità crescente ad accettare suicidio assistito e eutanasia. La proporzione di persone favorevoli a una di queste due procedure, o a entrambe, è costantemente cresciuta a partire dal secondo dopoguerra. È vero che le indagini di opinione pubblica ci mostrano che nei primi due decenni del nuovo secolo, in molti Paesi, questa quota ha raggiunto un tetto e ha cessato di aumentare, ma ormai la maggioranza delle opinioni pubbliche di molti Paesi occidentali si dichiara favorevole alle morti medicalmente assistite, specialmente se si tratta di porre fine a sofferenze insostenibili. Decisamente meno forte è, invece, il consenso, soprattutto nei Paesi dell’Europa mediterranea, a considerare suicidio assistito e eutanasia una scelta individuale.

In secondo luogo, anche se permangono forti differenze fra Paesi, nel corso degli ultimi decenni è fortemente aumentata la proporzione di medici favorevoli alla sospensione o mancata attivazione di cure in grado di prolungare l’agonia senza dare speranza di miglioramento o guarigione. Ciò accade ovviamente perché la mentalità dei medici muta assieme a quella dell’opinione pubblica, ma c’è anche un altro motivo. Negli ultimi decenni, la speranza di vita si è straordinariamente allungata, soprattutto nell’ultimo tratto di vita. In conseguenza di questo allungamento, però, parte di questi nuovi anni di vita sono vissuti da molti in cattive condizioni di salute. Decisioni sul fine-vita diventano, quindi, sempre più ineludibili, in virtù della crescente disponibilità di tecniche progressivamente più sofisticate, in grado di allungare i tempi della sopravvivenza senza però incrementare le speranze di miglioramento o guarigione. È in questo spazio che si snoda la strada stretta, e inesplorata, lungo la quale noi cittadini dei Paesi a sviluppo avanzato stiamo procedendo. Tenere conto delle esperienze accumulate da chi si è già incamminato appare un ragionevole punto di partenza.
 
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