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VENTISETTE ANNI IN UNA NOTTE

Che fosse un uomo eccezionale si intuiva dallo sguardo, dal gesto lento e misurato, da quel dire calibrato con toni poco clericali, diretti, energici, quasi normali. Si intuiva, trasudava, per fortuna, meno male. Mi è sempre piaciuto!

L'uomo è morto soffrendo lentamente, con dignità e di certo con molto rammarico perché sapeva bene di avere ancora molte altre cose da fare. Unico fra i tanti potenti della Terra a predicare, sempre e apertamente, concordia e pace, a bacchettare i pezzi grossi e gli arroganti, primo fra gli eredi di Pietro a domandare umilmente perdono per le violenze dell'uomo nel nome di un Dio e di una Chiesa che, col Vangelo, avevano ben poco a che spartire, unico fra i tanti a parlare senza sosta d'amore.

Immenso messaggero di riconciliazione, non avrebbe dovuto morire mai. Vi è sempre una umana vergogna da sanare sul suolo buono di questa stupenda Madre Terra. In questi ultimi ventisette anni di storia sono stati veramente in pochi a comprendere tale necessità e, soprattutto, a volerla mettere in pratica. Gli altri spuntano e decadono, mutano i loro volti, vengono riassorbiti dalla storia, ma sempre giocano a Monopoli e Risiko, privilegiando i missili, dichiarando impettiti e convinti che sia democrazia, scomodando spesso il nome del loro Dio.

Era un uomo eccezionale. Per anni l'ho seguito ad ogni telegiornale, quando si accennava velocemente a lui mentre scorreva l'immagine d'un bagno di folla esotica, tra statistiche e notizie sul chilometraggio dell'ultimo viaggio, poche frasi rubate al tempo, minuti di tipici canti e di danze tribali, sterili informazioni sulla durata degli incontri. È stato così per anni. Contenuti pochi, troppo brevi i commenti per dare la giusta dimensione umana, celeste e terrestre degli intenti immensi. Molto più risalto è stato dedicato ai tradimenti di Carlo e Diana: l'audience non fa sconti e la gente si distrae e si addomestica più facilmente con notizie davvero poco importanti per le sorti del Mondo. L'uomo è morto, il Santo Padre è morto e il miracolo s' è compiuto, l'uomo è risorto, già il primo di aprile. Non si trattava di uno scherzo, eppure era fin da allora risorto nella furibonda, contestabile gara mediatica delle reti televisive che, ancor prima del trapasso, si sono superate parlando già al passato e riproponendo i passi più coinvolgenti del pontificato. È risorto nella commozione vera e sincera di chi sapeva, sentiva, intuiva, astutamente vampirizzata dalle telecamere avide di volti commossi e lacrime vere.

È risorto in una cascata di informazioni mescolate frettolosamente, in una beatificazione a colpi d'immagini di repertorio. È risorto nelle trasmissioni di attualità, manna dal cielo per i nostri prodi e astuti conduttori di dibattiti e di tavole rotonde. Grandiosi tuttologi, impeccabili mediatori, infaticabili direttori d'orchestra di ogni notizia che possa incollarci alla loro rivista. È risorto prima ancora che fosse morto.

Non mi è piaciuto lo spettacolo, ma nello stesso tempo forse non è stato male. Per superarsi nel fare audience si è detto molto di un uomo che ha fatto il nostro tempo, caparbiamente, disperatamente. Si è detto tantissimo, compresso in poche ore, molto di più di quanto prima si era solo accennato. Ventisette anni di pontificato concentrati in una lunga notte di mitragliante, commovente, impressionante sequenza di immagini e di parole che adesso, finalmente, si conoscono, distribuite a tutti, in modo semplice e comprensibile. Evviva l'audience se qualche volta serve a penetrare le coscienze, ad allargare gli orizzonti della gente. Peccato che non durerà, c' è ancora molto da dire su quel Santo Padre, molto da dire che ancora non si conosce. Le elezioni, le percentuali d'affluenza, il prezzo del greggio, altre notizie. Il nuovo pane per cronisti e giornalisti ci allontanerà dal mistero, dalla magia della vita; da una planetaria sete d'altro, di concordia, di pace e di verità.

Il giorno dopo l'uomo è morto veramente. Non ho visto alcun cronista farsi il segno della croce. Mi è parso freddo e strano. Ancora oggi non so come si pronuncia giustamente il suo cognome polacco. Nessuno di quelli che per anni l'aveva criticato ha osato dire; tacere conviene un certi casi, non mi è sfuggito l'umano, scaltro particolare.

Noi ora siamo davvero tutti un po' più soli, più preoccupati, noi uomini piccoli e semplici, ininfluenti esseri ancora vivi; chi ci difenderà adesso contro le troppe follie di una inarrestabile crudeltà latente del genere umano? Voglio esternare un velato appello, quasi una preghiera. Fate tesoro dei suoi modi fermi ma pacati, dei gesti lenti ma potenti, di quel modo di dire, di comunicare veramente. E adottatelo. È un invito ai politici, ai freddi, litigiosi, altezzosi, schiamazzanti uomini di governo, così esperti con parole altisonanti, ma così immensamente lontani dai problemi veri del Mondo e soprattutto dalla gente, massa che medita e ragiona, ma che, stanca e confusa, delusa, rassegnata e diffidente, subisce.

L'uomo, il più potente, sapeva parlare ai giovani, farsi capire e amare, sapeva accarezzare un uomo sofferente, prendere tra le braccia e stringere una sconosciuta creatura molto ammalata, pregare, cantare, mescolarsi con tutte le culture, parlare, presentarsi umilmente salutando in dialetti di altre lingue. Si intuiva, trasudava, che lo facesse con intimo piacere, non solo nel nome di una Chiesa romana e di un Dio universale. L'uomo ha ammonito, ha ricordato la bellezza del disegno di un Dio, quadro e scultura di nome "pianeta Terra", ha sempre parlato di amore, di giustizia, di uguaglianza, ha sempre condannato la guerra. Non vi è davvero nulla di più importante, lo ha fatto ovunque, troppo spesso inascoltato. Qualche volta ha vinto.

Invito chi decide sul destino di troppi miliardi di umili esseri umani a fare altrettanto. Che bello sarebbe! Che grande eredità! Che splendida utopia!

I giovani di tutto il mondo avrebbero non uno, ma cento, mille santi padri ai quali guardare con fiducia, con ammirazione, con ragionata speranza; e noi ci sentiremmo meno burattini, adoperati, incanalati, sedotti e abbandonati. Il nostro Dio, o chi per lui, non se la prenderebbe certo a male. Ma chi è il nostro nuovo Dio, di noi, presuntuosi, ricchi, aggressivi, insaziabili figli del padre progresso, nipoti del prodotto interno lordo, filistei, manichei, agnostici, devoti seguaci del telegiornale? Ci rifletto da tempo e ciò che sento dentro mi fa male. Ho scritto di quell'uomo nel mio ultimo libro, parlando di lui come sola parola di luce. Non avrebbe dovuto, non avrebbe voluto morire mai: c' è ancora troppo di buono da salvare dalla misteriosa crudeltà latente del genere umano.

Il Papa polacco è morto e mi dispiace per il Mondo: era un uomo eccezionale, si intuiva dallo sguardo, dal gesto lento e misurato, da quel dire calibrato con toni poco clericali, diretti, energici, quasi normali. Si intuiva, trasudava, per fortuna, meno male. Dopo uno sparo letale, ma deviato, dopo ventisette anni di pontificato poco gradito a chi si nutre del male, in una sola notte è risorto. Glorificato, osannato, sulle prime pagine di tutti i quotidiani, magnificato su mille reti nazionali, per ore e ore, tutto in una sola notte; eppure non era ancora morto! La gente semplice, buona e comune, già aveva capito: sono partiti in tanti per andarlo a salutare.

Che Dio, o chi per lui, abbia misericordia di noi.

 
Carlo Mariano Sartoris


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