- n. 7/8 - Luglio/Agosto 2011
- In ricordo di...
La scomparsa di Peter Falk
Il tenente Colombo
è volato via:
adesso gli toccherà
risolvere il suo ultimo caso
Peter Falk ha spento i propri riflettori sul palcoscenico della vita; gli amanti dell’arte della recitazione devono arrendersi alle pretese del tempo e piangere la perdita di una figura che mi piace definire unica e irripetibile per quelle caratteristiche che rendono insostituibili un gesto, una espressione, un volto.
Peter Falk, un volto noto a tutti per la quantità di astuti assassini smascherati con la sorniona sagacia e con i collaudati metodi del tenente Colombo, è stato anche altro. Era un attore vero che ricordo in tante parti di film di altri tempi. Pellicole anni ‘70, storie eleganti e lui, quasi mai legato al ruolo di protagonista, artista di grande presenza e di vitale recitazione in quei ruoli da “also starring” che, alla fine della storia, fanno la differenza. Uno su tutti: chi non ha mai visto “Angeli con la pistola” trovi adesso l’occasione per farlo. Potrà godere dell’interpretazione di un giovane Peter Falk in una commedia che non sarebbe così perfetta senza quella gestualità, quell’espressività del volto e quella simpatia che non voglio raccontare oltre, per incuriosirvi e per obbligarvi a riviverlo nella parte di Carmelo, bandito buono in una storia di “bulli e pupe” in cui la protagonista forse è una mela.
Da un punto di vista cinematografico è stato un attore a tutto tondo, forse proprio perché volto quasi comune, impegnato in molti ruoli, talvolta fantastici, altre volte drammatici, ma spesso legati a commedie in cui, sebbene originario dell’Europa dell’est, ha ricoperto simpatiche parti di un estroverso italo- americano. Altra cosa è il personaggio televisivo che lo ha visto inimitabile protagonista: quel tenente Colombo che, nonostante venga puntualmente riproposto sul piccolo schermo, non stanca mai e questo non è certamente frutto del caso. Credo, nel corso degli anni e delle tante repliche, di avere seguito molte puntate della serie e quando la pattumiera televisiva dei nostri 1000 canali ormai non offre di meglio, non disdegno di rivederlo ancora. La trama è scontata, ma lo reputo comunque un soggetto di ottimo livello: ne adoro la regia precisa e attenta ai particolari, amo l’azione che si sviluppa senza fretta, mi piace l’eleganza del dialogo ricercato, sempre di buona maniera, mai sboccato e ottimamente doppiato, e infine apprezzo quel momento del giallo americano anni ‘60 e ‘70 che ha fatto scuola anche in letteratura. Non disdegno di rivedere qualche episodio anche se so come andrà a finire. Mi stupisco a seguirne la storia senza noia, ravvisando puntualmente piccole sfumature; perle di sceneggiatura e di impeccabile interpretazione e, poi, la stesura del soggetto, pronosticabile, sempre costruita sulla medesima impalcatura, in modo da duettare con lo schermo, dando indizi e tempo al telespettatore per formulare le proprie ipotesi e per svolgere le proprie indagini: ciò che dovrebbe essere il vero ruolo dell’intrattenimento. Da modesto scrittore di romanzi e di copioni, non posso che apprezzare l’astuta preparazione di un pathos quasi mansueto, segnato non dagli spari, ma da un duello di acute intelligenze dall’esito scontato ma non per questo noioso.
Peter Falk, alias tenente Colombo, è stato per anni fedele ai propri dettagli: una Peugeot 403, la vecchia cabriolet malandata, raggrinzita come il leggendario impermeabile, sempre lo stesso, al pari della medesima cravatta, il sigaro, il cane, l’impalpabile figura della moglie che, con abile regia, si porta a dubitare della sua stessa esistenza fino a quando, non rammento in quale episodio, eccezionalmente telefona, azzerando il dubbio con un minuscolo, impeccabile colpo di teatro. È un telefilm ben fatto e il suo protagonista sopravviverà nel gradimento anche per questo. Ciò che per sempre resterà di Peter Falk, nell’immaginario collettivo, sarà sicuramente il funzionario trasandato e intelligente. È il destino dei progetti ben riusciti, dei personaggi che stuzzicano l’inventiva, che trasportano dentro alla storia e che convivono con lo spettatore senza mai infastidire o voler stupire con inutili esagerazioni. Sono copioni oggi sempre più rari. In pochi anni troppo è cambiato di quello che sgorga dal video, non tanto in ciò che la televisione offre, quanto piuttosto in ciò che il telespettatore accoglie, oppure e ancora peggio desidera vedere. Come tante altre cose, la televisione rappresenta un libro di storia che racconta quello che siamo adesso, ma non solo. È un oggetto che condiziona la vita, potenzialmente buono quanto devastante: trasmette messaggi e opinioni, condivide emozioni, indigna, commuove, diverte e spaventa, condiziona il pensiero, è un esempio costante, suggestiona la gente.
In pochi anni il poliziesco è cambiato e il nostro Peter Falk alle nuove generazioni potrà apparire come un dinosauro quasi buonista; ma non c’è da stare allegri con quello che all’ora di cena ci sorbettiamo adesso: sangue, omicidi seriali, sequestri, violenze sessuali, centinaia di spari, il tutto in un decadente scenario dove l’ingiuria, il sesso estremo, l’urlo, il terrore, la musica inquietante e lo spessore della crudeltà sono indispensabili ingredienti per sfamare le menti contorte di ciò che siamo diventati. Non è questione di perbenismo, ma solamente di stile che, spesse volte, si riflette dallo schermo ai comportamenti di massa. Sono parole ispirate da un personaggio piacevole che ha lasciato un buon ricordo fatto di finzione. La realtà è che anch’egli in questo momento sarà alle prese con un caso molto discusso, ma che, in verità, nessuno fino a oggi è riuscito a risolvere: chi è l’artefice della complessa trama in cui si dibatte la crudeltà assassina del genere umano? Mi piace immaginarlo a provarci, astuto e sornione.
Carlo Mariano Sartoris