- n. 6 - Settembre/Ottobre 2024
- Orme
Suicidi assistiti: facciamo il punto
Un’accettazione crescente ma condizionata. In Italia la quota di favorevoli aumentata di +2,8 punti.
In un articolo pubblicato sul numero 1/2024 di Orme avevamo affrontato il tema della legalizzazione del suicidio assistito e dell’eutanasia in alcuni Paesi e degli effetti che l’introduzione di queste norme avevano generato sull’andamento della mortalità sul medio periodo.
La ricostruzione di quegli andamenti aveva mostrato effetti tutt’altro che univoci.
In tutti i Paesi in cui suicidio assistito e eutanasia sono stati introdotti, infatti, i decessi riconducibili a queste procedure sono cresciuti. Tuttavia in alcune nazioni la crescita è stata piuttosto contenuta, come nel caso di tutti gli stati degli USA che hanno introdotto le norme. Per esempio, in Oregon, dove la legge sulla “morte con dignità” opera da 26 anni, il tasso di crescita medio annuo è stato del 12%.
Ogni anno, quindi, i decessi dovuti a suicidi assistiti sono stati, in media, il 12% in più dell’anno precedente. Una crescita non trascurabile, ma comunque contenuta. In altri Paesi, invece, la crescita è stata assai più rapida. È questo il caso di Svizzera, Belgio, Olanda. In Belgio, per esempio, il tasso medio di crescita annuo nei 21 anni in cui la legge ha operato è stato del 26%. Oltre il doppio di quello dell’Oregon. In certi casi poi questa crescita è stata addirittura impetuosa. In Canada nei 6 anni di introduzione delle norme, ogni anno la quota di decessi per suicidio assistito è, in media, del 48% superiore a quella registrata nell’anno precedente. Per intenderci, se in un certo anno nei Paesi menzionati sono stati registrati 10 suicidi assistiti, l’anno successivo l’Oregon ne avrà 11, il Belgio 13, il Canada 15. È facile capire che, con questa rapidità di crescita, nel giro di pochi anni il divario diventerà anche molto consistente.
Che cosa contribuisce a generare valori così diversi? I fattori all’opera sono molti ma due probabilmente svolgono un ruolo superiore ad altri. Il primo chiama in causa le procedure stabilite dalle norme, i vincoli che queste impongono all’accesso a suicidi assistiti e eutanasia e quanto impegno le istituzioni investono nel farli rispettare. Il secondo chiama in causa invece le opinioni pubbliche. Queste, infatti, mostrano da anni ormai di essere sempre più favorevoli ad accettare qualche forma di legalizzazione del ricorso a suicidio assistito e eutanasia. Le poche serie storiche sul tema mostrano chiaramente questo cambiamento.
La serie storica più lunga di cui disponiamo riguarda gli Stati Uniti. Qui le prime indagini solide risalgono addirittura agli anni Quaranta del secolo scorso.
La fig. 1 ci permette così di cogliere la portata del cambiamento e il suo sviluppo temporale.
Nell’immediato dopoguerra il consenso nei confronti dell’eutanasia negli USA era minoritario. Ma nel corso degli anni Sessanta è avvenuta una svolta. Così, all’esordio degli anni Settanta, per la prima volta, più della metà degli intervistati dichiarava che la legge avrebbe dovuto consentire ai medici di porre fine alla vita di un paziente sotto alcune condizioni piuttosto rigorose.
Le condizioni che le opinioni pubbliche impongono perché l’eutanasia possa essere approvata sono tre: il consenso del paziente o di un familiare stretto; una malattia incurabile; la presenza di sofferenze non tollerabili.
Le risposte a una domanda simile, posta solo a partire dalla fine degli anni Novanta, che riguarda non l’eutanasia - in cui è il medico a provocare la morte del paziente - ma il suicidio medicalmente assistito - in cui a adottare la procedura che si conclude con il decesso è il paziente stesso - produce risultati comparabili (anche se, come vedremo tra poco, non del tutto sovrapponibili).
Per quanto riguarda gli USA, quindi, sappiamo che oggi la quota dei favorevoli ha superato i tre quarti della popolazione, determinando quindi un sostegno stabile per la legalizzazione - sotto la garanzia di condizioni stringenti - dell’eutanasia e del suicidio assistito, che infatti è iniziata a partire proprio alla fine del secolo scorso.
Uno sguardo più attento al grafico però suggerisce tre dinamiche ampiamente sottovalutate nel discorso pubblico. La prima è che la crescita di coloro che sostengono la legalizzazione dei suicidi assistiti e dell’eutanasia si è arrestata da qualche anno, o ha fortemente rallentato. In poche parole, il consenso verso eutanasia e suicidio assistito sembra avere raggiunto un tetto non superabile. Una quota dell’opinione pubblica continua a pensare che suicidio assistito e eutanasia non dovrebbero essere consentite a nessuna condizione. La seconda è per certi versi sorprendente. Mostra, infatti, che
l’eutanasia resta più accettabile del suicidio assistito. La linea arancione conferma che, anche se il favore verso la legalizzazione del suicidio assistito è maggioritario, il livello di riprovazione del suicidio resta altissimo e questo probabilmente rende anche il suicidio assistito meno accettabile dell’eutanasia, in cui a porre fine alla vita non è il paziente stesso, ma un medico. Infine la terza osservazione è che la disponibilità a considerare moralmente accettabile il suicidio assistito e l’eutanasia resta inferiore alla disponibilità ad accettare la loro legalizzazione. In poche parole suicidio assistito e eutanasia sono considerate procedure estreme, che dovrebbero essere consentite dalla legge sotto condizioni piuttosto stringenti, ma che non intaccano la decisa riprovazione morale verso la decisione di togliersi la vita. “Siamo disposti a renderle legali perché ne capiamo le ragioni, ma questo non significa che le approviamo”, sembra essere la regola sotto la quale l’opinione pubblica compie le proprie scelte.
E in Europa? E in Italia? L’opinione pubblica mostra atteggiamenti vicini a quelli dei cittadini americani, o peculiari? È bene dire subito che, purtroppo, non disponiamo di serie storiche così lunghe come quelle americane, dove le indagini sociali sono state sviluppate con largo anticipo e dove la loro solidità è assai maggiore. Tuttavia abbiamo dati di buona qualità a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso. Il grafico 2 mostra la quota di cittadini che, in sette Paesi europei tra cui l’Italia, ha dichiarato “giustificabile” l’eutanasia. I risultati mostrano un andamento del tutto comparabile a quello che si registra nelle opinioni pubbliche americane. Nel corso dei 40 anni sotto esame la quota dei favorevoli è cresciuta.
Ma anche qui si possono fare alcune osservazioni. Nei Paesi a tradizione protestante la crescita è stata più rapida. In Norvegia, per esempio, il punteggio medio sulla scala che va da 1 (l’eutanasia non è mai giustificata) a 10 (l’eutanasia è sempre giustificata), è cresciuto di ben 3,6 punti. Anche nei Paesi a tradizione cattolica la crescita è stata forte, ma meno rapida.
In Italia, per esempio, la quota di favorevoli è aumentata. Così il punteggio medio nella “scala di giustificabilità” è cresciuto, ma con una variazione pari a + 2,8. Un Paese a tradizione ortodossa, come la Grecia poi, ha visto addirittura invertirsi la tendenza, con un calo del punteggio medio pari a -1,1.
Molti altri dati sarebbero necessari per approfondire un tema così rilevante e soprattutto al centro di un dibattitto pubblico completamente polarizzato e fortemente ideologizzato. Ma già i pochi che abbiamo presentato suggeriscono che, assai più che schierarsi, all’opinione pubblica sarebbe utile una maggiore diffusione di conoscenze affidabili sulla base delle quali solo è possibile formarsi giudizi poggianti su fatti e informazioni solide e affidabili.
Asher Colombo e Barbara Saracino