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Morire a Milano

Strani eventi sui quali ragionare

Immaginiamo una vicenda criminale che accade a Milano, una vicenda luttuosa ancora tutta da verificare nei modi e nei perché. Immaginiamo un ragazzo, un ragazzo perbene che, a detta di molti, non avrebbe fatto mai del male, un ragazzo come tanti: amici, scuola e discoteca, forse valori poco mistici, forse tanti consigli, ma cattivi esempi. Un ragazzo come tanti dei nostri figli; forse non di semplice lettura, forse introverso o chissà, ma questa è soltanto una mera congettura.
Immaginiamo questo ragazzo sporco di sangue e nero di rabbia mentre uccide a coltellate un amico, il fratello di quella che fu la sua fidanzata. Immaginiamo l’omicidio, l’insano gesto, e poi chiediamoci da dove può nascere un totale impulso assassino. Immaginiamo quel ragazzo a Milano e cerchiamo noi stessi indietro nel tempo: non era facile pensare di ammazzare un amico quarant’anni fa. Picchiarci sì, fare a pugni era cosa quasi normale, era quasi bello: io, ragazzo di periferia, ci sapevo fare, ma tra amici vi era sempre un certo rispetto, si cercava di non farsi troppo male. Uccidere mai: mai una parola e neppure un pensiero.
Immaginiamo quel ragazzo a Milano: ha ucciso l’amico, prima o dopo che differenza fa? Sì, perché sembra che dopo si sia recato da quella giovane donna a cui di certo voleva del bene. Immaginiamo un ragazzo che non farebbe mai del male a nessuno: picchiarla, sequestrarla, violentarla, immaginiamo una notte d’inferno al termine della quale un bravo ragazzo ammazza anche lei, distruggendo tre vite e gettando due famiglie nella più profonda disperazione. Il ragazzo non sa perché lo ha fatto, non sa darsi una vera spiegazione; poco importa ormai: ciò che si è compiuto non lo si può rimediare, eppure il perché ci affascina. Milioni di persone che alle otto di sera consumano ipnotizzati pollo, zucchini e risotto, con i nasi conficcati nella televisione, tentennano, oscillano, si guardano stupiti e anch’essi si chiedono: perché?
È una domanda sempre più frequente; una domanda riferita ai nostri tempi che stanno mutando velocemente. Una risposta vera forse non esiste, oppure... Sono giovani nati sotto il segno della violenza che si compra come un gioco, e già questo è una conquista del male. Immagini di morte virtuale giacciono latenti nelle loro piccole memorie e lì resteranno per sempre; figli di elettronici giochi assassini, di cartoni animati violenti e ripieni dell’impero del male, e poi cresciuti a telefilm dalle trame molto cattive: droga, stupri, violenze, vampiri, l’assassino seriale. E dalla parte opposta non vi è un insegnamento, una certezza deterrente della pena, non vi è quasi più niente.
C’è qualcosa che non va; di sicuro non possiamo andare fieri di parlare sempre meno di Dio, di informarci, di capire, di sapere di più sul perché esiste la vita e poi diffondere certi valori che a me non fecero certo del male; ma forse c’è dell’altro, qualcosa che mi fa paura, qualcosa che è molto più grande di me e del mio miserabile pensiero di umile essere umano. Vedo troppo male impunito intorno a me, vedo la follia dilagare come fu per l’uomo da sempre, ma adesso si muove in fretta, sulle ali del progresso. Vedo il male fare quello che vuole, impadronirsi dei cervelli, distruggere senza timor di Dio, nel nome di un qualcosa che mi sfugge.
È da un po’ che osservo la follia, mi pare quasi che si muova a macchia di leopardo sulla pelle del mondo, saltando qua e là, colpendo a caso o forse no, quasi per diletto. Non saprei darle un volto, ma qualcuno che conosce certe arcane sfumature e che ragiona meglio di me non mi dà torto. E allora immaginiamo un ragazzo debole in un momento di leggerezza o di confusione, immaginiamo un ragazzo a Milano, un bravo ragazzo che non farebbe del male a nessuno, magari un po’ bevuto, magari un po’ esaltato, ma debole preda di un disegno più grande di lui, lasciarsi impadronire da ciò che è male e nelle sue mani ormai, macchiarsi di un duplice delitto, ammazzare senza un vero perché, se non il male ingordo e cattivo, fine a se stesso. Forse c’è chi immagina la vera mano del delitto, ma non è razionale, non osa dire.
Sì, la mia è una opinione, ma parlando di queste cose con Don Boero, un sacerdote anziano e minuto con il quale tutti dovrebbero intrattenersi almeno una volta nella loro vita, mi ha guardato e poi ha annuito. Non sono uomo di Chiesa, non saprei nemmeno io cosa sono, ma quando lo vado a trovare e fatalmente pronuncio un Padre Nostro insieme a lui, vi assicuro che poi mi sento stranamente meglio. Una volta mi fece notare che alla fine si recita ”e liberaci dal male, amen”. Non è un mal di pancia quello a cui si fa riferimento.
Immaginiamo un ragazzo a Milano preda di questa o di chissà quale altra orrida cosa, in preda a un maleficio virtuale o soprannaturale. Immaginiamo di vivere in un mondo che si sta prendendo gioco di noi, noi che non ci vogliamo fermare a riflettere perché non siamo stati pensati per questo, e allora mettiamoci paura perché è il caso di farlo.
Chiedo scusa per la mia non ipotesi, ma nessuno si spiega perché un ragazzo di Milano ha ammazzato due fratelli, due amici, forse di più. Neppure lui riesce a trovare una degna spiegazione; l’unica certezza è che rimane un fatto di immensa distruzione, per chi era e per chi resta. Non pretendo di chiarirlo io, ma se soltanto qualcosa di vero c’è in questo intreccio di teorie, se avvertiamo il male sfiorarci, anche solo in un momento in cui ci sentiamo stranamente innervosire, pregare non ci farà del male. Ditelo agli amici, non sarà un errore.
 
Carlo Mariano Sartoris


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