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Soprannomi & malintesi

Roccia era il suo soprannome e tutti lo chiamavano così; guai a usare il vero nome, perché allora si metteva inquieto e ti guardava con un occhio da paura. Era forte di natura, sempre in forma, sempre allenato. Non era ancora nato chi gli potesse tener testa: scattante, deciso, risoluto, Roccia era un bruto, un pezzo d’uomo da trattare con una certa soggezione. Tutto questo era importante nella sua professione: capo squadra d’assalto nei reparti speciali. Un compito nel quale non aveva eguali. Roccia non aveva una donna, ma un amico del cuore soprannominato Gomma perché era morbido di idee; e Roccia, per quanto lo potesse maltrattare quand’era di cattivo umore, non riusciva a ferirlo nell’onore, Gomma era un buon incassatore. Non che Roccia fosse omosessuale, ma lui diceva che le donne avevano un modo di fare un po’ troppo effeminato e che ci si trovava male. Io dico che Roccia celava qualche debolezza, o una sorta di timidezza; ma questa è una illazione e poi, su quella relazione, nessuno ci trovava alcunché da obiettare. I due avevano un gatto soprannominato Parà, perché si gettava sempre come un sasso, quasi volesse vincere i campionati di salto in basso; ma questo, per adesso, non ha niente a che vedere. Roccia era il giustiziere di terroristi e di rapitori, l’incubo di delinquenti internazionali, di dissidenti, di falsari, di trafficanti e di rivoluzionari: aveva un fiuto eccezionale, e se annusava la traccia da seguire, in genere qualcuno poi finiva male. A proposito di qualche piccolo dolore, giovedì Roccia era andato dal dottore. Il Guardone Dentro era il capo radiologo dell’ospedale militare, un tipo strano, un po’ svitato dalle radiazioni, pieno di trasparenti contraddizioni, fatuo, strampalato, ma su di una lastra individuava una cacca di grillo, più piccina della punta di uno spillo. Fu così che Roccia seppe di avere un brutto male e una vita breve, e che la sua strada era segnata. Bella mazzata! Aveva chiesto un bicchiere di cordiale, dopo, aveva minacciato il dottore di tacere e, duro come una pietra, se ne era andato, per niente spaventato. Dopo averlo detto a Gomma, che ne aveva fatto un gran lamento, prese una gloriosa decisione. Morire da campione in uno scontro violento. Morire in combattimento e lasciare un buon ricordo di sé, nonché l’assicurazione sulla vita al bravo Gomma che non si voleva rassegnare e continuava a chiedere: “perché?”. Da quel giorno Roccia triplicò la sua maschera più dura, poiché della morte non aveva paura, anzi la cercava in ogni situazione, ma senza fortuna. La morte è solo una. In un inseguimento mozzafiato senza fari nel cuore della notte, guidò talmente da invasato che l’inseguito ebbe un collasso e si arrese prima che si andassero a schiantare. In una sparatoria si gettò tra i due fuochi senza pistola, ma i due delinquenti, tirando verso l’uomo che correva in mezzo a loro, si fecero secchi a vicenda, due in un colpo solo. Roccia divenne una leggenda. Seminato giù dalle scale provò a gettarsi dal terzo piano, ma, atterrando su un grasso malvivente, gli fece molto male e a lui quasi niente. Poi ci provò dal ponte mentre passava il treno che conteneva la spia venuta dall’oriente, ma il carro merci pieno di farina per polenta rese la caduta meno violenta, così che per scrupolo gli toccò di terminare la missione, lottando come un pazzo sul tetto dell’ultimo vagone. Morire sì, ma fedele alla professione. Quando un pazzo fece fuoco contro il presidente del consiglio, Roccia, che era di scorta, fece da bersaglio, ma fu salvato dal suo portafoglio e dalle nuove monete di metallo. Che sballo! Salvato da mezzo Euro bucato. Per questa prode azione, che fu filmata da più di una televisione, Roccia divenne eroe nazionale (solo per metà della popolazione), e fu ricevuto anche al Quirinale per una medaglia che gli fu appuntata addosso. Roccia era sempre più depresso. Sfidò a duello per il guinness dei primati il più vorace divoratore di gelati al cioccolato, Bue Muschiato, un enorme meticcio indiano nordamericano, sperando di schiattare nella gloriosa impresa, stroncato da una congestione; invece vinse, fece un rutto antidiluviano, mentre l’altro morì di brutto e lui fu campione. Morire in gloria era una ossessione. Ogni volta che si lanciava nell’azione ne otteneva solo qualche ammacco e un successo clamoroso. Era sempre più famoso. Roccia, senza timore, si gettò a salvare dall’incendio le istruzioni d’uso per un videoregistratore, sventò un sabotaggio a una centrale nucleare mordendo con i denti un cavo di cablaggio, con calma portò a passeggio la famosa bomba dell’ultimo attentato, gettandola nel fiume prima d’essere nebulizzato. Era sfigato. A Roccia, ogni suicidio interattivo andava male, eppure adesso era diventato un ufficiale. Gomma era fremente; lui che conosceva il vero movente di tante prodezze, non si rassegnava, tentava di portare Roccia a maggiore ragionevolezza; ma l’altro non ci stava, anzi, si incazzava e lo menava. Ad ogni nuova impresa andava oltre, e ci riprovava. Cercava da tre mesi di abbindolare l’ospedale e di trovare la morte in azione, quando il Guardone Dentro si rese conto di una grossolana distrazione. Roccia era già in putrefazione. Era scomparso, estinto, defunto, stecchito da una settimana. Si trattava di un certo Roccia Pietralbeto, uno della quinta sezione, un agente buontempone ormai vicino alla pensione e detto anche il Mattacchione. Entrambi i pazienti avevano riempito il modulo dei raggi omettendo il soprannome. Insolita abitudine fa grande confusione! Era morto il Roccia Mattacchione, mentre il contraffatto Roccia, mai nominato, ma dal cognome un po’ burlone, non era terminale affatto; era solamente afflitto da trascurabile malanno passeggero gastrointestinale. Meno male! Uno scambio di radiografie, per storia di cognomi similari ai soprannomi, quasi banale! Quando Roccia (quello ancora in vita) venne convocato per chiarire il malinteso, sorpreso, dopo l’emozione, preso da un attacco di sudorazione, travolto da un impulso un po’ caratteriale, ripensando a tutta la questione aveva maltrattato le guance del radiologo con qualche scapaccione. Roccia non la prese con le buone. Dopo aver ripreso il controllo e mollato il collo di quel tipo ch’era stato causa di mille sue peripezie, si rese conto che non tutto il male viene per nuocere e nemmeno le pazzie. Era diventato un uomo importante, l’idolo di tanta brava gente, dava del tu al presidente e già si parlava di farlo diventare attore. Doveva ringraziare quel dottore. Lo salutò con tante scuse, mente l’altro raccattava un dente, fece tappa in chiesa, si fece il segno della croce e accese cento grosse candele, per ringraziare Iddio di averlo preservato da ogni incidente e Santa Teresa, che era il nome di sua zia prediletta. Poi filò via di fretta. Gomma era in casa e lo aspettava: “Chissà come sarà contento di sapere che mi dovrà sopportare ancora a lungo; in guardia vecchio Gomma, domani si va al mare!”. Roccia, felice d’essere al volante, parlottava da sé, vispo di essere vivente, mente guidava. Gomma lo aspettava, e dalla scorsa settimana aveva stabilito che Roccia sarebbe perito, questo era scontato, ma non si decideva a farlo. La storia si stava trascinando per le lunghe, era diventata un tarlo. Non fu difficile spingere Roccia oltre il parapetto e farlo volare sette piani sotto. Aveva studiato il gesto con grande attenzione, aveva atteso con Parà, là sul balcone e poi, appena si fosse avvicinato... però che strano, aveva notato che in quell’istante, molto stranamente, Roccia era quasi sorridente, e poi, mente volava giù, annaspava come un passero senz’ali, come se non gli garbasse di morire più. Era tardi per i ripensamenti. Roccia era caduto come un sasso frantumandosi anche i denti. Il prode era stato accontentato: era lui, il suo caro amico Gomma, che lo aveva cancellato! Tutti pensarono che si fosse accoppato per salvare il gatto da un salto verso il sotto ed erano quasi contenti che ci fosse riuscito. Troppa gloria non riscuote il plebiscito dei potenti. Così disse Gomma, che non ebbe sospetti per la cattiva azione, riscosse il premio dell’assicurazione e dopo il funerale celebrato in pompa magna prese il volo con la sua segreta compagna, per scrivere un capitolo di una nuova vita senza maltrattamenti. Una ragazza mite e timida di nome Gelsomina, ma Gomma la chiamava Mina, perché fine, lunga e snella come una matita.
 
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