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La scomparsa di Raimondo Vianello

A Sandra e Raimondo, con ammirazione e con molto affetto

Raimondo! Raimondo!”. Lungo e straziante, il nome ha riempito la chiesa, le case, i cuori e gli occhi di tantissima gente. Sandra gridava quel nome con il dolore che si incastrava tra i denti.
Il Presidente del Consiglio le accarezzava la testa visibilmente commosso; Pippo, l’ultimo re del video, aveva la voce tremante. “Raimondo! Raimondo!”, ha gridato la gente. Ma piano, con un immenso, ovattato rispetto. È stata una scena unica e irripetibile, bellissima pur nel suo dolorosissimo gesto. È stato un grido d’amore disperato, quell’amore che tutti cercano, ma che è privilegio di pochi.
Raimondo Vianello era lì, esanime eppur vivo, spettro buono, presenza quasi palpabile fra la gente compressa nelle navate. Era lì, ma anche al di là dei monitor, nei ricordi di tutte quelle persone che, ipnotizzate dalla forza della commozione, non sono riuscite a staccare gli occhi dal video. È il miglior tributo, è la medaglia d’onore, è il vero riconoscimento allo spessore di un uomo. Dovrebbe essere una motivazione per tutti, un senso per cui vivere: esistere onorando in tal gentile maniera il proprio tempo così da rimanere, morendo, stabilmente impressi nei più remoti cuori altrui. Non è retorica la mia e neppure spicciolo mestiere. È un inchino per rendere onore a chi è caduto di fronte alle pretese del tempo, ma solo da quelle sconfitto e, a mio avviso, soltanto parzialmente.
Raimondo Vianello riposa certamente in pace. Tutto ciò che ha lasciato, come uomo di spettacolo e di mondo, è un esempio buono e raro, un modello di stile, di eleganza, di signorile comportamento che, più di ogni interpretazione, equivale ad una vita che non può essere frutto soltanto di apparenza.
Ero giovane quando duettava con Ugo Tognazzi, troppo in fretta rubato al mondo dello spettacolo. Ero giovane e mi piaceva quell’uomo alto e dinoccolato, quel suo tono garbato, ma sempre perforante. Ridevo spesso, ma come avrebbe desiderato lui: sommessamente. Non ho mai disdegnato di soffermarmi su quei film anni ’60, parodie italiche di pellicole non soltanto americane: poca scenografia, molta ironia. “I gemelli del Texas”, “Per qualche dollaro in meno”, “Pugni pupe e marinai”, “Scandalo al sole”. Semplici trame, buone per quegli anni miti eppure belli. Semplici trame, ma interpreti a quel tempo un po’ snobbati e oggi sempre più rivalutati, icone di un variegato, scherzoso documentario di una Italia che fu: Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, Walter Chiari, Totò, Mario Carotenuto, Ugo Tognazzi, Arnoldo Tieri e tantissimi altri personaggi che hanno fatto la storia del nostro cinema in quel faceto, ironico tempo. Raimondo tra loro, sempre ad impersonare se stesso con quella ironia lenta, con quella gestualità e con quella mimica statuaria che riuscivano a trasformare in sorriso anche quell’attimo di interpretato silenzio. Infine lei, Sandra, bella nella sua semplicità: l’altra metà, compagna della vita, coppia indissolubile, giocosa e travolgente. Non accade spesso in certi ambienti scintillanti. È sempre stata per me, che credo a queste cose, una unione di riferimento.
Raimondo! Raimondo!”, chiamava quasi gemendo quella donna ora minuta, vinta e sofferente, raggomitolata sul suo dolore, da quel penultimo domicilio che è una sedia a rotelle, dispersa ed impaurita di fronte all’inevitabile futuro, di fronte alla solitudine. Ho provato pena, ma anche un pizzico d’invidia bonaria per chi ha saputo volersi bene così a lungo e così tanto. Sandra Mondaini gridava “Raimondo!”. E intanto io lo rivedevo impegnato nel giocare a calcio nella nazionale degli attori e dei cantanti, elastico sportivo di una certa età, amato da tutti, da tutti acclamato. Lo rivedevo sornione, freddare lo studio delle trasmissioni sportive con una sola, impeccabile battuta scaturita dal genio creativo e lasciata partire in quell’attimo fuggente, mirabile nella scelta del tempo. Questo e tanto altro vorrei dire, ma ciò che più mi preme è ricordarlo come esempio. La televisione di oggi non ha più limiti nella decenza e ne ha molti nell’eleganza. La volgarità, la battuta grassa, scontata e dialettale, il litigio chiassoso, fastidioso e inconcludente, la nudità ostentata, la risata registrata. Ordinarie quotidianità di uno spettacolo sempre più lontano dai miei gusti e dai bei tempi che qui amo ricordare e che già da un po’ mi mancano.
Se quel Paradiso in cui crediamo, o che in cuor nostro almeno auspichiamo, non si è tramutato solo in parco di degustazione di aromatici caffè, ebbene, potrei dire che pian piano lassù si sta ricompattando un bel gruppo di artisti in grado di onorare il luogo con una forma d’ironia per niente dissacrante. C’è gente che lavora sodo oltre la volta celeste, cercando di far rientrare nei ranghi una umanità sempre più demenziale. Non deve essere un lavoro facile e di certo merita qualche distrazione. Non vedo perché non imbastire ameni varietà per ospiti fissi e per addetti ai lavori, altrimenti che Eden sarebbe se non ci si può neppure divertire?
Non disperare Sandra, non dimenticato Sbirulino, a questo punto non resta che aspettare. “Nuvola Vianello” è il titolo quasi scontato per uno spettacolo dedicato agli angeli. E quello spiritoso, divertente “uffa, che barba, che barba e che noia” tornerà ad essere un giocoso refrain per prendersi gioco di un amore che sarà per sempre.
 
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