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A Indianapolis dal 19 al 21 ottobre

NFDA 2015 (Parte 1 di 3)

Come ogni anno il mese di ottobre ci ha condotto negli Stati Uniti per la Convention-Esposizione di NFDA, la National Funeral Directors Association. Quest’anno la scelta è caduta su Indianapolis, la città dell’Indiana simbolo delle corse automobilistiche e sede dell’oval, il circuito creato nel 1911 dove ogni anno, il giorno del “Memorial Day”, si corre la famosissima 500 miglia, la “Indy 500”. Il nome “Motor Speedway” trova origine nel fatto che esso si trova a Speedway, un sobborgo della capitale dello stato dell’Indiana che con quasi 1 milione di abitanti (il doppio se si considera l’area metropolitana) la pone tra le 15 città più grandi degli States.

Mario Andretti e l'esilio degli Istriani

Non si può parlare del circuito senza andare col pensiero a Mario Andretti, il famoso pilota americano, uno dei più grandi di tutti i tempi. Nato nel 1940 a Montona d’Istria (oggi Motovun, in Croazia), il magnifico villaggio medievale posto sul cocuzzolo di una collina nel centro dell’ Istria (allora parte della Venezia Giulia), egli abbandonò la terra natale nel 1948 quando quasi tutte le popolazioni italiane di quella bellissima penisola dovettero andarsene, lasciando tutti i loro beni, a seguito delle persecuzioni, vera e propria “pulizia etnica”  del comunismo titino. Il dramma dell’esodo degli istriani, per anni trascurato nell’Italia della Prima Repubblica, è stato recentemente rievocato da Simone Cristicchi, un artista che ha avuto l’onestà intellettuale e il coraggio di rievocare quel triste periodo con delicatezza e con sincera commozione scoprendo forse lui stesso un mondo che gli era ignoto.
Noi triestini siamo particolarmente sensibili a tale drammatico momento storico che abbiamo vissuto in prima persona a contatto quotidiano con gli “esuli” quando non addirittura, ed è il mio caso, avendo membri della famiglia vittime della dittatura titina; ed ancor oggi il sangue ci ribolle nelle vene nel ripensare al trattamento che Bologna, o quantomeno una parte di essa, aveva riservato ai profughi che vi transitavano in treno per essere smistati nei diversi campi di accoglienza (Latina ed altri) in attesa di trasferirsi in America, in Australia, in Argentina. Nella stazione del capoluogo emiliano tali convogli erano presi a sassate e coperti di insulti e di sputi da bande di imbecilli esagitati che, sobillati dal partito colà largamente  dominante, criminalizzavano i passeggeri per la fuga dal “paradiso” jugoslavo. Tutti sappiamo come quel paradiso (non diversamente da tutti gli altri in Europa Centrale ed Orientale) sia finito dopo essersi trasformato in inferno, ma quanto accaduto in quella stazione, teatro di una immensa tragedia una quarantina d’anni dopo, rimane una macchia indelebile e vergognosa, poco nota agli italiani, nel percorso altamente civilizzatore della città felsinea. Del resto i “tovarisc” bolognesi avevano trovato degni colleghi in un grosso gruppo di operai dei cantieri navali di Monfalcone che dopo la presa di potere da parte delle bande titine decise di trasferirsi in Jugoslavia per gioiosamente unirsi alle folle in trionfale marcia verso il “sol dell’ avvenire” in un paese “progressista” e in una democrazia compiuta! Non immaginavano quei fanatici cretini che poco tempo dopo Tito avrebbe rotto con Stalin e che per tutti i seguaci puri e duri, come loro, del baffuto ex seminarista georgiano sarebbero stati “k” amari.
Finirono quasi tutti (a parte pochi che con le pive nel sacco riuscirono a rientrare in Italia non abdicando tuttavia al proprio fanatismo) a scavar sale a Sremska Mitrovica o, peggio ancora, a martellare pietre nella poco amena, è un eufemismo, Goli Otok (letteralmente Isola Calva, ma ormai nota come “isola dei dannati”), uno scoglio brullo e inospitale dell’Alto Adriatico, non lontano dalle bellissime Veglia, Cherso e Lussino (preferiamo continuare ad utilizzare i nomi italiani anziché rispettivamente Krk, Cres e Lošinj), senza un albero, sferzato dalla gelida bora in inverno e battuto da un sole impietoso e cocente d’estate. Molti ci lasciarono le penne ed oggi i casamenti semi diroccati che li ospitavano attendono di essere sommariamente riordinati per testimoniare con la loro sinistra presenza (come ad Auschwitz) un passato orribile che speriamo rimanga tale per sempre, ma il cui ricordo dovrebbe farci riflettere sui lati oscuri della natura umana. Uno dei proverbi serbi, di quel grande e fiero popolo che tanto ha sofferto (anche, in tempi recenti, per i bombardamenti arbitrari della Nato, forte con i più deboli e debole con i più forti), è: “ l’uomo è il  più perfetto errore della Natura”. Pensiamoci!
Gli Andretti, ritornando a loro, abbandonarono con la morte nel cuore (come del resto i Bastianich, originari di Albona d’Istria, la cittadina di mia nonna materna, che passarono lunghi mesi in un campo profughi triestino non lontano da dove abitavo) la dolce Montona e solo nel 1964 il figlio Mario divenne, a 24 anni, americano. Ultimo di tale nazionalità a vincere, nel 1978 se non andiamo errati, un titolo mondiale di F1 che sentiamo, per quanto esposto sopra, anche un po’ italiano. Anche se, purtroppo non al volante di una Ferrari. Egli, per dover di cronaca, aveva già vinto una decina d’anni prima la 500 miglia.

 
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