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La scomparsa di Claudio Abbado

Un inchino e un saluto al grande direttore d'orchestra

Bologna saluta l’illustre concittadino, il Maestro Claudio Abbado, direttore d’orchestra di fama internazionale venuto a mancare dopo una lunga malattia che ne ha preteso il corpo ed il talento. Abbado è stato per decenni una figura di primo piano nel panorama della musica classica. Negli anni ‘60 ha ricoperto il ruolo di direttore musicale del teatro La Scala di Milano, carica onorata per un ventennio, per poi spostarsi verso le prestigiose filarmoniche di Vienna e di Berlino e quindi, col tempo, intraprendere una strada più personale decidendo di lavorare insieme ad orchestre formate da amici prima ancora che da impareggiabili solisti. Questa scelta lo ha portato, proprio a Bologna, alla creazione dell’Orchestra Mozart che già la settimana scorsa ha annunciato la sospensione dei propri lavori dando così un segnale preoccupante sull’aggravarsi delle condizioni di salute del Maestro.
Ripercorrere una vita destinata alla musica richiederebbe troppo spazio e conoscenze specifiche che so di non possedere; diverso è cercare di interpretare, con sommessa ammirazione, il sentimento che lega molti artisti consapevoli della propria creatività e coscienti di dover gestire un patrimonio dell’umanità: di fronte all’avanzare dell’anagrafe sono accomunati da una melodica tristezza per dover lasciare ciò che è bello, ma terminato mai, ancor prima della bellezza del vivere. L’ansia è dovuta al timore che il messaggio impresso nella storia del tempo non si rinnovi, rimanga incompleto frutto del proprio lavoro, del proprio ingegno mai sazio di meraviglia. Una fucina che non dovrebbe smettere di forgiare.
Claudio Abbado, magico genio straordinario, spiritualità e furore, anima e profondità, perfezione e pulizia del suono, elitario e popolare, viene ricordato così dal mondo dell’arte, con sincera e planetaria commozione, destinato a rimanere immenso per meriti artistici, ma soprattutto umani. Abbandonare le scene del teatro e dell’opera di vivere lasciando dietro di sé un interminabile curriculum di musica e di melodia è un privilegio destinato a pochi uomini, lungimiranti e provetti artisti. Abbandonare un patrimonio sinfonico impresso nella memoria delle registrazioni, testimonianze immortali della passione e del talento, significa non soltanto aver onorato nel migliore dei modi il proprio tempo, ma anche aver donato una traccia ai posteri, una eredità di forza, di poesia e di fermezza dedicata a tutti, dalla quale attingere e condividerne i valori.
Essersi dedicato allo studio e alla realizzazione di nuovi spazi per la musica assieme ad altri grandi artisti quali l’amico architetto Renzo Piano e il mago dell’acustica Mueller, come è stato nella creazione del nuovo Auditorium del Lingotto di Torino, è una dimostrazione di multiformi e lungimiranti capacità delle quali Torino e l’Italia tutta devono essergli grati. Aver intuito il potenziale salvifico della musica nei confronti di un panorama giovanile privo di esempi a cui guardare, ed aver provveduto alla creazione di orchestre formate da ragazzi con l’intenzione di strapparli da fatue e distruttive seduzioni fin troppo diffuse, rappresenta forse il gesto più altruista e perspicace che ci restituisce la figura di un uomo che, oltre che profondamente innamorato della musica, si è dimostrato avveduto, saggio e generoso, romantico e molto umano, non esente impulsi e da spinte creative con i cui si vorrebbe innaffiare il mondo.
Viviamo in un mondo che va di fretta e che pare sempre più lontano da quelle belle e quasi emarginate arti classiche sacrificate al gusto delle masse, oggi più che mai corrotte da semplicistiche, eppure affascinanti, distrazioni. Ne è triste esempio il momento economicamente difficile in cui versa la millenaria arte del teatro, spesso trascurata a favore di altri e più immediati interessi di dubbio valore. È un peccato, perché il moderno andare dell’arte tecnologica, come tante altre cose, si ciba di se stessa e poi scompare, mentre opere dalle origini remote resistono e rimarranno per sempre, sebbene affidate nelle mani di pochi, illuminati, ineguagliabili artisti.
Claudio Abbado lascia vuota una sedia a lui destinata come senatore a vita. Onore concessogli il 30 agosto dello scorso anno. Un gesto che, in questa Italia che molto parla e poco sa, non mancò di essere interpretato come fazioso. Devolvere l’emolumento da senatore a borse di studio per giovani musicisti è stato un gesto forse più che simbolico: piace immaginarlo come un richiamo, a chi di dovere, per fare meno chiacchiere e per produrre risposte a una Italia che fu “culla dell’arte”, a una Italia che soffre e che muore.
Mi auguro che, ovunque sia adesso, Abbado sia indulgente su qualche mio pensiero dissacrante. E se, davvero, lassù vi è spazio per la musica celeste, consenta alla mia mente sempre un po’ pittorica quando pensa all’aldilà, di immaginare che l’anfiteatro sarà colmo una di queste sere. In programma - perché no? - la sinfonia n. 9 in Re maggiore di Gustav Mahler. Silenzio in cielo: ottoni, legni, percussioni ed archi, tutti pronti! Dirige il maestro Claudio Abbado. Mi piace immaginare che le anime si aspettano, si riconoscono e si ritrovano a far festa, ancor più quelle degli artisti. Gli artisti: emozione, poesia, armonia, sentimento, bellezza. Non sono, loro, già transitori angeli su questa maltrattata Terra?
 
Carlo Mariano Sartoris


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