- n. 4 - Aprile 2013
- In ricordo di...
La scomparsa di Pietro Mennea
La Freccia del Sud ha finito la propria corsa. Peccato!
L’improvvisa morte di
Pietro Mennea è stata una di quelle notizie che fanno male. I motivi sono molti e non saprei da quale iniziare. Forse, considerare che eravamo pressappoco coetanei è un buon punto di partenza. Al tempo delle sue imprese sportive, ho letto che pesava 68 chili per la mia medesima altezza, 180 centimetri. Stessa età, fisico asciutto, una passione in comune, risultati ben differenti. Quando cercavo ben più modeste glorie ai campionati studenteschi, durante le selezioni all’attuale stadio olimpico di Torino, correvo i 100 metri con un tempo sul quale è meglio soprassedere. Ci provai lo stesso, ma a Roma non andai.
Ero un appassionato di Valeij Borzov che aveva un personale di 10.07. Poiché andavo quasi 4 secondi più piano, decisi che era meglio smettere, ma di seguire come spettatore le discipline veloci, oltre che il salto in lungo e quello con l’asta. Le specialità preferite, accomunate da scatto e progressione. Rammento che, mi pare nel ‘72, ma non ricordo dove, il mio beniamino vinse i 200, la specialità che ho sempre trovato più esaltante, ma alle sue spalle c’era un nome italiano, Pietro Mennea. Nel 1974, a Roma, quel ragazzo fece sua la distanza. Mennea divenne
“la freccia del sud”, velocista italiano capace di vincere ovunque e dovunque, dai 100 alla staffetta 4 x 100, fino a conquistare una vittoria anche nei 400. Prima di lui Livio Berruti, dopo di lui tante promesse, nessun campione altrettanto cristallino. È incredibile quanto lo sport riesca a coinvolgere la passione, l’entusiasmo e l’orgoglio dei popoli. Quando fu record del mondo nei 200 a Città del Messico, quello strepitoso 19.72 rimasto imbattuto per oltre 10 anni, fu l’apoteosi, la consacrazione di un uomo che sembrava eterno.
È bello oggi scoprire piccole cose sconosciute della sua grande passione nata sulle strade di Puglia. Non sapevo che, da giovane, sfidasse auto sportive sui 50 metri partendo da fermo. È una notizia che mi restituisce l’immagine di un uomo che certamente credeva in se stesso e che aveva coscienza delle proprie capacità. È una notizia che mi piace, storia di altri tempi, particolare esotico di auto allenamento povero, così come immagino doveva essere il suo vivere lo sport a Barletta mentre io mi allenavo veloce come una lumaca allo stadio con tanto di docce e spogliatoi. Ipotesi senza riscontro.
La certezza è che Pietro Mennea è venuto a mancare. Sono rimasto sorpreso, avevo ascoltato in televisione neppure molto tempo fa alcuni suoi commenti, mi pare relativi all’uso di sostanze dopanti: avevo ascoltato volentieri il suo integerrimo modo di parlare, da uomo di legge, e avevo osservato il suo volto che, come il mio, aveva ceduto qualche ruga al trascorrere del tempo. Non corro più da parecchi anni, non per libera scelta, ma non mi perdo una Olimpiade, un mondiale, un degno appuntamento. I suoi record sono caduti sotto la possente muscolatura di velocisti americani e giamaicani. Uomini neri e forti, ma in fondo mai così lontani. L’immagine snella della sua corporatura oggi contrasta con fisici che paiono eroi dei fumetti, ma, cronometro alla mano, la freccia del sud, agile poeta della corsa, qua e là farebbe ancor oggi la sua bella figura. Ipotesi senza riscontro.
Il ragazzo aveva una strana fretta di correre via. Se ne è andato, ma non ha lasciato un vuoto. Non nei miei ricordi, non nella storia dell’atletica mondiale, non come icona sportiva della nostra nazione. È giusto che oggi si pensi a lui con degno tributo. Bella la proposta di dedicargli un convoglio “Freccia Rossa”. È il meno che l’Italia possa fare in questo momento così confuso, così scollato, così poco unito, e in certi casi quasi disperato, di un paese che ha perduto molte identità e altrettante certezze e nel quale non sono poi tante le icone sportive di cui andare fieri. Un paese che è diventato lento di fatica, di speranza e di pensiero. Forse è questo il momento di prendere ispirazione dal grande campione e ritornare in corsa tutti quanti, imboccando la strada della fatica che porta ai risultati e dandoci un obiettivo per correre. Il traguardo è sempre davanti, irraggiungibile mai.
Carlo Mariano Sartoris