- n. 2 - Marzo/Aprile 2025
- Attualità
Le cremazioni in Italia nel 2023
Le analisi dei dati Sefit Utilitalia e alcune personali riflessioni per un cambio di rotta.
SEFIT Utilitalia ha diffuso qualche mese or sono i dati raccolti ed elaborati sulle cremazioni effettuate in Italia nel 2023, accompagnati da una analisi sulla evoluzione della mortalità nel nostro Paese su base di
dati ISTAT, sempre per l’anno preso in esame.
Come al solito, saccheggiamo a piene mani i dati dalle tabelle di SEFIT per dar conto ai lettori di Oltre Magazine di ciò che è successo lo scorso anno e tentare di delineare uno scenario per il futuro a breve termine.
Quanti sono i crematori in funzione in Italia e quante cremazioni svolgono?
N
el 2023 risultano autorizzati ed operanti in Italia n. 91 impianti di cremazione, lo stesso numero del 2022.
Sembra così essersi fermata la spinta a realizzarne di nuovi, probabilmente per la contrarietà delle popolazioni interessate dalla localizzazione dei nuovi forni da un lato e dall’altro dagli stop normativi dati da alcune regioni a nuove installazioni, se prima non viene approvato il piano regolatore dei crematori regionale.
In questi 91 impianti, nel 2023, si sono effettuate 252.075 cremazioni di cadaveri (259.915 nel 2022).
A tali valori sono da sommare 44.210 cremazioni di resti mortali nel 2023 (a fronte di 45.986 nel 2022). Pertanto, nei crematori italiani si è effettuato
nel 2023 un totale di 296.285 cremazioni (305.901 nel 2022).
La cremazione di resti mortali è variata di poco rispetto all’anno precedente (- 1.776) e, per l’anno 2023, incide per poco meno del 15% sul totale delle cremazioni effettuate.
Cosa è successo nel 2023, rispetto all’anno precedente?
Numericamente le cremazioni di soli feretri effettuate in Italia nel corso del 2023 sono diminuite del 3,0% rispetto all’anno precedente, con un decremento numerico corrispondente a -7.840 unità.
In presenza del forte calo di mortalità nel 2023 rispetto all’anno precedente (- 7,41% pari a -52.899 morti annui),
la cremazione è però aumentata percentualmente come scelta delle famiglie, e senza crescita di nuovi impianti, segno del consolidarsi di scelte della popolazione nei confronti di questa pratica funebre, a scapito soprattutto della tumulazione.
Difatti l’
incidenza della cremazione sul totale dei decessi passa
dal 36,43% del 2022 al 38,16% nel 2023. Si è sempre più vicini all’anno nel quale registrare il sorpasso della scelta della cremazione rispetto a quella della tumulazione, che potrebbe essere già nel 2024 o nel 2025.
L’aumento rispetto alle serie passate è dovuto principalmente alla sensibile crescita della cremazione soprattutto al Nord e, in misura più contenuta, al Centro e al Sud e isole (soprattutto la Sicilia).
Di particolare interesse l’annotazione che le regioni maggiormente dotate di impianti di cremazione (Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna e Toscana) mantengono anche nel 2023 un importante ruolo crematorio, ma è altresì interessante notare l’effetto della
carenza di spazi e sepolture cimiteriali che hanno trainato la forte crescita, negli ultimi anni, della cremazione in Campania e, ultimamente, in Sicilia.
La nuova organizzazione gestionale degli impianti e il numero maggiore di forni in servizio ha permesso sia di garantire adeguati standard di cremazione di cadaveri al decesso, sia di permettere la cremazione di importanti quantità di resti mortali (fenomeno decisamente italiano, principalmente per la nota incongruenza del sistema di tumulazione stagno); si pensi che la cremazione di resti mortali nel 2019 era stimata in 38.000 unità, mentre nel 2023 si è ormai su valori di 44.210, con una tendenza all’aumento per almeno i prossimi due decenni.
Ma che sta succedendo nel settore della cremazione in Italia?
Stanno evidenziandosi alcuni fatti, taluni anche in aggiunta o modifica di quanto percepibile nel passato:
- l’attivazione di “services” per trasporto feretri, cioè operatori specializzati nel trasferimento, principalmente se non esclusivamente, di feretri e/o contenitori di resti mortali da certi territori in altri dove si possono ottenere tempi di effettuazione del servizio più contenuti e spesso sconti tariffari; si tratta di una tendenza che, pur dimostrando la sua utilità, sta sicuramente portando un’alterazione del mercato, generando una sorta di “guerra dei prezzi” mettendo a rischio la qualità dei servizi. Sarebbe forse utile a tutti chiarire la normativa per il trasporto plurimo di feretri.
- la creazione di network organizzati di gestori di impianti di cremazione, che possono contare non su un singolo crematorio, ma su una rete di questi. Tendenza interessante da un lato, perché permette la specializzazione gestionale e la possibilità di operare in rete per ottimizzare i carichi di mortalità e i tempi di esecuzione dei servizi. È però da annotare che in pochi anni si è determinata una situazione con un player dominante (perché gestisce qualche decina di crematori in Italia) nel mercato dei crematori e dei player “di contorno” che stanno organizzando reti più modeste, ma certamente utili; con i restanti impianti singoli che faticano a trovare una propria collocazione di mercato. In sostanza, anche in questo settore, ha preso il via un processo di concentrazione, che probabilmente si accentuerà nel tempo;
- Una tendenza (avvertibile in alcuni disegni di legge presentati in Parlamento e sponsorizzata da parte dell’imprenditoria funebre) di poter disporre all’interno di case funerarie anche dell’impianto di cremazione. Contemporaneamente (e non si sa per reazione o per quale altro motivo) con alcuni player operanti nel settore della cremazione che si sono societariamente collegati con la gestione di reti di imprese funebri. Una situazione anch’essa con effetti di mercato di non poco conto, che rende necessario – ad avviso di chi scrive - l’abbandono di tendenze monopolistiche dei settori l’uno sull’altro e quindi: ognuno cerchi di fare bene il proprio mestiere, senza invasioni di campo nell’altro.
- Una questione ancora irrisolta sull’IVA per i servizi di cremazione. Come noto si applica l’IVA all’aliquota massima per la gran parte degli impianti. Invece, per una parte numericamente molto limitata, quando vi sia ancora la gestione in economia diretta del crematorio da parte del Comune, il servizio viene ritenuto fuori campo d’imposta in base ad una circolare ministeriale, nella presunzione che esso sia fornito come Pubblica Autorità. Sinceramente la cosa è scorretta, sia per l’evidente alterazione di mercati contermini, ove vi fossero, sia perché l’attività di pubblica autorità del Comune non è nel servizio di cremazione (che è da classificare servizio pubblico locale), ma nel rilascio delle autorizzazioni connesse alla cremazione (all’esecuzione, alla dispersione delle ceneri, all’affidamento dell’urna, ecc.).
Come si diffonde nel territorio la cremazione?
La cremazione è ormai pratica funebre maggioritaria e la scelta normale delle popolazioni in ampie zone d’Italia. Dopo qualche ritardo iniziale, ora cresce sempre più anche nel Centro e nel Sud, a causa di carenze di posti feretro e per economicità del costo complessivo di un funerale. Ma
nel 2023 si è fermata la realizzazione di nuovi impianti. I motivi sembrano principalmente:
- l’avvio di numerose pratiche per la realizzazione di impianti nel Centro e Sud Italia, in buona parte fermati dal rifiuto, spesso immotivato, delle popolazioni interessate dalle nuove localizzazioni (fenomeno cosiddetto NIMBY, not in my back yard) e un conseguente stop alla installazione di nuovi impianti. In qualche caso con normative regionali non solo al Sud, che hanno temporaneamente bloccato la realizzazione di altri impianti oltre gli esistenti o creato barriere legislative particolarmente pesanti all’ingresso di nuovi soggetti;
- l’aumento di potenzialità di crematori già autorizzati (con aumento delle linee operative), favorito dal crescere della cremazione e dalla necessità di garanzia di continuità nella operatività di un servizio ormai essenziale per la collettività. Situazione semplificata perché è più semplice investire in un impianto esistente che in uno di nuova realizzazione e potenzialmente soggetto a veti delle popolazioni territorialmente interessate.
Occorre quindi, a mio avviso, che lo Stato approvi al più presto quello che avrebbe dovuto emanare venti e più anni fa (essendo previsto dall’articolo 8 della L. 30/3/2001), cioè
la normativa tecnica per impiantare e gestire un crematorio, nonché l’aggiornamento dei suoi limiti massimi di emissione, in modo che ogni popolazione si senta tutelata dall’osservanza stretta di queste norme e non abbia paura di installazione di impianti che, per loro natura, sono già costruiti in maniera da dare ampie garanzie circa il limitato inquinamento che producono.
Se poi aggiungessimo a questa normativa tecnica anche un quadro di riferimento per come pianificare la installazione dei crematori nel territorio statale istituendo un criterio per individuare i bacini ottimali per il servizio di cremazione e, perché no, l’aggiornamento dei parametri di determinazione delle tariffe di cremazione, ad esempio seguendo il metodo di calcolo di altri servizi pubblici locali già oggetto di pronunciamento da parte di ARERA, avremmo raggiunto, probabilmente, l’obiettivo di far sviluppare una rete di impianti sul suolo nazionale là dove servono, e rispettosi dell’ambiente oltre che del servizio da dare alle popolazioni.

Daniele Fogli