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Il burnout negli operatori funerari

Il senso di impotenza e perdita di significato che sperimentano gli operatori nel lavoro quotidiano a contatto con il lutto.

La morte è un evento naturale che prima o poi ci riguarderà tutti, in quanto esseri viventi ma finiti, eppure ci fa paura, ne rifuggiamo il pensiero, non vogliamo immaginarcela, la teniamo a bada in mille e più maniere.

Cerchiamo di esorcizzarla come possiamo; creiamo rituali per “addomesticarne” almeno l’immagine, così misteriosa e abissale che non siamo in grado di contemplarla.
Eppure, la morte e la perdita le abbiamo sempre accanto, come ben sa chi, per lavoro, con la morte ha a che fare quotidianamente. Da sempre nelle società esiste il culto dei defunti, la cura del corpo dopo la morte, la celebrazione del deceduto attraverso monumenti funebri grandiosi o poetici, circondati da piante ornamentali. Anche la contemporaneità, benché terrorizzata dalla morte (come dalle malattie e dall’invecchiamento), non può totalmente rifuggire dai rituali funerari che mediano il trapasso e attestano l’affetto di coloro che rimangono in vita. Per tutti questi motivi, il lavoro degli operatori funerari è prezioso, ricco di cura e significato. Essi offrono professionalità, stabilità e conforto ai dolenti, confusi e spaesati nel primo momento della perdita e del dolore acuto. Ma proprio per questo chi ha a che fare con la morte, e soprattutto con il dolore e la sofferenza tutti i giorni per molte ore al giorno, è a rischio di burnout non meno degli operatori sanitari che quotidianamente lottano per strappare alla morte le vite umane.

Con burnout s’intende “un quadro sintomatologico riscontrabile in persone che si trovano a lavorare costantemente sul fronte di relazioni umane particolarmente intense dal punto di vista emotivo, quali le professioni di “aiuto alla persona” (helping professions), come gli operatori sanitari, insegnanti, poliziotti, assistenti sociali" (Rossetti, 2005, p. 18), ai quali possiamo aggiungere gli operatori funerari che, a qualsiasi titolo, hanno rapporti con i familiari e gli amici dei deceduti nel periodo più acuto del lutto. Il burnout si può descrivere come un esaurimento psicofisico dell’individuo, che si determina come risposta a una condizione di vita altamente stressante data dal ruolo lavorativo stesso. Chiunque, per lavoro, si ritrovi a contatto con la sofferenza umana è a rischio di sviluppare, nel tempo, la sindrome da burnout. Ciò avviene perché l’individuo costantemente coinvolto in una relazione d’aiuto, che, per sua definizione, è “asimmetrica” (c’è un operatore che supporta, orienta, sostiene e contiene e una persona in sofferenza, confusa, disorientata, spaventata), si “svuota” più o meno velocemente delle sue energie psicofisiche, tutte volte al sostegno dell’altro in difficoltà, che, quindi, non è in grado di restituire.

Una volta che il “serbatoio” è vuoto e non ci sono le risorse fisiche e mentali per riempirlo nuovamente, la persona può provare spossatezza, insofferenza al lavoro, sensazione di non farcela, ansia e tristezza, finendo per diventare indifferente al proprio lavoro e cinica con gli altri. Da tutto questo è facile evincere come sia di fondamentale importanza arginare il rischio di burnout nelle professioni che ne sono maggiormente soggette.
Per prima cosa, ricordiamoci che il burnout non è un problema che riguarda il singolo operatore, ma tutto l’ambiente di lavoro, che influisce significativamente sul benessere psicoemotivo di dipendenti e collaboratori. Un ambiente lavorativo con un clima sereno e collaborativo, in cui ognuno è tenuto nella debita importanza e il cui ruolo è adeguatamente riconosciuto (non soltanto in termini economici) e apprezzato per la sua importanza, funge da fattore di protezione contro il fenomeno del burnout.

Gli operatori funerari fanno un lavoro importante e prezioso, ma può accadere che la persona in lutto, che si trova a dover richiedere i loro servizi in relazione a un decesso, soprattutto se repentino e inaspettato (una morte per incidente stradale, per esempio, o il decesso di una persona molto giovane), sia talmente sopraffatta dal proprio dolore da non riuscire a relazionarsi con l’operatore con lucidità, se non con cortesia e gentilezza. Ecco che anche questo può alimentare lo stress del professionista, che deve attingere a tutte le proprie risorse relazionali per poter portare avanti il suo lavoro. Il contesto lavorativo dell’operatore funerario deve essere in grado di fornire supporto e collaborazione in ogni caso, anche in quelli più difficili da trattare, mentre risulta importante che tutti gli operatori conoscano le basi della comunicazione efficace e perfezionino le loro capacità di ascolto empatico, che gli permette di costruire una buona relazione anche con la persona più disorientata.
Per arginare il rischio di burnout è anche opportuno che i turni di lavoro non siano massacranti e che sussista l’opportunità di poter condividere con i superiori difficoltà o perplessità. Non è banale ricordare che anche il contesto fisico dell’ambiente lavorativo influisce sul benessere psicoemotivo dell’individuo; pertanto, un contesto pulito, tranquillo, funzionale, con attrezzature adeguate e piccoli spazi personalizzabili (scrivanie o armadietti in cui poter riporre piccoli oggetti personali) può contribuire a mantenere lo stress quotidiano a un livello accettabile. Il burnout è una condizione da non sottovalutare, che va adeguatamente e tempestivamente trattata nell’ottica di ripristinare il benessere fisico e mentale di chi la sta sperimentando; perciò, alle prime avvisaglie di sintomi che ci sembrano andare oltre la normale stanchezza, è bene ricorrere a un professionista della salute psicoemotiva, che potrà fornire un valido supporto e appropriate strategie per gestire al meglio le situazioni stressanti sul lavoro.
Bibliografia di riferimento:
Rossetti, D., Dove ti porto? Il burnout dell’operatore funebre e cimiteriale, in «I Servizi Funerari», 2005, n. 4
www.funerali.org
 
Linda Savelli

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