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Annegano i profughi, guardo la tv

Sto guardando la televisione, i profughi arrivano sui barconi, sfidano la morte traversando un breve tratto di mare. Arrivano da Paesi lontani, Paesi in guerra dove i diritti umani sono calpestati da politiche medievali, dove la vita non conta niente. È uno spettacolo che attanaglia il cuore. Fuggono uomini e donne dalla pelle marrone, superano il deserto, pagano il pizzo alla mafia della falsa speranza: qualcuno ce la fa, altri no, scaraventati in mare da scafisti senza Dio. È una realtà terribile! Il Papa grida “vergogna!” al genere umano! Il nostro governo ne parla, indugia e si divide. La comunità europea presto si riunirà per analizzare il problema e nel frattempo i giornalisti ci sguazzano, forse quasi seriamente.
Sto guardando la televisione, stanno intervistando Jean Claude Mbede Fouda: è un bel giovane di colore, è disinvolto, è un giornalista, è un collega, anch’egli fuggito dalle persecuzioni, adesso lavora nel nostro Paese. Lo ascolto, voglio comprendere perché mi devo vergognare. Parla bene, sa cosa dire. Nessuno lo interrompe mentre illustra che è tutta colpa di questa vecchia Europa se adesso, nell’Africa finalmente libera dalle colonizzazioni, i governi non sono stati capaci di amare la propria gente. Non mi convince! È tutta colpa degli altri, di noi, Paesi “ricchi” e cristianamente accoglienti, che non difendiamo più le nostre frontiere se non con superficiali e innocue leggi che pretendono un minimo di controllo ormai completamente passato in predicato. Pare un difetto oggi essere deboli, confusi, ma ospitali, non sparare più a nessuno, non dire “chi va là?”.
Il giornalista fuggito dal Senegal ha le idee chiare: illustra tutto quello che non va, quello che si deve e non si deve fare, punta il dito sul nostro governo che, sebbene in questo periodo stia toccando il fondo, è pur sempre il nostro e, prima o poi, lo sapremo restaurare, immaginando un nuovo Rinascimento del nostro Paese che ha insegnato al mondo cos’è la civiltà. Il giornalista venuto dall’Africa non ha tutti i torti, ma è un tono deciso il suo: detta proclami, accusa, impone, non ha dubbi su ciò che si dovrà fare per accogliere e per integrare milioni di persone che, da quell’immenso continente che ci guarda dal sud del Mediterraneo, fuggono verso di noi, cacciati dalla loro stessa gente. Non ci sto!
Non mi vergogno, ma soffro nel vedere ciò che accade, soffro nel vedere gente che fugge, che annega, che muore lontano dalla propria terra, ma non sento colpe su di me. Non riesco a condividere i toni quasi minacciosi che impongono come questa vecchia Europa debba farsi carico senza condizioni dell’incapacità, dell’arretratezza, della crudeltà e della violenza di altri governi che governi non sono, ma soltanto califfi e dittatori affamati di potere, pupazzi di interessi internazionali, assassini di popoli senza più storia. Certo, dovremmo andarli ad aiutare, ma si dimentica che non sono ben visti certi cristiani inserimenti. Iniziative che portano cultura e un po’ di sollievo, con l’unica colpa di essere missionari e, per questo, scomodi punti di luce sovente perseguitati e uccisi in ogni parte del mondo soltanto perché portano il bene sotto il segno della croce. Il giornalista senegalese parla, accusa, impone, fa quasi la voce grossa, ma non sono certo che conosca la storia del Risorgimento, di questa nostra Italia che tante volte ha combattuto, ha vinto e ha perso, che tante volte è caduta e poi si è sollevata, che ha pianto i propri morti. Vorrei parlargli, ma non posso.
Migliaia di profughi dalla pelle marrone premono alle frontiere nella vecchia Europa
piena di colpe antiche, oggi terra di ipotetiche promesse, pretesa e criticata, quasi dovuta, senza condizioni reclamata. Dall’altra parte del Mediterraneo esiste un continente che deve ritrovare se stesso: non è facile, ma è l’unica cosa da fare! Un continente bellissimo che non deve perdere la propria identità, che deve ritrovare la propria cultura, ribellarsi ai traffici di armi e di menzogne, rispettare la propria gente e soprattutto, permettere ogni ipotetico aiuto senza sparargli addosso. Mentre Jean Claude Mbede Fouda, fresco giornalista giustamente riconosciuto dall’ordine italiano, intervistato da TGcom24 critica ogni cosa, impone, pretende e tenta di farmi partecipe di nuove e arcane colpe italiane, immagino un Risorgimento africano, immagino altro e glielo vorrei dire. Nel mondo intero i diritti umani sono calpestati e le guerre di potere e di contrapposizione ideologica si spostano da una frontiera all’altra nel nome del dollaro e al grido di un Dio strumentalizzato. È la storia della crudeltà latente del genere umano che dal tempo dei faraoni alla rivoluzione industriale non è mai stata gentile con la povera gente. È una violenza che da sempre imperversa e che ha il volto del male. Il barcone si è capovolto e sono morti in tanti. Non conosciamo neppure i loro nomi e qualcuno piangerà il loro silenzio da qualche luogo sconosciuto nel mondo. Nessun governo verrà a recuperare le loro salme, nessuna patria si occuperà di loro, mescolati nella stessa barca, affogati nelle stesse acque ad un miglio dall’Italia, illusione e sogno di una disinformata e sfruttata speranza. Non è colpa della vecchia Europa tutto questo. Dobbiamo forse vergognarci per rendere loro una degna sepoltura? Dobbiamo vergognarci per tentare comunque di procurare un pasto e un letto a chi ce l’ha fatta? Dobbiamo vergognarci per non sistemare tutti e subito con casa e lavoro senza un minimo di controllo? Le motovedette della guardia costiera erano state costruite per altro, ritengo si stiano comportando bene. Non voglio dire che tutto è perfetto. Viviamo un momento storico di grandi mutazioni, non è facile adeguarsi, ma sento che molto di ciò che sta facendo il nostro decadente Paese meriterebbe un po’ più di rispetto.
Sto guardando la televisione, seduto sulla mia sedia a rotelle, invalido italiano, quasi un profugo in questa civiltà. Sono laureato, sono uno scrittore, un giornalista e ci so fare. So cosa vuol dire lottare, forse sono considerato un diverso, forse non sono inserito come vorrei, ma devo ringraziare la realtà italica in cui vivo perché è grazie ad essa che lo sono. Profugo italico sono controllato, devo dimostrare di non essere un falso invalido. Così è la legge, apparentemente illogica, e la si deve rispettare. Apparteniamo tutti ad un grande mondo rotondo e pieno di contraddizioni: vivere è un rischio, ma ne vale la pena. È un mondo buono quanto crudele, caro collega Jean Claude Mbede Fouda, fresco ospite della nostra terra: non è puntando il dito contro questa civiltà italica, le sue usanze, le sue leggi, i suoi governi e la sua storia, che non vi saranno più barconi carichi di profughi che fuggono da altre brutalità. Forse la vergogna è da ricercare nelle tante contraddizioni del genere umano senza farne spettacolo. Di quella povera gente la mia mente immagina le terre tormentate, la disperazione, le paure, e il mio cuore prova grande tristezza e cristiana pietà. La soluzione esiste, è scritta nel Vangelo, non serve altro per costruire insieme un mondo migliore!
 
Carlo Mariano Sartoris


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