- n. 7 - Novembre/Dicembre 2020
- In ricordo di...
Vittime illustri
Il coronavirus nella sua veloce propagazione non ha risparmiato personaggi noti, alcuni dei quali non sono riusciti a combatterlo.
Si sa che la morte è democratica perché prima o poi colpisce tutti, indistintamente dalla posizione sociale o dal conto in banca. Allo stesso modo si comportano i virus che per stabilirsi nei nostri corpi non stanno a guardare per il sottile, non fanno questioni di classe, di razza o di censo, così come se ne infischiano altamente dei confini territoriali. Per questo tra le migliaia di vittime colpite dal Covid-19 incontriamo anche nomi di persone conosciute, famose a livello mondiale per particolari talenti o meriti artistici.
L’ultimo ad averci lasciato, almeno nel momento in cui stiamo scrivendo questo articolo, è
Stefano D’Orazio, storico batterista del mitico gruppo dei
Pooh ma anche voce e autore di testi e, dopo essere uscito dal gruppo, produttore musicale e di
musical. Si susseguono in queste ore il ricordo commosso degli altri componenti della band, un viaggio nella musica e nella vita durato quasi 50 anni. Lo piange anche la città di Bergamo a cui mesi fa ha dedicato il toccante brano
Rinascerò, rinascerai, il primo rivolto alle vittime della pandemia, scritto assieme a Roby Facchinetti, con l’obiettivo di raccogliere fondi per l’ospedale cittadino Papa Giovanni XXIII.
È del mese di ottobre la storia più struggente in cui una sequenza di causalità diventa un fatto straordinario, ammantandosi di quel mistero insondabile che è l’amore. Stiamo parlando della scomparsa di
Enzo Mari e di
Lea Vergine, una coppia che per essere tale negli anni ’60 sfidò ogni convenzione (in quanto già precedentemente sposati) tanto che furono denunciati per concubinaggio. Designer tra i più visionari del Novecento lui, critica d’arte di grande spessore lei, hanno avuto un rapporto intenso e profondo durato oltre 50 anni. E anche il viaggio nell’aldilà l’hanno voluto compiere insieme: ricoverati entrambi per Covid al San Raffaele di Milano se ne sono andati alla metà di ottobre a poche ore di distanza l’una dall’altro. Enzo Mari è stato ambasciatore del design italiano nel mondo, un punto di riferimento fondamentale non solo per le sue creazioni innovative ma anche per il suo approccio filosofico alla materia e per questo il suo pensiero è già oggetto di studio.
L’architetto
Vittorio Gregotti, deceduto lo scorso 15 marzo, è stata invece una delle prime vittime illustri della pandemia. Laureatosi nel 1952 al Politecnico di Milano, Gregotti è considerato uno dei maggiori protagonisti della generazione che ha ricostruito il Paese nel dopoguerra. Attivo non solo nel suo campo specifico, è stato uno dei maggiori protagonisti del movimento culturale della seconda metà del secolo scorso partecipando alacremente al dibattito che ha coinvolto ogni ambito intellettuale. Architetto estremamente generoso, ha firmato ben 1600 progetti, tra cui la chiesa di San Massimiliano Kolbe a Bergamo, la Galleria d’Arte Moderna a Carrara, la Torre in via Pirelli a Milano, e il controverso Zen di Palermo,
“Un buon progetto che non è stato realizzato come avrebbe dovuto… la mia battaglia persa contro la società locale così com’era”, come ebbe a dire in uno sfogo lo stesso Gregotti constatando come l’idea originale fosse stata stravolta, privando il complesso delle infrastrutture e dei servizi previsti. Gregotti ha rappresentato un punto di rottura con il pensiero architettonico dominante che si rifaceva movimento moderno, mettendo al centro dei suoi progetti la cultura e le tradizioni locali in modo che gli edifici siano in sintonia con la storia del luogo e non replicabili in altri siti. Nella sua lunga e prolifica carriera ha ricoperto anche il ruolo di docente, ha collaborato con diverse riviste e pubblicato decine di saggi. Nel 2012 aveva ricevuto la Medaglia d’Oro alla carriera alla Triennale di Milano.
Lo scorso marzo se n’è andata anche
Lucia Bosè, icona del cinema italiano. Una lunga storia professionale e una travagliata vita privata hanno segnato la sua personalità forte e anticonformista fino alla fine, tanto da scegliere in età avanzata di tingersi i capelli di blu, espressione di uno spirito libero e di uno stile originale. Vincitrice del concorso di Miss Italia nel 1947, sbaragliando concorrenti del calibro di Gina Lollobrigida e Silvana Mangano, incominciò prestissimo a calcare le scene cinematografiche. A 25 anni e dopo 17 film si ritirò a vita privata, sposando il celebre torero spagnolo Luis Miguel Dominguin e dedicandosi alla cura dei tre figli, tra cui il noto Miguel Bosè. Dopo la fine del matrimonio avvenuta del 1967 per le continue infedeltà del marito, riprese la carriera cinematografica. Lavorò con grandi registi, come Antonioni, Fellini e Buñuel.
Nel momento più acuto della prima fase della pandemia ci ha lasciato
Luis Sepúlveda, poeta, scrittore, sceneggiatore regista e attivista politico cileno, naturalizzato francese. Tra i suoi lavori più famosi il libro
Il vecchio che leggeva romanzi d’amore e
Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, una tenera favola che è un inno all’inclusione, alla solidarietà e alla compartecipazione, divenuta anche un film di animazione di grande successo.
Vittima del covid-19 anche
Sergio Rossi, stilista e imprenditore romagnolo, fondatore dell’omonima azienda specializzata nella produzione di calzature femminili di alta qualità. Figlio di un calzolaio che produceva scarpe artigianali su misura, incominciò egli stesso, assieme al fratello, a cimentarsi nella realizzazione di sandali arrivando nel 1951 ad aprire lo stabilimento di San Mauro Pascoli. Dagli anni ’60 le scarpe firmate Sergio Rossi, sono, a detta di Vogue,
“sinonimo di qualità italiana e design classico femminile” per il loro inconfondibile stile
glamour.
Per restare nell’ambito delle calzature vogliamo ricordare anche
Luciano Mercalli, titolare della
Cerim di Vigevano, azienda leader di macchinari per le scarpe, morto per covid nei tragici giorni di marzo.
Il mondo della moda ha pianto anche lo stilista giapponese
Kenzo Takada, noto più semplicemente come Kenzo. Dopo gli studi nella sua terra d’origine approdò a Parigi nel 1970 dove ebbe inizio la sua fortunata carriera. Le sue collezioni sono dominate dai colori e dalle fantasie floreali, diventando negli anni ’70 uno dei più significativi rappresentanti del cosiddetto
Flower Power. La cultura giapponese, il legame con la natura e lo
streetwear newyorkese sono gli ingredienti alla base del suo stile estroso ed originale. Artista eclettico si dedicò anche alla realizzazione di costumi per il teatro, il circo e il cinema e, più tardi, all’arredo di interni lanciando una linea di mobili e complementi d’arredo a sua firma. Famoso e molto amato il suo profumo
Flower by Kenzo, sul mercato dal 2000. Kenzo si è spento nella capitale francese lo scorso 4 ottobre, proprio durante la settimana della moda parigina.
Oltre a Stefano D’Orazio la musica conta altre vittime illustri. Forse poco conosciuti ai più, ma molto popolari per chi ama il genere, nel tragico elenco figurano
Ellis Marsalis, uno dei più grandi pianisti di jazz contemporanei,
Adam Schlesinger, musicista e voce solista del gruppo americano
Fountains of Wayne e colui che era chiamato “il leone d’Africa”, ossia
Manu Dibango, leggenda dell’
afro-jazz.
La cultura italiana ha dovuto dire addio a
Luca Targetti, responsabile del cast del Teatro della Scala e successivamente agente di numerosi artisti, e a
Raffaele Masto giornalista e scrittore, mentre lo sport ha perso
Donato Sabia, due volte finalista olimpionico degli 800 metri piani.
Vogliamo infine ricordare
Ivo Cilesi, psicopedagogista e musico-terapeuta che aveva dedicato tutto se stesso alla lotta contro l’Alzheimer. A lui si deve la
Doll-Therapy (terapia della bambola) mirata ad innescare nelle persone affette da questa malattia degenerativa quel senso di protezione che la patologia ha inibito. Si è presto riscontrato che il prendersi cura della bambola, che può essere facilmente identificata nel figlio o comunque in un essere umano piccolo e bisognoso di accudimento, migliora la stimolazione sensoriale, come pure il senso di cura verso se stessi donando una maggiore serenità.
Nicole Valeria Bisi