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 Gran Torino

La vita (e la morte) oltre il giardino

"Interpreto un tipo strano. Un vero razzista ... Ma ha anche una redenzione. Questa famiglia asiatica si trasferisce nella casa accanto; lui ha combattuto nella guerra di Corea, nella fanteria, e guarda agli asiatici come a una massa indistinta. Ma loro lo aiutano nel momento del bisogno, perché lui non ha un rapporto con la sua famiglia."
Clint Eastwood

Abbiamo già parlato del grande Clint Eastwood con “Million Dollar Baby”. A distanza di quattro anni da quel capolavoro, questa colonna del cinema americano torna a calcare le scene e a lavorare dietro e davanti alla macchina da presa. Per la gioia dei suoi numerosi fans che hanno accolto “Gran Torino” con lo stesso entusiasmo e con la stessa partecipazione di un tempo. Questa volta Eastwood è Walt Kowalski, veterano di guerra ed operaio in pensione, un misantropo indurito dalla vita e dalle terribili esperienze. Kowalski odia la propria famiglia: tutti così opportunisti, tutti così superficiali. Ma, ancora di più, odia i vicini di casa: immigrati della stirpe Hmong del sud-est asiatico. I suoi sono pregiudizi radicati. Molto radicati. Ed è raro nella vita che simili pregiudizi possano essere superati. Eppure, è proprio ciò che accade a Kowalski: quel veterano di guerra, scontroso e solitario, si affeziona lentamente a due ragazzi Hmong. Sono Thao e Sue, i piccoli della famiglia, maltrattati da tempo da una gang di quartiere.
Quella di Kowalski si trasforma allora in una vicenda di coraggio e di redenzione in pieno stile Eastwood. Questa volta, però, il regista aggiunge un altro fondamentale ingrediente: il sacrificio. Il sacrificio di un uomo deluso dal mondo che trova un ultimo spiraglio di felicità nelle persone più impensabili. La vita ha risvolti sorprendenti. E Kowalski, disincantato e disilluso, si rende conto che può nutrire ancora sentimenti positivi: lealtà, affetto, ammirazione. Sentimenti che ad un uomo che ha conosciuto la guerra e che ha ucciso altre persone è davvero difficile provare di nuovo. Ed è per la purezza di quei sentimenti, totalmente disinteressati, che si può morire. “Gran Torino non racconta il sacrificio di un uomo per la donna che ama. Troppo banale. Non racconta il sacrificio di un padre per i propri figli. No, sono temi troppo inflazionati per Clint Eastwood. Il suo filmè la storia di un sacrificio per amicizia. L’amicizia più improbabile che ci possa essere: quella tra un adulto e un ragazzino, di due razze differenti. Un messaggio di tolleranza particolarmente importante in un periodo storico come quello attuale. E se è vero che Kowalski muore ucciso dalla gang di quartiere, lasciando questo mondo con rimpianti e rimorsi, nel suo piccolo ha ottenuto una sorprendente vittoria. Ha superato i propri pregiudizi ed è tornato a vivere davvero. Ha ricominciato a sperare in un mondo che pareva non avere più niente da dargli. Valeva la pena sacrificare la propria vita per chi gli aveva concesso di vivere di nuovo. Un messaggio di forte intensità.
Il film ha conquistato pubblico e critica e ha regalato ad Eastwood il National Board of Review Award per la magistrale interpretazione di Walt Kowalski. 
 
Laura Savarino
 

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