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Vita apparente

Riflessioni semiserie sul desiderio di sopravvivenza, un sogno reso possibile dalle moderne tecnologie informatiche.

Uno dei timori inconfessati di molte persone è quello della morte apparente. Il terrore di non essere veramente deceduto quando verrà decretata la nostra fine, e magari di svegliarsi nella tomba affligge molti di noi. Ricordo ancora mia suocera quando, parlando di cremazione, affiorò il suo timore che nel passaggio tra le fiamme, alla sua dipartita, ci fosse qualche inconveniente: “e se poi non sono morta?” A cui non potei far a meno di rispondere: “Nessun problema, un aiuto ci penso io a darglielo… stia tranquilla!”.

O ancora, si continua a pensare al benessere del corpo anche dopo la sua morte. Io abito a Ferrara, una bella città di grande pregio artistico, ma situata in una zona stagnante e piuttosto umida anche d’estate, per non parlare dei ben noti nebbioni invernali. Nella mia passata esperienza di gestore cimiteriale mi è capitato in diverse occasioni di aver dovuto trovare una soluzione adeguata a coloro che cercavano una sepoltura in un luogo asciutto, o addirittura  di aver dovuto individuare un loculo con “vista sole” per garantire al caro defunto, se non altro da morto, quella condizione “secca” che l’infelice situazione climatica ferrarese non gli aveva permesso in vita. E io che, nel magnificare la posizione con una certa qual professionalità, elencavo i pregi del posto, come pure i difetti (ad es. l’alternanza del giorno e della notte che, con le alte escursioni termiche avrebbe favorito il rigonfiamento della cassa di zinco interna con maggiori possibilità di rottura)… E via così di questo passo, nel prospettare al malcapitato questa o quell’altra soluzione tombale, mi ritrovavo a competere con eloqui degni del miglior piazzista immobiliare! Che dire poi delle considerazioni sulla velocità di sviluppo della cremazione nella mia città? Tra noi “beccamorti” del luogo si discusse parecchio sulla naturale tendenza del ferrarese a ricercare soluzioni asciutte, almeno da morto. E le battute, ovviamente, si sprecavano sul fatto che da cremati scomparissero quei reumatismi che ci avevano tediato per gran parte della nostra esistenza terrena.
Ma certo non avremmo mai pensato che, per la legge del contrappasso, al posto del timore della morte apparente in questi anni prendesse piede il desiderio di “vita apparente”, cioè quel succedaneo di immortalità che consiste nel tentare di far sopravvivere al defunto una sua immagine virtuale o addirittura un ologramma con fattezze, tendenze e, in alcuni casi, voce capaci di evocarci dopo la nostra dipartita. Un senso di onnipotenza che pervade l’uomo del XXI secolo e che, grazie allo sviluppo dell’informatica, sta trovando sbocchi sempre più discutibili.
È un servizio della BBC che ci ricorda che nel 2010 venne alla luce un sito web dal nome “Eternità virtuale”, con l’intento di creare una sorta di avatar di noi stessi. Questo nostro omologo digitale, ricreato sulla base delle foto inserite, veniva opportunamente istruito attraverso un processo di apprendimento che prevedeva risposte a test della personalità, e successivamente completato con l’inserimento del proprio profilo vocale e addirittura, di modi di ragionare tratti da nostre precedenti esperienze. Anche il sito tuttavia passò a miglior vita dopo circa due anni, raccogliendo comunque una decina di migliaia di persone che avevano provato questa inebriante esperienza. Insomma, proprio non se ne vuole sapere di morire veramente! E così cè chi ha pensato bene, un po’ per divertimento e un po’ per soldi, di promettere una sorta di immortalità digitale utilizzando tecniche di intelligenza artificiale per apprendere da precedenti post del defunto, rilasciati in vita sui social network, i suoi valori, le sue attitudini, il suo pensiero e i suoi modi di esprimersi per essere così in grado continuare a pubblicare messaggi su Facebook, Twitter o altri social media anche dopo la sua dipartita! Pensate un po’ ad un tipo come il sottoscritto che si iscrive ad uno di questi servizi online di immortalità digitale (esistono veramente, e più d’uno: www.eter9.com, http://eterni.me, www.lifenaut.com) per continuare a dire la sua, rompendo le scatole anche da morto! Una tragedia per chi rimane, costretto ad iscriversi ad altri servizi automatici online con il solo scopo di cancellare i messaggi provenienti dall’invadente defunto-immortale!

Dopo questo pezzo, un po’ scherzoso e un po’ no, frutto delle vacanze pasquali, invito chi volesse veramente approfondire questo tema a leggersi un post dal titolo “La Morte Digitale: Chi Vuole Vivere Per Sempre?”  di Davide Sisto, ricercatore post-doc in Filosofia Teoretica presso l’Università di Torino, uno tra i primi esponenti in Italia della Digital Death, ambito di studi che mira a rispondere all’interrogativo: “cosa succede alla nostra identità e ai nostri dati online una volta che siamo morti e quali effetti producono sui vivi?”, un argomento di grande interesse e di sempre maggior attualità.
 
Daniele Fogli


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