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vie parallele

L'attualità di questi giorni ci propone due segnali contraddittori sul rapporto tra l'uomo e la morte. Da una parte un giovane francese che vuole morire per la pessima qualità della sua vita, dall'altra un vecchio polacco che vuole vivere e che afferma le ragioni della vita nonostante il decadere delle proprie condizioni.
Hanno entrambi ottime ragioni dalla loro parte.
Il giovane è un pompiere che un incidente automobilistico ha ridotto in stato irreversibile di paralisi, cieco e muto. Gli è rimasta solo la lucidità mentale che non solo non gli basta per voler continuare a vivere, ma che usa per decidere "razionalmente" che non vale piĆ¹ la pena di vivere e per rivolgersi agli altri perché lo aiutino a morire. Ha perfino scritto a Chirac perché lo aiuti ad aggirare l'ostacolo legislativo che gli impedisce di ricevere l'aiuto che chiede per morire (l'eutanasia non è ammessa in Francia); poi ha scritto un libro che è un appello al diritto di morire quando la vita è diventata insopportabile; infine ha chiesto a sua madre che l'aiutasse a morire.
Il vecchio è un Papa che, dopo aver viaggiato in lungo e in largo e aver mostrato la potenza mediatica del suo ruolo al mondo, una malattia sta riducendo progressivamente ad un povero essere senza forze, esposto alla compassione degli altri quando si ostina a svolgere il suo ruolo come se fosse sano e valido come prima. Quelli che pensano al ruolo del pontefice come al ruolo di un potente della terra gli suggeriscono continuamente di ritirarsi in modo da non esporre la Chiesa ai rischi di una guida insicura e i fedeli al paradosso di essere guidati da qualcuno che ha troppo bisogno degli altri. Ma il vecchio Papa non solo non si ritira, ma ha cominciato a parlare esplicitamente della sua morte, e della morte, quasi sfidandola. Ha detto: " Nonostantele limitazioni conservo il gusto della vita, la vita è un dono troppo bello e prezioso perché ce ne possiamo stancare". Ciò perché, come ha detto in altre circostanze, "... nessuno vive per sé, nessuno muore per sé: sia che viviamo sia che moriamo siamo del Signore". E il Signore fa sperare, sperare nel paradiso dell'altra vita.
Buone le ragioni per rifiutare la vita, buone le ragioni per continuare a vivere "nonostante le limitazioni".
Le ragioni del giovane pompiere per voler morire sono le ragioni di chi vive e muore per sé, per godere della sua vitalità biologica (i suoi sensi) e personale (i suoi progetti) e concepisce gli altri solo in questo orizzonte biologico e personale, facendo appello agli altri perché lo aiutino a morire la sua morte così come prima presumibilmente faceva loro appello perché lo aiutassero a vivere la sua vita. Per lui la vita non è un dono ma un diritto, un diritto che si ha il diritto di rifiutare quando viene negato. Come potrebbe altrimenti chiedere a sua madre, che gli ha dato la vita, di togliergliela?
Come si sa, alla fine è stata la madre che ha aiutato il giovane francese a morire ed egli è morto con l'aiuto di medici che non se la sono sentita di rianimarlo e di salvarlo. Come potrà questa madre vivere con il peso di aver dovuto uccidere il figlio cui aveva dato la vita perché nessun altro ne ha raccolto l'appello? Forse solo essendo approvata per ciò che ha fatto. Ma anche lei potrebbe pensare che, mettendolo al mondo, stava esercitando un diritto (il diritto biologico delle donne e il diritto personale della decisione di avere un figlio), e quindi che il suo aiutarlo a morire non sia stato altro che un atto d'amore, cioè l'atto di chi dà valore alla tua volontà e ti aiuta a realizzarne gli obiettivi; ed è legittimato a farlo proprio perché quel valore deriva da un altro valore, il valore della decisione di mettere al mondo un figlio.
Le ragioni del vecchio Papa di continuare a vivere a qualunque condizione sono le ragioni di chi vive e muore per altri, per valorizzare e per apprezzare il dono della vita che, essendo stato ricevuto, non si può rifiutare, non si ha mai il diritto di rifiutare. Se poi le condizioni di questa vita sono gravose è la speranza a sostenerci, la speranza che chi ci ha dato la vita ce la ridia, che non ce l'ha data così precaria e tragica per farci soffrire ma per portarci in paradiso dopo avere esaltato il nostro valore attraverso l'accettazione della sofferenza.
Sono due vie parallele per vivere la morte che sono compresenti nella nostra cultura e che spesso confliggono irreparabilmente perché non si scorge ciò che hanno in comune: né scegliendo la via del giovane pompiere francese, né scegliendo quella del vecchio Papa si potrà farcela da soli! Il pompiere non potrebbe morire senza l'aiuto degli altri, il Papa non potrebbe vivere senza l'aiuto di Dio. Ed è per entrambi paradossale: chi vuole essere aiutato a morire deve divinizzare gli altri (chi se non un dio può pensare di avere il diritto di farti morire?); chi sceglie comunque la vita deve divinizzare se stesso (chi se non un dio può sperare di rivivere dopo la morte, cioè sapere con certezza che il fine di Dio è di portarti in paradiso attraverso la sofferenza?).
Stando così le cose, si può supporre che né il vecchio Papa poteva convincere il giovane pompiere ad accettare la sua pessima vita, né il giovane pompiere poteva convincere il vecchio Papa a desiderare la morte come unico rimedio alle limitazioni della vita.
In altri termini, se gli altri ti propongono qualcosa di impossibile per te non possono aiutarti, a meno che anche ciò che tu proponi a te stesso non sia impossibile.
Si obietterà che il giovane pompiere e il vecchio Papa sono proprio due figure che realizzano qualcosa che sembrerebbe impossibile: il primo di trasformare in un dio colui o colei che viene chiamato ad aiutarlo a morire (e per questo, prima o dopo, qualcuno si troverà); il secondo di identificarsi con dio al punto da avere una fede assoluta nelle sue promesse (ed è per questo che affidandosi al Signore un calvario si potrà trasformare in una gioia).
Sì, ma ciò che è possibile per sé non lo è per l'altro: ciò che servirebbe è che il giovane pompiere e il vecchio Papa si scambiassero le parti, che la soluzione dell'uno valesse anche per l'altro e non solo per sé, in modo tale che chi rifiuta la vita trovasse ragioni di vita e chi la accetta a tutti i costi ogni tanto ne dubitasse. Solo in tal modo potrebbero parlarsi e scoprire che stanno praticando due soluzioni impossibili l'una di fronte all'altra. Potrebbero scoprire che le buone ragioni di ciascuno sono meno buone di fronte alle buone ragioni dell'altro, cosicché il vecchio Papa potrebbe dire al giovane pompiere che le limitazioni della vita non sono mai tali da voler morire e il giovane pompiere potrebbe dire al vecchio Papa che la fede non è mai tale da poter accettare tutte le limitazioni della vita. Insomma potrebbero incontrarsi e capire, stando insieme e parlandosi, che accettazione e rifiuto della vita possono convivere perché chi accetta la vita può aiutare chi la rifiuta anche ad accettarla quel tanto che consente di non togliersela; ma ciò è possibile se chi rifiuta la vita aiuta chi la accetta a rifiutarla quel tanto che gli consenta di allearsi con chi la rifiuta e farlo sentire amato.
 
Francesco Campione

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