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Il giardino delle Vergini suicide

Viaggio onirico di cinque angeli biondi

Era passato più di un anno da quando Cecilia si era tagliata le vene, spargendo il veleno nell’aria”
Tim Weiner
Cecilia fu la prima. Si tagliò le vene nel bagno di camera sua, al secondo piano di una villa con giardino. Si salvò per miracolo, trascinata di peso fuori dalla vasca dalle braccia di suo padre e portata di corsa in ospedale. Cecilia era la più giovane delle sorelle Lisbon, cinque angeli biondi appena adolescenti che incantavano l’intero quartiere.
Le Lisbon vivevano in una cittadina di provincia nel profondo sud americano, baciata da un sole perenne e abitata da un’umanità sobria e riservata. Della cittadina non si conosce il nome. È un non-luogo in cui il tempo pare essersi fermato. Le villette a schiera sono circondate da lembi di giardini ben curati, le foglie degli alberi si muovono al vento e un gruppo di ragazzi gioca senza troppo rumore a pallacanestro. L’atmosfera è asfissiante, l’aria è immobile. Lo spettatore è come soffocato e si aggrappa all’unico elemento balsamico in grado di recargli sollievo: la voce, calda e calma, di un uomo che lo proietta all’interno della storia.
La storia è quella dei coniugi Lisbon e delle loro cinque figlie, isolate dalla comunità per volontà di genitori bigotti e condannate a vivere una realtà opprimente e solitaria. Le Lisbon sono un mistero per i giovani del quartiere, attraversano la loro quotidianità come visioni celesti, sfuggenti ed eteree, e paiono non appartenere a questo mondo. Si muovono in gruppo e raramente parlano con qualcuno. Lux è la più audace e sfrontata delle cinque, seduttrice voluttuosa dagli occhi tristi e dalle labbra sottili, il sogno adolescenziale di tutta la scuola. La personalità delle altre, invece, ha contorni meno definiti, è portata appena in superficie da una mano registica sobria e delicata che rispetta il riserbo dei personaggi.
Sono gli altri infatti a parlare per le Lisbon, i ragazzi del quartiere che le ammirano da lontano o le vicine di casa preoccupate per la loro sorte: Lux Lisbon incontra Trip Fontaine, il più desiderato della scuola. Trip la invita al ballo e fa invitare dai suoi amici anche tutte le altre sorelle. Le Lisbon trascorrono una serata meravigliosa, la prima e unica festa fuori dalle mura domestiche, ma Lux torna a casa in ritardo e la punizione è delle peggiori: barricate in casa, ritirate dalla scuola, non avranno più alcun contatto con il mondo esterno. Lo spettatore viene a conoscenza dei dettagli da voci esterne e ricompone in solitario i pezzi di un puzzle di difficile comprensione che nemmeno alla fine pare mostrarsi più chiaro.

Sofia Coppola
non indugia mai sul ripiegamento intimista, ma mette in scena con rigore un dramma corale, bisbigliato, che si consuma silenzioso tra le pareti di una villa residenziale. Il dolore impregna le stanze, ma non è mai urlato, è latente, sottotraccia, erode un’atmosfera claustrofobica in cui la tragedia è annunciata, ma non per questo meno efficace. C’è un episodio infatti, un unico episodio in cui i toni sono più accesi, che sigilla l’epilogo della vicenda: Lux è di fronte al caminetto e stringe a sé la sua scatola di vinili, il meglio del rock anni ’70 che la madre intende bruciare davanti ai suoi occhi. Il fuoco è la catarsi, i vinili tra le fiamme la purificazione. I vinili però non bruciano, l’odore che si diffonde nell’aria è insopportabile e la madre è costretta a buttarli nella spazzatura fuori casa. La catarsi non è avvenuta, le ragazze non possono salvarsi.

 
Laura Savarino
IL GIARDINO DELLE VERGINI SUICIDE
(USA, 1999)
di Sofia Coppola
Durata: 95 minuti
Cast: James Woods, Kathleen Turner, Josh Hartnett, Kirsten Dunst, Scott Glenn.

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