- n. 3 - Maggio/Giugno 2019
- In ricordo di...
L'ultimo mulo degli Alpini
"Come tutti i veri Alpini, anche il generale Iroso non è morto, è semplicemente andato avanti, per restare sempre nei nostri cuori" Luca Zaia
Se n’è andato anche
Iroso, l’ultimo mulo ancora in vita in forza agli Alpini, simbolo di una tradizione militare ormai scomparsa.
Solo qualche mese fa c’erano stati i grandi festeggiamenti per il suo quarantesimo compleanno, con tanto di banda ed alzabandiera, anche perché aveva raggiunto un’età ragguardevole (al massimo i muli non superano i 35 anni) che può essere paragonata a ben 120 anni dell’essere umano.
Quello degli
Alpini è più antico Corpo di fanteria da montagna attivo nel mondo. Costituito nel 1872 per proteggere i confini settentrionali d'Italia, ha sempre avuto un ruolo speciale nella storia militare del nostro Paese. Si è distinto in particolare nella
Grande Guerra, ed è proprio durante questo tragico periodo che
il sodalizio tra questi tenaci animali e le Penne Nere divenne fondamentale. Ai muli era affidato il compito di trasportare gli armamenti e i rifornimenti sugli impervi sentieri di montagna, spartendo con gli uomini la durezza di quella vita, sfidando insieme non solo il nemico, ma spesso anche il freddo e la fame. Con la fine del periodo bellico e la dotazione di mezzi cingolati, la necessità di utilizzare i muli diminuì drasticamente tanto che
nel 1993, per ordine del Ministero della Difesa,
gli ultimi animali rimasti vennero venduti dall’asta.
Iroso era fra questi. Terminata prematuramente la carriera militare
ha trascorso il resto della sua vita da civile nella stalla del signor Antonio De Luca, anche lui ex Alpino, e data la veneranda età a cui è arrivato, non abbiamo dubbi che sia stato trattato con grande rispetto e amore. Per alleviare la monotonia della pensione il signor De Luca, oltre a portarlo spesso a passeggiare, si è anche preoccupato di mettergli accanto una compagna: la mula Gigliola, al suo fianco per dieci anni. Alla morte di quest’ultima Iroso fu inconsolabile e dopo due giorni di ragli strazianti al suo proprietario non restò altro che prendere in prestito a tempo indeterminato una giovane asina per tenergli compagnia.
Negli ultimi tempi gli acciacchi dell’età erano apparsi sempre più evidenti, cieco da un occhio e prostrato nel fisico si è spento in modo naturale lo scorso 29 aprile. La sua morte è stata comunicata in tono solenne dal
presidente della sezione Ana (Associazione Nazionale Alpini)
Francesco Introvigne che si è detto molto addolorato della perdita e ricordandolo con affetto ha affermato:
“La sua è stata una lunga e onorata carriera, una vera icona da Alpino in armi, anche da congedato. Era davvero il simbolo della nostra sezione e del reparto Salmerie”.
"Come tutti i veri Alpini, anche il generale Iroso non è morto, è semplicemente andato avanti, per restare sempre nei nostri cuori" ha commentato il
presidente della Regione del Veneto, Luca Zaia che all’oramai leggendario mulo ha dedicato un lungo post su Facebook che in poche ore ha guadagnato migliaia di like.
"Tante volte - ricorda il Governatore -
ci siamo incontrati con Iroso, ed era sempre come ritrovare un vecchio amico, non solo un animale da accarezzare e rispettare. Un amico degli Alpini, di noi grandi come dei tanti bambini che se ne innamorarono…. In lui c’è stata una fierezza straordinaria, con la quale ha rappresentato tanti valori: l’alpinità, la storia del nostro territorio, l’identità del Veneto e delle genti di montagna".
C’è chi, come
Paul Humbert Brennan, che rispondendo al post di Zaia si augura che
“possa essere tumulato in un cimitero di guerra per simboleggiare anche tutti quei muli che nelle guerre sono morti, perché dobbiamo ricordarci anche di loro, non solo dei tanti soldati caduti, ma anche di questi eroici ed arditi equini”.
Quest’anno Iroso non ha potuto partecipare, come era solito fare, all’adunata nazionale degli Alpini. Rimane però il suo zoccolo con la stampigliatura del numero di matricola 212 che verrà conservato in una teca speciale, ricordo indelebile di un glorioso passato.
Stefano Montaguti