- n. 11 - Dicembre/Gennaio 2001
- Psicologia
ANCORA SULLE TWIN TOWERS...
Continuiamo la riflessione sulle conseguenze tanatologiche dei fatti dell'11 settembre. Ho già accennato in precedenza ad un tema che vale la pena di approfondire: bisogna far la "guerra" al terrorismo ed eliminare i terroristi una volta per sempre perché non si può dialogare con chi non ha paura di morire (i kamikaze)?
Il pensiero dominante e tendenzialmente unico che ha portato alla guerra e che la alimenta sostiene che bisogna rispondere positivamente alla domanda. A sostegno di questa risposta si adduce la dichiarazione di Bin Laden che suona pressappoco così: "noi vinceremo l'Occidente perché amiamo la morte come gli occidentali amano la vita".
Sembra tutto chiarissimo. Loro non hanno paura di morire perché credono che ci siano cose più importanti della vita stessa (le prescrizioni del Corano e cioè la Volontà di Allah), noi occidentali non crediamo più a niente e perciò abbiamo una vita sola che temiamo di perdere; loro possono educare i loro giovani ad immolarsi per la volontà di Dio ("kamikaze" significa infatti tempesta-kaze di Dio-kami), noi li educhiamo a pensare ciascuno alla sua unica e irripetibile vita producendo in ognuno una paura invincibile di morire; loro ci possono colpire quando vogliono perché ciascuno di loro è un'arma vivente, noi dobbiamo cercare di eliminarli rapidamente mettendo meno a rischio possibile la vita dei nostri soldati poiché più ne moriranno e più la nostra paura di morire e la nostra vulnerabilità cresceranno. Le cose sembra proprio che stiano andando così: appena un mese dopo aver subito l'attacco kamikaze l'Occidente ha cominciato a cercare Bin Laden e i suoi sostenitori per eliminarli e impedire loro al più presto di addestrare altri giovani al martirio kamikaze. E l'ha fatto in modo da mettere la vita degli occidentali meno a rischio possibile, cioè con bombardamenti, truppe speciali e utilizzo dei nemici di Bin Laden, che non hanno paura di morire in guerra non perché mettono la loro vita al servizio di qualcosa di superiore ma perché, se non vincono, muoiono. C'è, inoltre, l'intenzione forte di continuare la guerra fino a quando non si saranno eliminati tutti "quelli che amano la morte e non ne hanno paura".
Ma stanno veramente così le cose? Siamo noi occidentali veramente come Bin Laden ci dipinge e come il pensiero dominante mostra di condividere?
Cominciamo col dire che non è vero che non crediamo in niente: è sotto gli occhi di tutti che siamo dominati dalla "religione del benessere", al punto che, per alleviare la fatica di vivere e godere una vita facile, abbiamo edificato e continuiamo ad edificare una "cultura" talmente basata sullo sfruttamento di ogni risorsa che non solo il nostro "mondo" ma tutto il pianeta che abitiamo ne soffre nel suo aspetto "naturale". Lo sappiamo benissimo, beninteso, che le cose stanno così, ma come facciamo a rinunciare al benessere che noi occidentali ne traiamo? Ma chi crede nel benessere non ha paura in primo luogo della morte bensì teme la sofferenza. "Non ho paura di morire, ho paura di soffrire" dichiara la maggior parte di noi continuamente; per non parlare di quelli sempre più numerosi che appena la qualità della vita scende al di sotto di un certo livello pensano che la loro vita non abbia più senso e se la tolgono o chiedono a qualcuno di togliergliela, dolcemente però, senza soffrire più di tanto! Stando così le cose, l'argomento da contrapporre a Bin Laden e al pensiero unico dell'Occidente dovrebbe essere il seguente: noi amiamo la vita perché abbiamo una buona vita, voi amate la morte perché avete una cattiva vita. Anche noi in altri tempi abbiamo creduto che fare la volontà di Dio, cioè dedicare la nostra vita a qualcosa di superiore, fosse giusto, ma abbiamo capito col tempo che il benessere si consegue meglio cercando di dedicarsi alle cose terrene per migliorarle piuttosto che alle cose divine che ci inducono ad accettare la nostra vita così com'è anche quando è piena di sofferenze.
Ci accorgeremmo così che si può dialogare con chi ama la morte perché segue un dio, dato che anche costui, come tutti, desidera una buona vita e forse non disdegnerebbe d'essere aiutato per conseguirla. E potremmo anche ammettere la necessità di combattere ed eliminare coloro che non si riesce a convincere (ci potrebbe essere qualche matto come quell'altro matto di Hitler che andava fermato in tempo anche per ragioni non proprio buone), perché in tal modo staremmo difendendo il nostro diritto di essere lasciati in pace, ai nostri commerci, per conseguire il benessere (non stavano facendo questo le tremila o seimila persone delle Torri gemelle quell'11 settembre? E non sarà perché stavano facendo altro quelli del Pentagono che non si parla tanto di loro?). Ma dovremmo farlo senza peggiorare le nostre condizioni di vita, quel benessere che è la nostra religione. Sarà forse perciò che tante persone che in Occidente lottano per un mondo migliore stanno rifiutando una guerra senza termine adducendo l'argomento per cui tutto con la guerra peggiorerà: saremo meno liberi, viaggeremo meno, saremo e ci sentiremo meno ricchi e tranquilli, avremo cioè meno benessere!
Certo tutti coloro che nel mondo non hanno una vita piena di benessere come la nostra proprio perché abbiamo monopolizzato le risorse necessarie potrebbero obiettare che non abbiamo il diritto di difendere il nostro benessere finchè esso resta basato sul malessere di altri. E sarebbe un argomento contro la guerra non "moralistico", così come non lo è l'argomento dei poveri dell'Occidente che dichiarano di non sentire nessun interesse per questa guerra: perché non vanno più spesso i nostri giornalisti dai poveri di casa nostra a chiedere cosa pensano di Bin Laden? Posso testimoniare che il mio barbiere, che non è proprio povero ma che soffre di una invidia terribile per i ricchi del pianeta, dice che Bin Laden non ha poi tutti i torti.
Potremmo, in altri termini, dialogare con coloro che ci minacciano sia cercando di eliminarli se sono pazzi scatenati, sia aiutandoli a conseguire una vita altrettanto buona della nostra se sono interi popoli che rischiamo di far cadere preda della demagogia di pazzi scatenati. Il guaio è che, per farlo, dovremmo mettere a rischio un po' del nostro benessere: così non facciamo niente e non ci resta che l'alternativa difficilissima di eliminare i terroristi senza rischiare la nostra vita e il nostro benessere. Così come l'immensa ricchezza di Bulgari esibita nella quinta strada non riesce ad eliminare le sacche di povertà che si incontrano svicolando a poca distanza. Ma i ricchi regalano qualcosa solo quando conviene loro, cioè non regalano mai niente. E allora non resta che affidarsi ai signori della guerra e sperare che per diventare sempre più ricchi producano armi sempre più micidiali e pulite per eliminare i terroristi senza mettere a repentaglio la nostra bella vita.
Purtroppo resta più probabile che coi proventi delle guerre costoro manderanno al potere i loro uomini i quali faranno in modo che non appena un terrorista è stato eliminato ne sorga subito un altro da un'altra parte in modo da avere sempre qualcuno da eliminare militarmente e continuare a produrre e vendere armi.
Se uno ha una bella vita non vuole perderla, ma la bella vita di qualcuno si basa quasi sempre sulla brutta vita di qualcun altro. Non restano che due alternative: chi ha di più regala la metà di quello che ha a chi ha di meno, oppure scoppia una guerra per il dominio delle risorse. Ma nessuno dei due può dire che lotta per il dominio sull'altro: ognuno dirà che il suo Dio gli ha parlato ed è per fare la sua volontà che sta combattendo: Bin Laden dirà che gliel'ha detto Allah, Bush dirà che gliel'ha detto il Dio dei puritani che premia i suoi fedeli con la ricchezza. Nessuno dei due si assume una responsabilità personale: se lo facessero rischierebbero la vita in proprio nella loro nudità di singole persone e sarebbe impossibile che si facessero la guerra perché avrebbero entrambi una paura blu di morire (vorrei proprio vedere Bush, vestito solo coi suoi stivali da cow boy, attaccare un Bin Laden vestito solo della sua barba!). Men che meno chiedono ai loro sottoposti se sono d'accordo con le loro scelte: sono due capi non criticabili con un immenso potere di costrizione verso i loro sottoposti.
Ma questi vogliono salvare le loro belle vite o assumersi le loro responsabilità, e di fronte a questo non hanno altra possibilità che affidarsi a dei capi delle cui decisioni apprendono il senso solo quando sono già state prese. Ecco perché i loro argomenti appaiono così complementari. Ma torneremo sull'argomento.
Francesco Campione