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GAETANO DONIZETTI, Lucia di Lammermoor

Tombe degli avi miei

Atto II, scena VII. All'esterno del castello di Wolferag; "Si scorge un appartamento illuminato. Tombe dei Ravenswood. È notte".
Il primo tenore entra in scena; è solo, per la prima volta. Ha già cantato molto, e la sua voce ha modulato alcune delle più memorabili linee melodiche dell'opera (e del melodramma ottocentesco in generale), ma sempre in duetti o in pezzi d'insieme.
L'attesa è grande, buona parte del pubblico conosce praticamente a memoria parole e musica del recitativo che il cantante sta per intonare, e dell'aria che immediatamente segue; e certo ha presente alcune grandi esecuzioni del passato, più o meno lontano.

Tombe degli avi miei, l'ultimo avanzo / D'una stirpe infelice / Deh! Raccogliete voi. Cessò dell'ira / Il breve foco…(…) Per me la vita / È orrendo peso!…l'universo intero / È un deserto per me senza Lucia (…).

Così suonano i versi di Salvadore Cammarano nella prima parte del celebre recitativo che il tenore ha iniziato a cantare, scolpendone gli accenti e le pause con tutta l'espressività di cui è capace.
Ma perché questo momento cruciale di una delle opere più universalmente e ininterrottamente note e amate dell'intero repertorio melodrammatico si svolge presso un sepolcro?

Siamo al centro di uno di quegli insolubili nodi di contrasti estremi che caratterizzano spesso la sensibilità romantica, specie in sede di teatro musicale: amore, morte, rovina, riscatto, vendetta. Sir Edgardo di Ravenswood proprio in quel luogo aveva giurato vendetta alla stirpe rivale degli Ashton - gli assassini di suo padre - ma, per uno di quei paradossi tragici che sono l'essenza stessa dell'immaginario romantico, ama, ricambiato, miss Lucia Ashton (Sulla tomba che rinserra / Il tradito genitore / Al tuo sangue eterna guerra /io giurai nel mio furore: / Ma ti vidi…), aveva cantato nel I atto; ma lei ora è andata sposa ad un altro. Sul tema della tomba insiste anche l'aria: Fra poco a me ricovero / Darà negletto avello… / Una pietosa lacrima non scorrerà su quello / (…) Tu pur, tu pur dimentica / Quel marmo dispregiato (…).

Dunque la tomba come segno di appartenenza, di una identità, luogo dove si alimenta il fuoco dell'odio e della vendetta; ma anche, nella solitudine della sconfitta, luogo dell'estremo, mesto rifugio. Solo nello scioglimento finale (la scena successiva) apparirà anche a Edgardo la verità: Lucia l'ha sempre amato; caduta nella follia ha ucciso il consorte impostole ed è ora in punto di morte; il suo pensiero, cessati gli odii di cui la tomba fu simbolo, si rivolge ad una unione ideale in cielo. Facile, ma solo per chi non ha mai sentito l'opera, attribuire ingenuamente tutto ciò alla retorica melodrammatica; e riprodurre i versi del libretto non basterà a rendere la vera emozione che prende l'ascoltatore quando Edgardo, prima di uccidersi, intona ah se l'ira dei mortali / fece a noi sì lunga guerra, / se divisi fummo in terra / ne congiunga il Nume in ciel.
 
Franco Bergamasco

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