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Sul testamento biologico

Una legge chiara con paletti precisi, piuttosto che un provvedimento poco trasparente “che lasci spazio a interpretazioni, da parte della magistratura, in chiave eutanasica”. È quanto chiede la senatrice Pdl Laura Bianconi relativamente al testo sul tema del fine vita in discussione presso la Commissione Sanità del Senato. “Ribadisco - sottolinea la vicepresidente dei senatori del Pdl - che occorre prima di tutto che non si parli di testamento biologico perché tale terminologia, nella mentalità comune, è legata alle disposizioni post-morte dei propri beni che ciascuno di noi può fare”. Il testo in discussione in Commissione “è nato con il preciso scopo di garantire il principio della indisponibilità della vita umana su cui, da sempre, si fondano la struttura della nostra società e la nostra cultura. Per tale motivo non può essere modificato in una disposizione normativa che tratti la vita umana al pari di un bene materiale. Purtroppo l’apertura alle dichiarazioni anticipate di trattamento agevola comunque l’abbandono del paziente e, quindi, un presunto diritto alla morte. Presenterò alcuni emendamenti che andranno a rafforzare il concetto che idratazione, alimentazione e ventilazione non possono mai essere sospese; ogni decisione in merito ai trattamenti sanitari dovrà essere presa dal paziente, anche in conseguenza dei progressi tecnico scientifici, in un preciso rapporto di alleanza terapeutica con il proprio medico”. Quanto alla possibilità, avanzata da alcuni senatori del Pd capeggiati da Ignazio Marino, di raccogliere firme per un referendum abrogativo della futura legge, “l’intimidazione di mobilitare il popolo del referendum non ci spaventa: identica condotta è stata utilizzata a suo tempo con la legge 194 sull’aborto. Consiglio sinceramente al senatore Marino e agli altri di lasciare lavorare il Parlamento senza utilizzare strumentalizzazioni di piazza per convincere alcuni onorevoli a seguire la deriva verso l’eutanasia”.
In Italia se ne parla da anni, ma la normativa sul testamento biologico ha trovato molti ostacoli sulla propria strada. Il caso Englaro ha messo in evidenza una lacuna legislativa esistente nel nostro Paese. Ma come è regolata nel mondo la complessa materia del fine vita?
Sono gli Stati Uniti a regolamentare per primi, con il “Patient self determination Act” del 1991, il Testamento biologico o Testamento di vita (“living will”), a conclusione di un lungo confronto iniziato negli anni ’70 nelle Corti Supreme di diversi Stati, nella Corte Federale e nella società civile. Oggi è delineabile la seguente situazione: nutrizione e idratazione sono considerati trattamenti sanitari, non mezzi per il mantenimento della vita; il paziente cosciente e capace può rifiutare i trattamenti anche se di sostegno vitale; per quanto riguarda il paziente non più cosciente, va rispettato il suo rifiuto di terapie se espresso e documentato in condizioni di capacità; se il paziente non più cosciente non ha espresso, in condizioni di capacità, una propria volontà sulle cure, la decisione sulle scelte terapeutiche sarà presa da un fiduciario (“substituted judgement”), solitamente un familiare.
In Canada non esiste una politica uniforme in materia di “living will”. Solo in alcuni Stati (ad esempio Manitoba e Ontario) le direttive anticipate di trattamento hanno valore legale. Negli altri, invece, ogni Provincia assume decisioni autonome.
Anche in Australia manca una legge uniforme, tanto che è in corso un acceso dibattito che vede contrapposti coloro che vogliono una normativa che regoli il testamento biologico e i fautori dell’eutanasia, soprattutto per i malati terminali. Alcuni Stati si sono dotati di una legge sul “living will”, con provvedimenti che ricalcano quella statunitense.
In Europa non esiste ancora una disciplina sul Testamento Biologico recepibile dagli Stati membri, ma alcuni di questi hanno comunque adottato autonomamente disposizioni sulla materia.
In Belgio l’eutanasia, su richiesta esplicita del paziente, è prevista dal 2002. Ai cittadini viene anche riconosciuta la possibilità di predisporre un testamento biologico con dichiarazioni anticipate di trattamento, scegliendo a quali cure sottoporsi e quali rifiutare.
Con una legge sul “living will” la Danimarca ha istituito una apposita “Banca dati elettronica” che custodisce le direttive anticipate presentate dai cittadini. In caso di malattia incurabile o di grave incidente, i danesi che hanno depositato il testamento medico - documento che ogni camice bianco è tenuto a rispettare - possono chiedere l’interruzione delle cure e dei trattamenti e di non essere tenuti in vita artificialmente. Nel caso di sopravvenuta incapacità, i diritti del malato possono essere esercitati dai familiari.
In Francia la materia del fine vita è regolamentata con una legge del 2005 che riconosce il principio di rifiuto dell’accanimento terapeutico e che prevede che possano essere sospesi o non iniziati gli atti di prevenzione, di indagine o di cura che appaiano inutili, sproporzionati o non aventi altro effetto che il mantenimento in vita artificiale del paziente. È riconosciuta la figura del fiduciario, da consultare nel caso il paziente sia incapace di esprimere le proprie volontà. Se non vi è direttiva, comunque, la decisione spetta ai medici.
In Germania manca una norma ad hoc, ma il testamento biologico trova attuazione nella pratica e conferma nella giurisprudenza. La Corte Suprema Federale, infatti, ha emesso nel marzo 2003 una sentenza con la quale dichiarava la legittimità e il carattere vincolante della “Patientenverfuegung”, termine tedesco che sta per “volontà del paziente”, riconducendola “al diritto di autodeterminazione dell’individuo”. Se non vi è volontà scritta, decide il giudice tutelare.
Realtà analoga a quella tedesca nel Regno Unito dove il “living will” è riconosciuto, fin dal 1993, da una consolidata giurisprudenza che ha anche fissato alcune condizioni per la validità del testamento biologico. L’orientamento britannico su questo delicato argomento si è delineato soprattutto attorno al “caso Blond”, relativo a un paziente in stato vegetativo che veniva alimentato e idratato artificialmente, proprio come Eluana Englaro. I giudici decisero che i medici non avevano l’obbligo di somministrare trattamenti divenuti inutili a seguito della valutazione scientifica della condizione di vita del paziente e che, quindi, non erano rispondenti al suo “migliore interesse”. Se il paziente non era in grado di accettare o di rifiutare i trattamenti e non aveva rilasciato in precedenza una precisa dichiarazione di volontà, una volta informati i familiari si poteva legittimamente procedere all’interruzione.
L’Olanda è notoriamente il primo Paese al mondo che, nel 2001, ha modificato il proprio Codice Penale per rendere legali, in alcune circostanze rigorosamente regolamentate, l’eutanasia e il suicidio assistito dal medico. La normativa contiene anche la disciplina relativa al testamento biologico; le dichiarazioni di volontà possono essere sottoscritte anche da minori, purché i genitori siano d’accordo se il minore ha fra i 12 e i 16 anni, mentre se ha fra i 16 e i 18 anni è sufficiente che ne siano stati informati.
Le norme sulle dichiarazioni anticipate di volontà in Spagna sono contenute all’interno di una più ampia legge sui diritti dei pazienti entrata in vigore nel 2003. Viene riconosciuta al cittadino maggiorenne la facoltà di manifestare anticipatamente e per iscritto la propria volontà in merito a cure e terapie cui essere sottoposto, nel caso dovesse perdere la capacità di esprimerle personalmente. Egli può inoltre nominare un proprio rappresentante: entra in gioco, dunque, la figura del fiduciario, che può fungere da interlocutore con i medici per realizzare le volontà e per evitare che vi sia accanimento terapeutico.
 
Roberto Valli

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