Rotastyle

A Budapest

Temexpo 2007

Così come gli individui, anche i popoli - che sono, ma non solo, la somma degli individui che li compongono - hanno le proprie esperienze e le proprie storie, che spesso si traducono in modi di dire o espressioni che rappresentano la risultante delle diverse sfaccettature del loro vissuto.
"Temetni tudunk", dicono gli ungheresi. La traduzione letterale suona "noi sappiamo come seppellire la gente"; si potrebbe anche proporre, con una sfumatura leggermente ironica, "seppellire la gente; questo è ciò che sappiamo fare". In entrambi i casi rimane l'aggancio alla storia. Tutti sanno che questo piccolo e fiero Paese ha conquistato a carissimo prezzo la propria indipendenza e la propria libertà attraverso rivoluzioni fallite, ultima quella del 1956, e sconfitte sui campi di battaglia (tra i tanti quello di Segesvàr, in cui il 31 luglio 1849 perse la vita, - a soli ventisei anni, combattendo contro i russi allora alleati di quell'Austria che non voleva riconoscere l'indipendenza ai magiari - il grande lirico e poeta nazionale Sàndor Petöfi, il cui corpo non fu mai ritrovato). Proprio in tali drammatiche circostanze il "know how" ungherese in materia di sepolture ebbe modo di perfezionarsi. Le tracce visibili di tale triste incombenza sono ancor oggi presenti nei cimiteri di Ungheria. Primo fra tutti quello di Kerepesi, il cimitero centrale della capitale, nella Fiùmei ùt (la via di Fiume) dove in spazi ombrosi, verdissimi ed immensi vengono onorati tutti gli eroi che, con il proprio sacrificio, permisero nel corso dei secoli di raggiungere l'agognata libertà. Essi sono anche ricordati da un monumento di proporzioni imponenti situato nella Piazza degli Eroi, all'estremità nord dell'arteria principale del centro, la Andrassy ùt, che ha ripreso il nome d'anteguerra (dopo aver portato per più di quarant'anni la sinistra denominazione di "via della repubblica popolare") e che ritroverà gli antichi splendori quando i lavori di restauro dei numerosi ed imponenti palazzi haussmanniani e liberty (o "art nouveau" o "jugend stil" che dir si voglia) che la ornano saranno, speriamo presto, completati.
Proprio nella bella Budapest è stata organizzata la sesta edizione di Temexpo, dopo l'esordio in un edificio scolastico di Kecskemét (capitale della bevanda nazionale, il "barack pàlinkà", distillato di albicocche) seguito dalle esposizioni nel palazzetto dello sport di Nyregyhàza, nella puszta dell'Ungheria orientale.
La scelta degli organizzatori ci è parsa particolarmente felice da un punto di vista logistico. In effetti, come vie di accesso e come infrastrutture turistiche (alberghi, ristoranti, divertimenti, ...), non vi sono in quel piccolo Paese siti che possano competere con la capitale, dove vive più di un quinto dei circa dieci milioni di Ungheresi. In questa occasione, poi, anche il tempo si è messo dalla nostra parte regalandoci giornate soleggiate, asciutte e rallegrate, soprattutto di sera, da un piacevolissimo venticello che non può che riconfortare chi è nato e cresciuto, come chi scrive, in contrade periodicamente spazzate da un vento di N-N-E, più comunemente conosciuto come "bora" e che trova origine, guarda caso, proprio nelle pianure pannoniche.
Per coronare il tutto anche la fiera ha portato, questo almeno ci è parso di capire dalle conversazioni avute con gli espositori, elementi di soddisfazione che si traducono in prospettive concrete di future opportunità di business.
In uno spazio amplissimo e relativamente centrale, un numero soddisfacente (soprattutto il primo giorno) di visitatori si é recato presso le aziende presenti nel padiglione F della Fiera Ungherese. Esso era più o meno delle stesse dimensioni di quello delle precedenti edizioni accogliendo, quindi, un numero di produttori pressappoco equivalente. Tra gli espositori locali la parte del leone è toccata alle aziende ungheresi che ormai si sono imposte sul mercato domestico: Karsol, Keletfa, Komfen e Mantex. Esse proponevano, sulla traccia di una tendenza sempre più percepibile in tutta Europa, una gamma di prodotti quanto mai estesa nella quale si notano spesso apporti esteri. È il caso di Mantex per ciò che riguarda i cofani di Lorandi. Così come il Gruppo Urciuoli di cui casse, veicoli ed altri materiali erano in bella mostra sullo stand del distributore locale. E che dire poi degli accessori di Tecnica Press, degli arredi da cappella e delle imbottiture di GFM Imbottiture e dei cofani di Valnico bene in vista nell'ampio spazio della Komfen? Per non parlare di coloro che esponevano direttamente come Spaf (accessori) e Pilato (autovetture) insieme a Ferrari (cofani). Dulcis in fundo il Consorzio Tanexport, ben rappresentato in questa occasione da 3 Bi - R.B. (imbottiture), Biondan (bronzi), Gem (forni crematori), Pilla (bronzi), Stragliotto (cofani), Valbrenta New Design (urne) e Zorsol (accessori e sistemi di conservazione). Inutile dire che l'angolo italiano di Tanexport è stato uno dei maggiori poli di attrazione del salone. Anche perché nello stesso spazio si trovava lo stand di Tanexpo, diventata la manifestazione leader nel panorama funerario mondiale e dal cui svolgimento ci separano soltanto, ormai, una decina di mesi. Le previsioni ed i dati di iscrizione già raccolti (avviso ai ritardatari: affrettatevi per non essere costretti ad occupare spazi periferici!) ci permettono sin d'ora di poter affermare che ancora una volta verranno battuti tutti i record in termini di aziende partecipanti e di afflusso di visitatori in arrivo da tutto il mondo. Converrà in questa sede ripetere che, visto il successo delle precedenti edizioni, Tanexpo lascia, seppure a malincuore, l'accogliente Modena per trasferirsi nell'imponente quartiere fieristico di Bologna dove troveranno posto anche coloro che lo scorso anno non poterono partecipare all'evento per mancanza di spazio disponibile.
Dall'analisi di quanto detto in precedenza si evince che il mercato ungherese vive una fase di rapida evoluzione in parallelo con il miglioramento del livello di vita. Il prezzo medio di un servizio funebre, che ancora qualche anno fa era estremamente basso, si attesterebbe, secondo quanto riferito dal Presidente della Federazione Ungherese, attorno agli 800-900 euro, con forti differenze (anche del 40%) tra la parte occidentale del paese (quella più vicina all'Austria, per intenderci) e le regioni orientali. Un segnale evidente della ricerca di qualità si ricava nella constatazione della presenza massiccia, testé evocata, di produttori italiani. Verrebbe, quasi, la tentazione di enunciare un postulato: "laddove c'è produzione italiana, c'è qualità". Un orientamento percepibile anche nei manufatti locali che tentano, talvolta con discreti risultati, di ispirarsi al design italiano ed alla qualità che contraddistingue la nostra produzione. Lo si nota soprattutto nei cofani, articolo in cui sta ormai scomparendo il modello classico ungherese, riservato probabilmente alle zone più depresse del paese, a profitto di quelli tedeschi, italiani e addirittura americani. Anche se, a livello di finiture, design e materiali siamo ancora lontani dalle vette raggiunte da alcuni nostri fabbricanti. Tutto ciò nonostante una percentuale di cremazioni che si aggira sul 40% a conferma, qui come altrove, che l'incinerazione, contrariamente ad un timore tanto diffuso quanto ingiustificato presso impresari e produttori, non perturba significativamente il mercato della cassa. Affermazione che il sottoscritto ha volentieri sentito pronunciare da uno dei maggiori (per quanto riguarda la qualità) fabbricanti italiani di cofani. La predominanza del prodotto italiano è sancita da dati da cui risulta che gli altri espositori stranieri erano un tedesco (urne), un serbo e uno sloveno (cofani), tramite il distributore locale, ed infine uno svedese (forni) ed un paio di polacchi (cofani ecologici, trasporti e tenute da cerimonia). In altri termini tutte queste imprese estere messe assieme non raggiungevano il numero di quelle italiane presenti a Temexpo. Più chiaro di così!
Lasciamo quindi le rive del Danubio, maestoso con i suoi ponti arditi e scintillante di mille riflessi al crepuscolo per l'effetto congiunto del vento e della luce radente, portandoci appresso, come viatico per il viaggio, qualche languida e struggente (anche se, ahinoi, sempre più rara) melodia tzigana, oltre che una buona bottiglia di barack pàlinka ed un arrivederci pronunciato, anzi sospirato nella sua strana lingua, dalle labbra fragoline di una bella ragazza ungherese: "A viszontlàtasra".
 
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