- n. 11 - Novembre 2012
- Cultura
L'Anatomia
Lo studio del macrabo e del grottesco
Qual è il limite massimo da non superare? Perché alcune pratiche sono ai giorni nostri normali e socialmente accettate, se non indubbiamente utili, e invece un tempo erano considerate stregonerie da condannare?
L’anatomia (dal greco ανατομή, anatomè = “dissezione”; formato da ανά, anà = “attraverso”, e τέμνω, tèmno = “tagliare”) è una branca della biologia che studia la forma e la struttura degli organismi: del corpo umano (anatomia umana), degli animali (anatomia animale), delle piante (anatomia vegetale). Deve il proprio nome alla principale metodologia d’indagine, la dissezione, rimasta di fondamentale importanza anche in epoca moderna, per quanto integrata da altri sistemi perfezionati. La “divisione tagliando”, meglio nota come "morfologia”, è uno dei mezzi di studio più significativi. Il carattere scientifico dell’anatomia si deve ai principi di ricerca e di curiosità insiti nell’arte fin dai tempi più antichi: le prime scoperte anatomiche si devono proprio agli artisti e ai pittori i quali si procuravano i cadaveri per osservarne le interiora. Non vogliamo entrare nel merito se essa sia più legata all’Arte o alla Scienza: il nostro interesse si concentra sul grottesco insito in entrambe le discipline fra le quali, per molto tempo, vi è stato uno scambio reciproco tanto che numerosi artisti venivano pagati per riprodurre al meglio pagine illustrate di libri ( illustrazione scientifica) o, soprattutto i Fiamminghi, fissavano nelle proprie tele immagini in cui venivano impartite lezioni sulla materia.
Se oggi tendiamo a differenziare i diversi argomenti di studio, in tempi non molto lontani tutti erano complementari:Leonardo da Vinci, il “genio” di tutti i tempi, si intendeva di tutte le discipline artistico-scientifiche senza differenziarle perché ancora non esisteva il concetto di medicina come lo intendiamo oggi. Nel corso dei secoli l’anatomia ha assunto fisionomie non sempre equivalenti a quella attuale; fu dapprima in rapporti stretti con i riti religiosi e con le pratiche magiche, ma per lunghissimo tempo si identificò quasi completamente con la medicina. La sua affermazione come scienza è legata al fiorire delle correnti filosofiche greche (Alchemone da Crotone, Empedocle da Agrigento, Erofio, Erasistrato, le scuole di Cnido, di Coo e di Alessandria) che, per quanto frenate da concezioni religiose, portarono a interessanti scoperte. Il non potere esercitarsi sul cadavere fino a dopo il medioevo costrinse gli studiosi a ripiegare sulle analisi dei reperti animali con gravi errori che compromisero spesso la validità dei risultati. Solo verso il 1315, grazie a Mondino de’ Liuzzi, l’anatomia ritrovò il suo vero volto e si posero le basi per il suo rigoglioso sviluppo nel Rinascimento ad opera di Berengario da Carpi e, soprattutto, di Leonardo da Vinci. Grazie all’enorme contributo dato da artisti che disegnavano tavole anatomiche sempre più e precise e alle dissezioni dei medici, si è giunti alla conoscenza, pur in presenza dell’ostracismo della Chiesa e della Legge, di questa meravigliosa macchina che è il corpo umano ed animale. Ma se la medicina si accontenta di spiegare con disegni iperrealistici la posizione di ogni vena e di ogni arteria, di certo l’arte non può rimanere strettamente legata alla forma e basarsi solo sullo studio dei cadaveri perché in realtà l’anatomia può illustrare tutte le parti del corpo, ma non spiegherà mai cos’è il corpo stesso. Sembra un gioco di parole...
Il linguaggio dell’arte e quello medico compirono, tra ’500 e ’600, una interpretazione dell’umano che nella pittura si riflesse nel riconoscimento di una dimensione dell’esistenza non più nascosta, ma rappresentata con analitica perfezione. Il dolore si imponeva come nodo fondamentale e il corpo umano veniva quasi sbattuto in faccia a chi vedeva: non serviva nasconderlo, mimetizzarlo o addirittura trasformarlo in sublime approdo alla gioia, come spesso accadeva nei racconti d’ispirazione religiosa o storica. Il corpo dipinto era vero, reale, studiato dagli anatomisti ed il pittore, con la sua tecnica e con i suoi colori che davano volume e realismo alla composizione, svelava la cifra del dolore, della tristezza, della sofferenza causata dalle epidemie o dalle ferite riportate in battaglia. Raccontava, insomma, una verità. Il corpo, ed in particolare quello sofferente, diventava il principale significante delle passioni, dei sentimenti e dell’anima, mentre il medico lavorava analiticamente a scomporlo per derivarne i singoli meccanismi di funzionamento e per porre rimedio alla sofferenza.
L’artista era autore di un codice in cui occorreva decifrare significati ed emozioni che, prendendo spunto dalla realtà oggettiva, fenomenologica, lasciavano intravedere interpretazioni nuove, nascoste ed intense, pur ancorando al vero la scena rappresentata. Per farlo, doveva attingere alla maestria del fare limitandosi alla verosimiglianza. Ciò che rappresentava non poteva essere mera tavola anatomica come quelle che, disegnando arterie, vene e ossa, i grafici delle università componevano per gli studenti, scendendo fino al minimo particolare. Quei grafici non avevano necessità o intento di riflettere il più profondo mistero dell’anima che invece, bene o male, rimaneva sempre un imperativo categorico dell’artista. Rispetto all’accuratezza anatomica, egli compiva a sua volta il percorso inverso perché il suo scopo era metafisico ed estetico, ma sentiva di doverlo perseguire passando all’interno dell’uomo. Il corpo umano acquisiva allora una volumetria significata dagli elementi vitali: il sistema sanguigno, i muscoli del movimento, la tridimensionalità del volto. Le “corporalità” costituivano la struttura su cui plasmare le linee per arrivare a offrire la giusta percezione del male trascendente che il pittore taumaturgo fissava sulla tela offrendo così l’immagine cosmica del dolore, quanto spettava all’arte rappresentare.
Nei secoli successivi, grazie ad una tecnica sempre più affinata, presero impulso in seno alla comune dottrina le branche specializzate. Ecco quindi, oltre all’anatomia sistematica, quella patologica e quella comparata con cui, appunto, comparando le diverse specie si cerca di risalire alle leggi dell’organizzazione animale e di scoprire attraverso quali processi si sia stabilita una così immensa varietà di forme. L’aspetto funzionale dell’anatomia per l’arte è sempre stato noto. I pittori, nel corso del tempo, compresero che se scientificamente poteva essere utile per l’indagine conoscitiva del sistema umano, non era più efficace dal punto di vista artistico e giunsero alla conclusione che, pur conoscendo a memoria muscoli, tendini, ossa e organi, l’immagine perfetta che avrebbero ottenuto sarebbe stata più simile ad una fotografia che alla realtà stessa. Per questo motivo dalla metà dell’Ottocento e per tutto il ‘900 gli artisti hanno rappresentato il corpo in maniere diverse abbandonando la forma riconoscibile e arrivando all’astrazione, anche perché entrava nel sentire comune l’esigenza di indagare in modo sempre più approfondito l’interiorità dell’Uomo. Con gli occhi contemporanei possiamo anche criticare la dissezione ai fini scientifici, ma non possiamo trascurare il fatto che proprio a questa pratica creduta barbara dobbiamo l’avanzamento della medicina e della forma artistica. Con la consapevolezza che è bene domandarsi quale sia il limite massimo oltre il quale è proibito indagare o fino a dove la curiosità rimane sana e non diventa morbosità. A quale principio bisogna appellarsi? Vince la ricerca medica o quella artistica e soprattutto quando tali ricerche non sono altro che follie?
Gaia Lucrezia Zaffarano