- n. 9 - Settembre 2007
- Cultura
Gli studi sulla morte
Parlare della morte ci obbliga a ripercorrere sinteticamente i concetti di vita e di morte. La
cultura, ovvero quell'insieme di tradizioni, credenze, comportamenti, attitudini, valori e rituali che apprendiamo vivendo nella società, caratterizza il nostro modo di atteggiarci non solo dinanzi alla vita, ma anche di fronte alla morte.
Se fino a giorni molto recenti la morte è stata considerata un tabù, a partire dagli anni Cinquanta si è registrato un aumento dell'interesse nei confronti della fine della vita in discipline quali la storia, l'antropologia, la sociologia e la psicologia, con un notevole incremento delle professioni legate alla ritualità, alla religione e all'assistenza ai morenti. Tutte insieme queste discipline costituiscono una risposta culturale alla morte, che non è sufficiente studiare da un unico punto di vista: è indispensabile pervenire ad una conoscenza più ampia possibile, per collegare fra loro i complessi fenomeni che si connettono alla morte e al morire e per crescere ciascuno nel proprio percorso professionale.
Oggi l'area interdisciplinare che coinvolge i differenti saperi sul tema della morte è detta
Tanatologia.
Tra i più importanti centri europei di Tanatologia occorre ricordare in Francia, la
Société de Thanatologie, con il periodico "
Thanatologie" (in seguito denominato "
Etudes sur la mort"), e in Italia l'
Istituto di Tanatologia e Medicina Psicologica (con la pionieristica rivista "
Zeta" editata fin dal lontano 1986) e la
Fondazione Ariodante Fabretti con la recente pubblicazione "Studi tanatologici". I periodici inglesi ("
Mortality") e americani ("
Death Studies" e "
Omega") testimoniano l'interesse esplicito verso la morte nel contesto laico della postmodernità. Anche nelle scuole e nelle università sono stati programmati corsi incentrati su questo particolare argomento.
Tutto ciò dimostra come la morte non venga più lasciata esclusivamente al dominio delle istituzioni religiose ufficiali e non sia più unicamente interpretata in modo teologico. Gli storici, ad esempio, non la considerano semplicemente come un evento della vita che richiede di essere documentato, ma anche come un motivo culturale che consente loro di confrontare differenti periodi. Uno dei più autorevoli storici della morte, il francese
Philippe Ariès, ha formulato - dopo più di quindici anni di ricerche, spaziando in modo interdisciplinare dalle testimonianze artistiche alle fonti letterarie, archeologiche ed ecclesiastiche, dai testi di medicina alle pratiche funerarie - una eccellente sintesi sulle tendenze prevalenti nelle culture occidentali. Un altro eminente studioso,
Michel Vovelle, sostiene inoltre che i riti funebri contemporanei influiscono sui cimiteri, costruiti sulla base di una standardizzazione economica che, in ogni caso, va di pari passo con un nuovo individualismo.
Maria Angela Gelati