- n. 7/8 - Luglio/Agosto 2007
- Fiere
Stoneleigh 2007
Una volta tanto l'
Inghilterra ha fatto onore alla propria fama e ci ha riservato un clima tipicamente britannico quale, nel corso del tempo, è stato descritto e spesso ingiustamente vituperato da decine di cronisti e viaggiatori di ritorno dal
Regno Unito. Ci siamo recati decine di volte nelle isole britanniche approfittando quasi sempre, con incredulità e con stupore, di condizioni meteorologiche estremamente favorevoli tanto da ritornare, in certi casi, abbronzatissimi da soggiorni primaverili anche precoci. Tali esperienze, tra l'altro, ci hanno dato l'occasione di non sfigurare con i locali nella misura in cui in quel paese l'unico soggetto di conversazione ammesso dalle regole di convivenza tra persone civili che non si conoscano intimamente è quello che riguarda il tempo ed i fenomeni meteorologici. Soggetto vastissimo che permette di spaziare da un esame approfondito delle temperature medie nello Yorkshire nella prima settimana del mese di settembre 1892 alle previsioni a brevissimo termine, estremamente precise a livello di localizzazione, che continuamente vengono diffuse dalle emittenti regionali delle reti radio-televisive, BBC in testa. È ben vero che le nuove generazioni si avvicinano con minore reticenza ad altri temi. Rimane il fatto che affrontare argomenti di politica o di affari personali, come la salute ad esempio, configura ancora un "vulnus" di assoluto rilievo alla privacy dell'individuo, anche se in forma meno grave quando provenga da un continentale non permeato di quel senso di discrezione e di riservatezza che contraddistingue, per educazione e per tradizione, i sudditi della regina Elisabetta II. Riservatezza che non è priva di conseguenze rilevanti sul piano sanitario o di situazioni divertenti nella vita sociale. Ricorderemo la campagna promossa dall'NHS (il National Health Service - Servizio Sanitario Nazionale) per incitare i britannici a dare giusto peso ai dolori retrosternali spesso annunciatori di un infarto del miocardio. Una delle massime più note dell'educazione britannica è "
Never explain, never complain". Mai dare spiegazioni e mai lamentarsi. Per le spiegazioni il caso tipico è quello dell'alunno che arriva in classe in ritardo. Da noi si usa chiedere scusa magari aggiungendo che l'autobus non è giunto a tempo o che la sveglia si è rotta. Tutto ciò è considerato superfluo dai nostri pragmatici amici d'oltremanica per i quali quello che conta è il fatto in se stesso (il ritardo), il resto essendo ricondotto al rango di vana chiacchiera. Né all'insegnante verrebbe in mente l'idea, stravagante agli occhi di tutti, di chiedere le ragioni del ritardo stesso. Quanto al non lamentarsi siamo in presenza di un precetto dalle implicazioni sociologiche maggiori. In effetti se qualcuno ponesse ad un inglese "in articulo mortis" l'abituale domanda "
how do you do?" (come stai?) si sentirebbe con ogni probabilità rispondere "
rather well" (piuttosto bene) o, per i più pessimisti, "
not so bad" (non tanto male). Il problema diventa grave quando, come si accennava in precedenza, i sintomi precursori dell'incidente cardiaco si annunciano. La tendenza a sottovalutarne l'importanza e a non parlarne nemmeno ai familiari sarebbe, secondo statistiche molto attendibili, responsabile di parecchie migliaia di decessi annui evitabilissimi qualora si provvedesse tempestivamente a mettere in opera i trattamenti abituali in tali circostanze. Ben sapendo che in queste situazioni il tasso di sopravvivenza è indirettamente proporzionale ai tempi di intervento. Ed è proprio per questo che l'NHS ha lanciato la campagna su menzionata. Tale approccio corrisponde al caso tipico del bambino che, giocando, cade facendosi male. Il nostro rituale, diciamo così latino, prevede che il pargolo si metta a piangere a dirotto e che la madre o i passanti si precipitino, angosciati, su di lui per consolarlo a forza di carezze e parole dolci per alleviare il "bobò". In Gran Bretagna, e più generalmente nei paesi anglosassoni (gli USA in particolare), la reazione è ben diversa. La genitrice continua a leggere il giornale ed il fantolino viene lasciato piangere (si parla di incidenti che, di tutta evidenza, non comportano traumatismi maggiori). Molto probabilmente smetterà di farlo abbastanza rapidamente. Il suo cervello, estremamente ricettivo, elaborerà tutti i parametri dell'accaduto dandogli da un lato i mezzi per ridurre, in futuro, i rischi di ritrovarsi nella stessa situazione e dall'altro la capacità, dovesse cadere un'altra volta, di assorbire la botta senza troppi piagnistei In altri termini tale attitudine favorirebbe una presa in carico soggettiva del problema con conseguente sviluppo dell'autonomia individuale ed, in ultima analisi, della propria responsabilità. Per quanto riguarda, poi la leggendaria discrezione dei britannici non potremmo fare a meno di evocare il concetto di "
understatement", la capacità di relativizzare la propria posizione socio-professionale, e più in generale la propria persona, senza lanciarsi in auto incensamenti così frequenti alle nostre latitudini. Ci immaginiamo, in Italia, Francia o Spagna un individuo che ricoprendo il ruolo di amministratore delegato di una società non lo spiattelli, con malcelato orgoglio, magari dettagliando, ove ve ne siano, i titoli accademici, a chiunque gli chieda che cosa fa? Nella placida Albione nulla di più facile che, nel corso di un ricevimento, vi sia presentata una persona (unicamente col suo nome e cognome, senza tanti dottori, professori, ingegneri, architetti o cariche professionali) con la quale durante la conversazione si venga a parlare delle proprie attività professionali. Se costui vi dice, vagamente, che "
si occupa di relazioni internazionali" non è escluso che scopriate l'indomani, magari vedendo la sua foto in prima pagina del quotidiano accanto a Bush, di aver amabilmente parlato del tempo e dell'ultimo incontro internazionale di cricket con l'ambasciatore britannico a Washington.
È proprio questo modo di essere, discreto e non sciatto, pacchiano e volgare (alla "
te lo schiaffo in faccia" per intenderci) che ci affascina in quel paese dove anche la moda, per le stesse ragioni, rimane immutabile o quasi ("
la vera moda è quella che non cambia mai" diceva qualcuno, forse lord Brummel). Così gli uomini in campagna continuano ad indossare le eterne vesti di tweed dai colori autunnali ovvero quelle dai colori acidulati per i garden parties o per le uscite sportive (Wimbledon si avvicina) mentre in città, al lavoro, il gessato scuro è d'obbligo. Sempre su classicissime calzature di Northampton. Le donne (spesso molto belle ed avvenenti contrariamente a certi pregiudizi molto diffusi, non si sa perché, sulle inglesi) sfoggeranno sui campi delle corse di Ascot i loro cappelli incredibilmente gai, in ufficio i sobri tailleurs, e abiti fiorati per le scampagnate. Le gonne arriveranno abbondantemente al di sotto del ginocchio, molto più sexy ed invitanti alla scoperta che non certe minigonne da vertigine che lasciano intravedere il, chiamiamolo così, fondo schiena e che non solo spoetizzano, volgarizzandolo, il rituale del corteggiamento, ma che spesso demotivano definitivamente l'astante quando si consideri la grandissima difficoltà di trovare rotule perfette e, come tali, suscettibili di gratificare il senso estetico dell'osservatore.
La tradizione, insomma, in tutto il suo splendore, unita ad una gentilezza introvabile altrove, quella che induce l'automobilista a fermarsi in vista di un pedone (da noi si usa piuttosto rasargli le punte delle scarpe con un'accelerata accompagnata da eventuale sbeffeggiamento) o che spinge il passante, anche non richiesto, a dare, sorridente e cooperante, le indicazioni atte a ricondurre sul giusto cammino il viaggiatore smarrito. La stessa cortesia fa sì che in qualsiasi luogo dove ci sia da attendere (stazione, mercato, ...) una fila si formi spontaneamente e con ordine (uno dietro l'altro e non a fianco) senza i soliti furbetti che tentano di guadagnare un posto o, peggio ancora, senza che si crei un branco pecoreccio scomposto e vociante dove tutti tentano di passare davanti agli altri in un clima da film del neorealismo italiano. Un paese per molti aspetti invidiabile senza nascondersi, peraltro, che anche in esso sussistono problemi talvolta anche gravi. Dalle sacche di povertà alle difficoltà di integrazione di masse imponenti di immigrati ed ai pericoli (terrorismo, traffici illeciti, ...) che alcune frange, largamente minoritarie, costituiscono per la sicurezza pubblica. Dai prezzi, elevatissimi soprattutto per ciò che riguarda l'alloggio, alle disparità di accesso all'educazione (è probabile trovare nella "public school" di Eton che, con bel paradosso tipicamente british, è una istituzione privata e carissima, un giovanetto di Notting Hill o di Kensington piuttosto che di Stepney Green o di altra località dell'East London). L'attaccamento del paese alle tradizioni comuni rimane estremamente forte.
La rivista alla quale sono abbonati d'obbligo, di generazione in generazione, gli Sloane Rangers (quelli che abitano nella zona residenziale di Sloane Square, a Londra, e che essi considerano come vero e proprio ombelico del mondo) rimane e rimarrà "
Horse and Hound" (Cavallo e Muta, si intenda la squadra di cani per la caccia alla volpe o al cervo e non la famosa "Muta de Cavana", personaggio storico, ormai quasi mitico, dei bassifondi triestini prima della legge Merlin, assieme all'altrettano famoso "Carilli" che con vocina da contralto allietava, novella Circe, i passanti negli stessi quartieri con l'intento di adescarli). E poi i "
bangers" (le deliziose salsiccie) che con il "
bacon" ed assieme agli "
eggs", accomodati nelle maniere più svariate (boiled, fried, scrumbled), faranno obbligatoriamente parte del robusto breakfast locale eventualmente accompagnato da funghi, fagioli "baked" ed aringhe. Ed ancora il thè, insuperabile ed irriproducibile al di fuori delle isole per quanto uno acquisti thè, teiere e passini nel Regno Unito. Succede quello che accade con il caffé italiano di cui è impossibile berne uno buono al di fuori della penisola anche essendo italiano e facendoselo a casa con gli stessi ingredienti ed utensili usati nel Bel Paese. Parlo per esperienza diretta. Sarà una questione d'acqua? Non ci crederei più di tanto. Più plausibile mi pare l'ipotesi che si tratti dell'aria, dell'atmosfera che ci circonda e che in qualche modo interverrebbe in modo determinante per conferire ai preziosi liquidi i caratteri che li rendono unici solo nel luogo di elezione e in nessuna altra parte del globo. Senza dimenticare la guida a sinistra, le miglia, i piedi, le yarde, e via di seguito. Ed ancora le ottime marmellate o le salse impossibili capaci di distruggere, non si esagera, la migliore delle carni. Oppure la vera passione nazionale per il "gardening" che vede tutto il paese occupato in permanenza a potare, trapiantare, installare tutori e così via. Senza escludere la possibilità che una arzilla vecchietta, trovandovi interessato e simpatico, non si lanci in una lunga esposizione dei problemi incontrati nel far crescere nelle migliori condizioni di ventilazione, esposizione ed humus un esemplare di "Desfontania Spinosa Hookeri", sua pianta favorita. Uniche breccie in tanta fedeltà al passato il passaggio, già da un bel po', della moneta al sistema decimale, l'apertura dei negozi al sabato pomeriggio (una trentina d'anni orsono, nella stessa Londra, era difficile trovare negozi aperti salvo che in Carnaby Street, ormai trasformatasi in ricettacolo per turisti di gruppo), ma soprattutto la scomparsa, da poco, della campana che nei pubs di tutto il regno annunciava alle 22.45, con ripetuti e vigorosi rintocchi manuali, che le spine da birra avrebbero inesorabilmente chiuso alle 23.00. Per modo che dai tavoli tutti si precipitavano verso il banco di mescita per passare l'ordine finale (l'importante era che l'ordine arrivasse prima delle 23.00) e trarre seco al tavolo (per chi non lo sapesse, al pub non ci sono camerieri per servire le bibite e queste si pagano immediatamente) il numero di pinte (una pinta corrisponde a circa mezzo litro) di ottima birra giudicato ragionevolmente sufficiente per proseguire decentemente la serata. Rari erano coloro che se ne ritornavano alla base solo con un paio, una pinta per mano. Molti di più erano quelli che, avendo messo a punto sistemi sofisticati per afferrare più boccali, se ne rientravano brandendone, trionfanti, quattro o cinque, visibilmente soddisfatti e rassicurati sullo scampato pericolo di un decesso per disidratazione prima di volgere il passo, stanco e titubante, verso i lari domestici. Adesso le campane restano inoperose e tristemente mute seppur ben visibili, a testimonianza del tempo che passa e di un passato glorioso. Perlomeno rimangono i pub. È già qualcosa, visto che nelle diverse città in cui abbiamo vissuto o viaggiato, sempre più numerosi sono i luoghi che scompaiono per far posto a banche o a negozi di jeans ed altri capi di abbigliamento. Così son finiti nel nulla, o quasi, luoghi come la gigantesca birreria Dreher (con biergarten estivo, prego!) a Trieste, teatro di tante serate con l'indimenticabile band di Uccio Augustini, il caffé Dyonisos Zonars nella Panepistimiou ad Atene famoso per suoi curabiè, od ancora la centenaria birreria Berghof di Chicago chiusa due anni fa, la georgiana trattoria della Toison d'Or (il Vello d'Oro) con i raffinati aromi caucasici dei suoi piatti nella rue de Castagnary a Parigi o la frizzante ed acidula cervogia della Straffe Hendrick, sostituita da un'altra produzione, a due passi dal Beguinage di Bruges in Belgio.
Bando alle nostalgie e direzione al
NAC (National Agricultural Center) di
Stoneleigh dove si è tenuta, dopo un'attesa di più di quattro anni, l'esposizione funeraria britannica affidata dalla
NAFD (National Association of Funeral Directors) alla società
Leisure Expo diretta da
David Hyde, al quale vanno le nostre felicitazioni per l'ottimo lavoro svolto. Si tratta un gigantesco centro agricolo e zootecnico situato a poche miglia da
Coventry, capitale inglese dell'industria automobilistica (Jaguar e Rolls Royce vi evocano qualcosa?), città vicina a
Birmingham e che venne quasi completamente rasa al suolo, per opera dei tedeschi, nel corso dell'ultima guerra proprio a causa della sua peculiarità industriale. Il centro ospita ogni anno varie manifestazioni relative non solo al comparto agricolo (trattori e macchine agricole, bestiame, ...), ma anche ad altri settori merceologici. Nel nostro caso quello funerario. Già l'ultima edizione, nell'aprile del 2003, si era svolta nello stesso sito e gli organizzatori, seppur nuovi, hanno deciso di ricondurla nella vecchia sede alla luce del gradimento espresso da espositori e visitatori. Essa si trova nel
Warwickshire, contea campestre dei
Midlands, il centro dell'Inghilterra propriamente detta. Numerosi sono i centri di interesse turistico e culturale che vi si trovano: gli
stabilimenti termali di
Leamington Spa, i
castelli di
Warwick e di
Kenilworth,
Stratford upon Avon con la casa natale di
Shakespeare e quella, negli immediati dintorni, di
Anna Hathaway, sua moglie.
Ogni mattina era gradevole, anche sotto la pioggia in certi momenti torrenziale, attraversare campi e pascoli delimitati da ordinate staccionate oltre le quali deambulavano pacificamente ovini e bovini manifestamente soddisfatti della loro situazione logistica. Lo stesso non si può dire dei minuscoli coniglietti che, probabilmente sloggiati dai propri rifugi dalle inondazioni, in certi casi estremamente importanti, affollavano i bordi erbosi della strade esponendosi, nonostante la buona volontà dei guidatori, a pericoli fatali. Ci si chiede, attraversando la campagna inglese, perchè essa sia così armoniosa e gradevole. La risposta è, a pensarci bene, abbastanza semplice. Non solo i rilievi del terreno sono addolciti ed i campi sono perfettamente tenuti. Ma gli elementi distintivi maggiori sono una buona armonizzazione delle costruzioni nuove in rapporto all'architettura preesistente e, soprattutto, la totale assenza di cartelloni pubblicitari lungo le strade, grandi o piccole che siano. Tentiamo di pensare, soltanto per un attimo, a come sarebbe l'Italia senza gli scempi edilizi perpetrati ormai da parecchi decenni e soprattutto senza le migliaia di cartelloni che deturpano, distruggendolo, il paesaggio con proposte di divani, cellulari, supermercati, discoteche, paninoteche, gnoccoteche e chi più ne ha più ne metta. Purtroppo sembra ormai troppo tardi per fare del nostro urbanisticamente martoriato paese il paradiso dell'armonia e dell'equilibrio.
In ogni caso l'arrivo in fiera era sempre agevole e mai stressante grazie anche all'organizzazione esemplare e pragmatica del parcheggio in cui persone mature (pensionati?) dirigevano, con gesti sobri ed inequivocabili, i guidatori verso il posto loro assegnato. Sembrava quasi di essere ai comandi di un Jumbo appena atterrato a Heathrow dopo una traversata transatlantica. Mancava solo la vetturetta con la scritta luminosa "follow me". Altro esempio, comunque sia, delle capacità organizzative britanniche. La
superficie fieristica, che si estendeva su due padiglioni, era
piuttosto elevata se comparata alle ultime fiere visitate (Valencia, Budapest, Atene) anche se ben lontana dai 24.000 metri quadri di
Tanexpo 2006. Il numero degli espositori era importante, a conferma di un bisogno non soddisfatto da troppo tempo. Lo stesso dicasi dei visitatori, molti dei quali giunti dalla vicina Irlanda, e, fatto rarissimo, numerosi nei corridoi fino a un paio d'ore prima della chiusura. Tutti, inoltre, visibilmente interessati ai prodotti esposti ed in particolare, per quello che ci riguarda, a
Tanexpo 2008 a
Bologna. E ciò nonostante la posizione alquanto infelice attribuitaci dagli organizzatori. Tanto più significativa, dunque, l'affluenza al nostro stand. Molti hanno promesso di venirci a trovare in Italia ed alcune aziende hanno manifestato la volontà di presentare, in quella sede, i propri prodotti. Staremo a vedere.
La prima impressione, che non poteva non saltare agli occhi (molte altre persone hanno avuto la stessa reazione), è stata quella di una esplosione dei
cofani in vimini. Ve ne erano dappertutto, di tutte le fogge e colori e di tutte le provenienze. Non essendoci ostacoli di carattere regolamentare è chiaro che si tratta di un prodotto in pieno boom, offerto a prezzi variabili tra i 200 ed i 300 euro. Vasta ovviamente, vista l'altissima pratica crematistica nel Regno Unito, l'offerta di
urne, anche se i cofani erano egualmente numerosi quasi a sottolineare il fatto che non si deve necessariamente pensare che vi siano fenomeni obbligati di caduta della qualità del cofano nei paesi dove domina l'incenerazione. A conferma di ciò abbiamo osservato i pregiati cofani di
Coffins,
Ferrari e
Lorandi esposti presso i rispettivi distributori britannici, così come gli accessori della
Spaf e le imbottiture di
GFM Imbottiture. Per quanto riguarda i bronzi bene in vista quelli di
Biondan nello stand di
True Image e di
Pilla su quello di
Strongs Memorials. Anche la
Kosmolux era ben visibile presso
Monumental Additions.
Tra i visitatori italiani (come sempre i più numerosi tra gli stranieri non considerando come tali gli irlandesi dell'Eire) abbiamo incrociato anche
Alberto Pagotto della
Europag,
Gian Vittorio Stella e
Barbara Pilato,
Paolo Recanatini della
Valnico. Una bella rappresentanza italiana, dunque, a tutti i livelli, tanto più se si considera che esattamente negli stessi giorni, grazie ad una improvvida pianificazione da parte degli organizzatori, si svolgeva a
Kielce, in
Polonia, la fiera funeraria polacca concorrente di quella di
Varsavia,
Memento, tenutasi alla fine dello scorso anno. Tra gli altri espositori stranieri molto apprezzata la partecipazione dei tedeschi
Binz e
Pollmann con le loro belle vetture e la presenza, presso la seconda, dell'amico
Sturmhofel, così come quella di aziende cinesi ed indiane con tombe in marmo. Anche
Desplanches, unico francese ad esporre, presentava una vasta e curata gamma di prodotti. Pare doveroso citare, egualmente, la
NFDA con
Deborah Andres, già in dirittura finale nell'organizzazione della convention di
Las Vegas in ottobre, e la
FIAT-IFTA con i sempre amabili e disponibili coniugi
Van Vuure (
Lia e
Dirk) assieme all'attivissimo
Gerard Knap pieno di premure nei nostri confronti.
Strana l'assenza dei costruttori di forni come pure quella di
Dodge, leader mondiale dei fluidi da imbalsamazione, che pure aveva emesso una opzione su uno spazio.
Un'ottima manifestazione, in definitiva, che conferma la qualità e la ricchezza di mezzi del mercato britannico, anche se la natura dei
cimiteri è alquanto differente da quella che conosciamo in Italia. Si tratta, essenzialmente, di impeccabili prati erbosi disseminati di lapidi incise di grande sobrietà. Si direbbe che vi sia una vocazione ecologica diffusa che stranamente non coincide con l'atteggiamento reticente, in materia di misure da prendere per arginare i fenomeni di riscaldamento globale, del governo guidato da
Tony Blair. Ancora per pochi giorni, poichè il 27 giugno il premier lascerà, a soli 54 anni, il 10 di Downing Street, la guida del paese e la vita pubblica imitando così il suo collega spagnolo
Aznar, anch'egli fattosi da parte ad un'età molto giovane. Esattamente il contrario di ciò che accade in Italia dove i nostri "apparatchik", veri stakanovisti della politica (quella con la "p" minuscola, attendiamo a pie' fermo l'attacco al qualunquista piccolo-borghese) arrivano appena, quando ci arrivano, alla stessa età a coronare con una carica ministeriale anni di lavoro carrieristico ostinato caratterizzato da tradimenti, compromessi ed intrighi di ogni sorta. Costoro poi, una volta installatisi sulle preziose poltrone, non mollano più fin che morte non sopravvenga. Basta dare un'occhiata all'età degli ultimi presidenti del consiglio, dei vari presidenti della repubblica e di tanti senatori anche ultranovantenni ma sempre alla ribalta, quando si reggono, sui banchi di Palazzo Madama. Tale corsa all'incarico spiega, ma non giustifica minimamente, ai nostri occhi, la pletora di ministri, vice-ministri e sottosegretari che, salvo errori, si aggirano attorno ai centodieci (eravamo nello stesso ordine di grandezza col governo precedente, ad indicare che il male è generalizzato) esponendo il paese al corale discredito, alla derisione ed agli sbeffeggiamenti dei nostri partner europei ed extra-europei. Sarebbe interessante trovare qualcuno che ci spiegasse come mai un paese come la Francia, con un numero di abitanti leggermente superiore al nostro e con una economia molto più forte, riesca a tirare avanti con trentuno, diconsi trentuno, governanti (di cui solo quindici col rango di Ministro), mentre da noi ne occorrono quasi il quadruplo. O i francesi sono quattro volte più intelligenti degli italiani o gli italiani sono quattro volte più scemi dei francesi. Nessuna delle due ipotesi essendo, ovviamente, verosimile, affidiamo volentieri al lettore l'arduo compito di dare una risposta al quesito.
Lasciamo dunque con piena soddisfazione il
Regno Unito non avendo dimenticato, vista la vicinanza, di compiere un dovuto e commosso pellegrinaggio antelucano alla
Rugby School fondata nel 1567 (tra i cui allievi passati figurano, tra gli altri,
Lewis Carrol, l'autore di "
Alice nel paese delle meraviglie",
Neville Chamberlain, lo storico statista, ed il famoso scrittore contemporaneo
Salman Rushdie, da poco nominato Baronetto ed ancor oggi oggetto di una "fatwa" di condanna a morte lanciatagli dell'
ayatollah Khomeini poco prima della sua scomparsa) nell'omonima cittadina. È lì che nel 1823 un giovane studente diciassettene,
William Webb Ellis, "
with a fine disregard for the rules of football as played in his time" (con bella inosservanza delle regole del football come si giocava ai suoi tempi, e cioé solo con i piedi) per primo prese la palla in mano e corse con essa dando così origine al tratto distintivo del gioco di
Rugby (il cui nome completo è rugby-football). A poche settimane dall'inizio, il 7 settembre, della coppa del mondo e riconoscenti di tutto ciò che la pratica di quella rude disciplina (uno sport da bruti giocato da gentlemen, secondo la definizione canonica) ci ha dato in termini di scuola di vita, ci è sembrato doveroso rendere omaggio a quella che, con l'atletica leggera, ci ostiniamo a considerare la regina delle attività sportive. Agli azzurri che parteciperanno all'avventura mondiale nella vicina Francia, incontrando l'8 settembre a Marsiglia gli All Blacks neozelandesi, grandissimi favoriti, vada, malgrado l'improbo challenge, il nostro caldissimo incoraggiamento: "Forza Italia!".
Il Viaggiatore