- n. 3 - Marzo 2004
- Psicologia
sposare un morto
In Francia esiste una legge che consente di sposare un morto. L'ho appreso leggendo un articolo sul Corriere della Sera di qualche giorno fa che riportava la notizia del matrimonio di una giovane poliziotta francese col suo fidanzato morto qualche tempo prima. La foto che immortalava l'avvenimento mostrava una bella ragazza con un sobrio abito da cerimonia seduta accanto ad un mazzo di fiori di fronte al funzionario del comune che celebrava il matrimonio.
Follia pura? O, come ha dichiarato la novella sposa, un modo per "vincere la morte"?
Certo, se sto per sposarmi con qualcuno e questi improvvisamente muore potrei voler non darla vinta alla morte e sposarlo lo stesso. Ma non devo, per poterlo fare, negare la realtà della morte, cioè fare una cosa da matti come considerare vivo uno che è morto?
A pensarci bene ci troviamo di fronte ad un caso che ci permette, nella sua eccezionalità, di affrontare in modo molto esplicito problemi che di fronte alla morte di una persona cara solitamente restano irrisolti, proprio perché nella maggior parte dei casi è difficile formularli esplicitamente.
Quando una persona cara muore ci troviamo di fronte alla difficoltà di capire se è morta definitivamente, dato che l'abbiamo seppellita e se la mangeranno i vermi o l'abbiamo cremata e ne resta solo un pugno di cenere; oppure se è ancora viva, dato che la desideriamo più di quando era viva perché ci manca, la sentiamo vivissima dentro di noi, siamo convinti che la incontreremo nell'aldilà o desideriamo sostituirci a lei nelle cose che avrebbe voluto fare, e così la facciamo vivere.
E allora se la persona cara ci manca fisicamente ragioniamo e prima o poi ci convinciamo che ci conviene sostituirla. Se ormai è diventata parte di noi e non possiamo sostituirla non ci resta che farla vivere dentro di noi come qualcosa di interiore. Se ci manca fisicamente e al tempo stesso è parte di noi desidereremo congiungerci di nuovo in un futuro con la parte di noi che abbiamo perso e l'aldilà diventa una necessità senza alternativa. Se continuiamo a desiderare che continui a vivere dopo morta ci chiediamo cosa avrebbe voluto che facessimo per lei e cerchiamo di farlo, vivendo non solo per noi ma anche per lei.
Il caso della poliziotta francese sembra proprio appartenere a quest'ultima categoria: so che avrebbe voluto sposarmi e mi sposo con lui lo stesso; faccio con lui ciò che avrebbe voluto fare se fosse stato ancora vivo. Ma mi sto sostituendo a lui, cioè sto facendo l'unica cosa che posso fare per vivere per un altro? Sarebbe veramente così se io contemporaneamente al sostituirmi a lui non pretendessi di essere me stessa. In altri termini, se sposo l'uomo che mia sorella avrebbe voluto sposare prima di morire mi sostituisco a lei e vivo per lei, ma per farlo devo rinunciare a vivere per me stessa in quella circostanza. Certo potrei volerlo fare anche per me, ma allora non posso dire di stare sostituendo mia sorella. Ecco dove sta il pizzico di follia di chi sposa un morto: si deve sdoppiare per poter decidere al posto del morto (cioè sostituirsi a lui) e contemporaneamente essere se stesso di fronte ad un altro. La poliziotta francese è in altri termini se stessa di fronte ad un'altra se stessa che fa le parti del suo fidanzato. C'è un po' di pensiero magico in lei: fa infatti come il bambino che dice "facciamo che il bambolotto sia mio figlio". Lei sembra dire similmente "facciamo che il mio fidanzato sia vivo e sposiamoci". Certo lo può fare, può giocare a immaginare che sia vivo (e in questo senso è vero che vince la morte come pretende) e se lo fa può sostituirsi a lui nel decidere di fare ciò che lui avrebbe deciso se fosse vivo (sposarsi con lei). Ma non è un sostituirsi a lui vero e concreto poiché si basa sul "giocare a fare che sia vivo".
In sostanza la poliziotta francese esprime al tempo stesso la possibilità di sostituirsi ad un altro morto (decidere per lui di sposarsi lo stesso) e l'impossibilità di vivere contemporaneamente (o di viverlo solo per gioco) nei panni propri e nei panni dell'altro (in realtà è lei stessa che si sposa, giocando a far essere ancora vivo il suo fidanzato).
Ella esprime, in definitiva, il tentativo di continuare a desiderare che il suo fidanzato sia vivo nell'unico modo possibile, cioè sostituendosi a lui nelle decisioni, e, al tempo stesso, di considerarlo una parte di sé della quale si può decidere tutto, compreso che sia vivo anche quando è morto. La poliziotta francese elabora il lutto per la perdita del fidanzato come chi al tempo stesso lo considera una parte di sé non sostituibile (e infatti non cerca una alternativa da sposare al suo posto dopo che è morto) e un altro che si può continuare a desiderare dopo morto al punto da sostituirsi a lui nella vita e vivere per lui.
Proprio qui sta il limite della sua impostazione: sarà scissa tra il mondo interno nel quale il suo fidanzato è una parte di sé e il mondo esterno nel quale il suo fidanzato è un altro da continuare a desiderare e per cui vivere. Nel mondo interno si può fare ciò che si vuole (compreso considerare presente l'assente per eccellenza, il morto), nel mondo esterno la distinzione tra ciò che faccio per me e ciò che faccio per l'altro è fondamentale (in esso se sposo un altro per lui, cioè perché lo voleva, non posso sposarlo per me perché non c'è più).
In altri termini, si può prevedere che la soluzione trovata dalla poliziotta francese metterà capo alla "schizofrenia" tipica di chi vuole vivere contemporaneamente nel proprio mondo (dove tutto è possibile perché è tutto soggettivo) e nel mondo esterno (dove è possibile solo ciò che è reale). C'è probabilmente tutto questo nell'inquietudine che la foto del matrimonio solitario della poliziotta francese ci trasmette: si sposa con qualcuno che per lei è vivo in una realtà in cui invece è morto, lascia un posto vuoto e quindi non può essere fotografato. Se vogliamo sostituirci agli altri morti e vivere anche per loro (cioè se vogliamo continuare ad amarli come solo i morti possono essere amati, di un amore che non pretenda che si presentino, un amore tanto disinteressato da contemplare la loro assenza) dobbiamo rinunciare a fare come se dentro di noi fossero vivi. Solo i morti possono essere amati sostituendosi a loro; i vivi, anche se sono vivi solo soggettivamente, non sono mai sostituibili!
Francesco Campione