- n. 9 - Settembre 2011
- Appunti di viaggio
A spasso per Oxford andando per “Ales”
L’infausta esperienza di qualche settimana fa a Kielce, dove per la prima volta in vita nostra abbiamo intensamente sofferto vedendo, increduli, molti avventori bere birra con la cannuccia(!), ci ha lasciato l’amaro in bocca. Non quello gratificante e dissetante del luppolo, ingrediente essenziale per la preparazione di una buona birra, ma quello del disgusto per la profanazione di una bevanda che trova le proprie origini nell’Egitto dei Faraoni ed in Mesopotamia. Già avevamo esposto i nostri sentimenti in un articolo dedicato all’esposizione funeraria Necroexpo, tenutasi quella città, ma tale è stato lo shock indotto da quello sconcertante e sconcio spettacolo che ne siamo rimasti, per lunghi giorni, profondamente turbati.
Approfittando di questo periodo di assenza di Saloni, abbiamo così deciso di ritrovare la sontuosa campagna inglese dove da molti anni abbiamo le nostre abitudini e dove, che piova o meno, è un piacere per lo spirito e per il corpo andare a spasso per salutare le vecchie conoscenze, nella fattispecie i gestori di quei pub dove è ancora possibile “degustare” quei veri capolavori artigianali che sono le “ales” britanniche. Soprattutto nella regione delle Cotswolds diventata negli ultimi anni, ahinoi!, molto alla moda. Da quando, cioè, personaggi estremamente famosi della finanza e del mondo dello spettacolo vi hanno stabilito le loro residenze di campagna con l’ovvio risultato che i prezzi immobiliari risultano oggi assolutamente proibitivi.Tale regione è divisa tra il Gloucestershire e l’Oxfordshire e tra le diverse gemme che essa nasconde ricorderemo lo splendido Blenheim Palace a Woodstock dove nacque Winston Churchill e che dà il nome ad uno dei profumi maschili per intenditori più pregiati del mondo, il Blenheim Bouquet, le cui note principali sono il limone, il cedro e la lavanda e che rimane dopo 109 anni di vita (fu creato infatti nel 1902) sempre attuale ed assolutamente indispensabile nella panoplia di un gentleman che rifugga dalle tonnellate di prodotti maleodoranti che hanno ormai invaso le nostre contrade con pubblicità, spesso di pessimo gusto, destinate a far presa sugli spiriti meno avveduti e meno corazzati contro i subdoli condizionamenti della società consumistica. La Penhaligon, che lo produce, fu creata nel 1870 e da allora continua discretamente per la propria strada senza indulgere in campagne promozionali costosissime (che inevitabilmente si ripercuotono sul prezzo d’acquisto dei prodotti; a parità di prezzo è fortemente probabile che la qualità sia migliore nel prodotto che ha minori costi di pubblicità) destinate al lavaggio del cervello dei potenziali clienti, ma fonda la sua politica commerciale su due capisaldi: qualità e tradizione. Del resto tale politica è appannaggio delle aziende di grande qualità. Si è mai vista in giro una pubblicità della Rolls Royce? O, per rimanere in casa, dei pellami, eccelsi, della Valextra di Milano, o dei saponi della Valobra od ancora, sempre all’ombra della Madonnina, dell’antica cartoleria Pettinaroli o, restando nel mondo cartaceo, dei prodotti irripetibili della legatoria Piazzesi in Campiello della Feltrina a Venezia fin tanto che in essa officiava la cara amica Fabia, “mula” triestina emigrata a Venezia, che aveva saputo conquistare una clientela mondiale di amatori del bello (Margareth Thatcher, Catherine Deneuve e tanti altri tra i suoi clienti). Il suo ricordo, molti anni dopo la prematura scomparsa, continua a rallegrare i nostri pensieri grazie anche ai numerosi oggetti da lei creati e che tuttora ci circondano.
Ritornando al tema di partenza e cioè alla birra, ci pare utile rammentare qualche concetto essenziale e propedeutico ad una degustazione “intelligente” del saporito nettare. Una definizione della “real ale” (pronunciare: ri’al éil) ci viene dalla Camra (Campaign for Real Ale, associazione nata nel 1970 per difendere la vera ale dalla caterva di pozioni industriali che quotidianamente vengono proposte ai bevitori sprovveduti). Essa definisce come tale il prodotto ottenuto usando gli ingredienti tradizionali e lasciato a maturare nel “cask” dal quale viene servito nel pub dopo che in esso s’è prodotta una fermentazione secondaria. È proprio tale processo a rendere unica la real ale nella misura in cui in questa fase si sviluppano quei sapori e quegli aromi che mai le birre industriali saranno in grado di fornire.
Ricorderemo che tutte le birre sono fatte con malto d’orzo (orzo germinato ed essiccato), luppolo (che conferisce il sapore amarognolo e gli aromi floreali), lievito (responsabile della fermentazione alcolica e cioè della trasformazione degli zuccheri in alcool ed anidride carbonica) ed acqua. Tutti questi componenti sono responsabili dei diversi aromi, ma soprattutto la scelta del lievito è fondamentale poiché ogni varietà di esso produce un effetto diverso sul prodotto finale.
Semplificando al massimo possiamo dividere la birra in due categorie, la lager e l’ale. La differenza fondamentale consiste nel tipo di fermentazione. Nel primo caso essa avviene a temperatura relativamente bassa usando lieviti che si depositano sul fondo del tino. Alla fine del processo, abbastanza lungo, le birre ottenute vengono conservate in contenitori speciali per un lungo periodo di raffreddamento. Nel secondo caso, quello delle ales (in seno alle quali si distinguono le bitters, le milds, gli stouts, le porters, i barley wines, le golden ales e le old ales), i lieviti usati formano una spessa coltre galleggiante nella zona alta del tino. Il processo è più rapido e più vigoroso ed avviene ad una temperatura superiore a quella della lager. Tradizionalmente le birre inglesi sono ad alta fermentazione. Si tratta di un prodotto “vivente” e come tale con una durata di vita ridotta. Non solo, ma la sua conservazione in cantina richiede molta cautela e la temperatura deve essere adeguata per permettere al prodotto di maturare ciò che metterà in risalto tutti gli aromi necessari per garantire il massimo del piacere al degustatore.
Le birre industriali vengono generalmente poste, una volta terminata la fermentazione in fabbrica, in botticelle metalliche (quelle da cui vengono generalmente spillate nei locali nostrani), dopo essere state raffreddate, filtrate (per eliminare ogni scoria di lievito) e pastorizzate (per renderle sterili). È ben evidente che in tali condizioni la maggioranza dei sapori e degli aromi se ne va e soprattutto una seconda fermentazione è assolutamente impossibile contrariamente a ciò che succede con le ales artigianali. Per loro somma fortuna i britannici hanno migliaia di fabbriche che si consacrano alla produzione tradizionale di tale tipo di birra, spesso per un uso soltanto locale. È ciò che rende il peregrinare per quelle contrade estremamente interessante oltre che gradevole al palato. C’è sempre qualcosa di nuovo sotto il sole anche quando esso non brilla. Se poi il freddo dovesse essere troppo intenso, perché non fare una scappata a Filkins (non distante da Lechlade) per equipaggiarsi, presso la Cotswolds Woollen Weavers, di magnifici capi d’abbigliamento fatti con lane di grandissima qualità in colori quali soltanto i britannici son capaci di creare?
Ritornando al nostro girovagare pigliamo la direzione di Oxford dove faremo un giro “bibitorio” nei pub più interessanti della città non senza prima avere fatto una deviazione per Southrop (poche miglia da Filkins) dove al pub locale - lo Swan - ci regaleremo una ale di Cornovaglia, la Doom Bar di Sharp’s. Recentemente si è fatto un gran parlare di questo pub visto che esso è regolarmente frequentato, essendo il suo preferito, da Kate Moss che abita a due passi a Little Faringdon. Non solo, ma qualche settimana addietro la famosa mannequin, già nota per certe sue passate intemperanze, vi ha festeggiato “comme il faut” la vigilia del proprio matrimonio con un musicante del suo paese. Indipendentemente da tali frequentazioni del jet-set, il luogo rimane estremamente gradevole e la cucina è eccellente.
Riprendiamo dunque il nostro cammino verso Oxford dove ci dirigeremo in St. Giles proprio di fronte all’Ashmolean Museum (uno dei più importanti al mondo che è stato riaperto meno di due anni orsono dalla regina in persona dopo lunghi lavori di restauro). Fatto qualche metro verso il centro giriamo a sinistra in Broad Street dove l’architettura raffinata degli stabili seduce il viaggiatore. Proprio di fronte al Museo di Storia della Scienza si trova il White Horse. Questo pub, stretto tra le due entrate della libreria Blackwell’s, rivendica il primato del pub più piccolo della città. Vi troveremo ben sei real ales tra le quali la St. Austell Tribute e la già lodata Sharp’s Doom Bar. Tuttavia è preferibile orientarsi verso le birre dell’Oxfordshire. Vale indubbiamente la pena di provare una Wychwood Hobgoblin, una Shotover Brewery Prospect (dal color rame chiaro, è una birra di 3.7° dal sapore caratteristico di luppolo e particolarmente adatta, ci pare, alla convivialità delle conversazioni di gruppo) nonché una White Horse Wyland Smithy (una ale rosso-bruna di 4.4° dal gradevolissimo aroma di biscotto bilanciato alla fine da sentori di luppolo speziato). La birreria Shotover di Horspath vicino ad Oxford ha iniziato la produzione nel 2009 mentre la White Horse (nulla a che vedere col pub) di Stanford-in-the-Vale opera dal 2004. Dopo qualche metro lungo Broad Street, giunti alla congiunzione tra Parks Road e Holywell Street ci troviamo di fronte al Kings Arms. Questo imponente pub del XVII secolo appartiene al Wadham College che l’ha concesso in affitto al gruppo birraio Youngs. Vi si potrà quindi bere la Youngs Bitter, la Youngs Special e la Youngs Gold. Ma non mancano le offerte di piccoli produttori indipendenti dei dintorni tra i quali abbiamo particolarmente apprezzato la Top Totty di Slater’s, una accattivante bionda di 4°, corposa e con un aroma di luppolo a dir poco voluttuoso. Giriamo a sinistra in Pembroke Street ed a destra, in Bath Place (vicino al Bath Hotel) vedremo le insegne della Turf Tavern. Situata in un passaggio stretto, si tratta di un pub classico a due sale del XVI secolo. Non meno di undici birre tradizionali vengono proposte, a quanto ci vien detto, ai fortunati avventori. La nostra scelta è caduta su due mild (raro che due birre dello stesso tipo, in questo caso mild per l’appunto, vengano proposte in un pub), una Buffy’s di Norfolk (rosso scuro di 4.2° con sentori di caramello e ribes) e la ancor più scura Rock Ale di 3.8° della Nottingham Brewery. Tra le offerte abituali la Greene King IPA (dove IPA sta per India Pale Ale ad indicare una birra più forte in alcool, che veniva prodotta già nel XVII secolo usando più orzo, e quindi più adatta a sopportare la lunga traversata verso l’India dove le assetate truppe britanniche attendevano con comprensibile impazienza l’arrivo dei velieri), la Abbott e la Old Specked Hen prodotta per la prima volta nel 1979, su richiesta della MG per commemorare come si deve il cinquantesimo anniversario di attività di quella fabbrica di automobili che si trova ad Abingdon nell’Oxfordshire. Attualmente OSH appartiene al gruppo Greene King. Ritornando ai marmittoni di Sua Graziosa Maestà Britannica non deve meravigliare il fatto che essi fossero usi trangugiare quantità impressionanti di birra. Non solo essa spegneva la sete sempre presente in quelle torride terre, ma lo faceva riducendo i pericoli di malattie infettive vista la presenza di alcool nel beveraggio. Tant’è vero che nelle campagne della madre patria si produceva birra casalinga una volta alla settimana. Grandi e piccoli bevevano praticamente solo tale bibita. Chi visita la residenza di campagna di William Morris (il poliedrico personaggio, artista, industriale e socialista del diciannovesimo secolo i cui magnifici tessuti floreali ancor oggi vengono prodotti ed ornano le residenze borghesi inglesi) a Kelmscott (sempre vicino a Filkins) si troverà nella “birreria” dove veniva prodotto un fusto alla settimana che serviva per cinque persone ciascuna delle quali era usa consumare quattro litri al giorno così suddivisi: due pinte (una pinta vale circa mezzo litro) al mattino con la prima colazione, una a metà mattinata, due a pranzo, una durante il pomeriggio e due altre a cena. Fatti i debiti calcoli il fabbisogno settimanale per la piccola comunità corrispondeva a quasi tre ettolitri del prezioso liquido!
Lasciamo la Turf Tavern non senza aver dato un’occhiata, in uno dei cortili, all’impressionante parete che faceva parte della cinta muraria originale della città. Usciamo dalla parte opposta per raggiungere la Queens Lane. Con somma meraviglia ci troviamo di fronte al “Bridge of Sighs” che tradotto significa “ponte dei sospiri”. Non siamo a Venezia, ma nel cuore dell’Inghilterra e sotto il ponte non passano le gondole, ma le biciclette degli studenti che in stagione di lezioni fanno svolazzare le proprie toghe nere dietro il sedile del velocipede. Quando si dice il fascino atemporale dell’Old England! Giriamo a sinistra in Catte Street passando vicino alla Bodleian Library e oltrepassando la Radcliffe Camera (che sembra quasi una versione “pomposa” della Rotunda di Cheltenham, altra città non distante che merita una visita), continuiamo fino a raggiungere High Street e giriamo a destra. L’imponente e splendido Brasenose College domina tutta la parte destra di High Street. Ci dirigiamo verso Turl Street. Giriamo a sinistra prendendo il vicolo vicino alla Nat West Bank. Alla fine di Alfred Street, là dove questa confluisce in Bear Lane, si trova il Bear Inn, un pub del gruppo Fullers. Il Bear Inn pretende di essere il più vecchio pub di Oxford. Due piccole stanze tutte in legno dal soffitto basso potrebbero effettivamente dar credito a tale asserzione. Una bella ed originale collezione di cravatte del primo ‘900 orna il luogo. Quattro birre Fullers sono disponibili. Le nostre preferenze vanno alla London Pride ed alla USB. Due altre (guest beers, birre ospiti) sono proposte.
Giriamo a destra lasciando il Bear Inn e continuando lungo Blue Boar Street fino all’incrocio a T col Municipio (Town Hall). Svoltiamo a sinistra per St. Aldates dirigendoci verso la torre del Christchurch College. Prima di arrivare alla torre giriamo a destra in Pembroke Street proseguendo sino alla fine. Il Royal Blenheim in Ebbes Street appartiene alla Everard Brewery del Leicestershire, ma è concesso alla già menzionata White Horse Brewery. Si tratta del solo pub della città gestito da una compagnia di Oxford e ci sentiamo di raccomandarlo con particolare fervore. Come l’amico John Lewis, il direttore, che con giustificato orgoglio ci ricorda, che il Royal Blenheim è stato nominato pub dell’anno della Camra per la città di Oxford nel 2010. L’esemplare Village Idiot (l’Idiota del villaggio!), una ale bionda di 4.1° che abbiamo degustato era in condizioni assolutamente superbe. Disponibili anche la Wayland Smithy e la Black Horse Porter della White Horse assieme alla Everards Tiger e ad altre birre ospiti. Uscendo ci dirigiamo verso Queen Street continuando fino all’incrocio di Cornmarket Street con St. Aldates. Raggiungiamo Magdalen Street East. Sulla sinistra, quasi di fronte alla chiesa di St. Mary Magdalen, si trova un Tesco Express. Troviamo la Friars Entry Alley dove c’è il Far From the Maddening Crowd (Lontani dalle folle irritanti). È recente, aperto solo nel 2002, tuttavia è equipaggiato di un numero impressionante di postazioni per spillare, e d’altra parte il loro website, altrettanto impressionante, fornisce ogni dettaglio sulle birrerie fornitrici. La lista è assolutamente commendevole; nel 2009 gli era toccato il riconoscimento ottenuto l’anno successivo dal Royal Blenheim. Ritorniamo in St. Giles passando davanti al Randolph. Questo albergo pluristellato e dallo charme un po’ desueto (in realtà una rinfrescatina sarebbe più che benvenuta) ci riporta all’atmosfera dei libri di Agatha Christie. Lo High tea del pomeriggio è un must. Per chi non fosse al corrente lo high tea è quello che si prende tra le 17 e le 19 in ciò differenziandosi dall’afternoon tea (tra le 14 e le 17). Esso comporta carni, formaggi, spesso lo sheperd’s pie, pesce affumicato e panini di diverso genere. Di solito è seguito da una cena leggera. Dopo una giornata passata da un pub all’altro, una pausa mangereccia non sarebbe, tutto sommato, da sconsigliare. Se poi, dopo tanto camminare, i piedi fossero doloranti o le scarpe in condizioni non eccessivamente brillanti, un solo indirizzo per trovare dei calzari adeguati: Ducker & Son Shoemakers che dal 1898 fornisce, in Turl Street, i grandi classici inglesi a prova di intemperie, confortevoli e soprattutto lontani mille anni dagli orrori che vediamo imperversare sui marciapiedi italici. E cioè quelle orribili scarpe puntute ovvero quelle scarpe da ginnastica migliorate che stanno, a nostro modo di vedere, alle scarpe britanniche come l’acqua minerale sta allo champagne.
Non sappiamo se tra i lettori ve ne saranno alcuni che avranno voglia di ripercorrere i nostri passi. Ce lo auguriamo perché non soltanto essi avranno accesso al mondo affascinante delle ales (da sorseggiare, tassativamente, a temperatura ambiente), ma soprattutto ad un’arte di vivere scomparsa ormai quasi dappertutto, salvo in rare isole, nel nostro (in altri tempi) bel paese. Non solo l’Inghilterra ci ha insegnato la democrazia (un po’ diversa da quella, tanto decantata, di Atene, e molto diversa da quella italiana), ma ci ha anche dato le regole degli sport più praticati nel mondo (rugby, football, tennis, golf, boxe, equitazione,…), assieme al gusto per il rispetto dell’ambiente, per la conservazione del patrimonio naturale ed architettonico, per non parlare del culto della tradizione che permette ad un popolo di conservare la propria identità anche quando essa è arricchita dagli apporti delle culture di importazione.
L’estate, una strana estate, sta passando. Fra pochi giorni (quando il lettore avrà tra le mani Oltre Magazine) saremo già in giro per il mondo (la Russia, gli Stati Uniti, la Francia, forse il Messico ci attendono) per assicurare il prosperare ed il successo mondiale di Tanexpo 2012; ma tra tutti questi impegni troveremo la voglia (che non manca) ed il tempo di ritrovare l’isola di Islay (leggere “àilei”), nelle Inner Hebrides scozzesi, dove ancor oggi otto distillerie producono quelli (torbati, iodici, marini, quasi medicinali) che consideriamo essere i migliori e più entusiasmanti whisky esistenti. Ve ne parleremo, tra una fiera e l’altra, con lo stesso piacere provato nel raccontarvi le nostre passeggiate oxfordiane assieme alla speranza che almeno uno tra di voi voglia seguire il percorso amorosamente indicato. Il nostro lavoro non sarà stato, in tal caso, inutile.
Buon rientro a tutti!
Il Viaggiatore