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Le vite degli altri

Sonata per le persone buone

Non è la morte ad essere il filo conduttore di questo film. O almeno, non la morte in senso stretto. È la voglia di vivere che la fa da padrona e che emerge prepotentemente in ogni parola, in ogni gesto, in ogni immagine. È quella vita che cerca di farsi strada in un paese e in un’epoca in cui vita non c’era: Berlino Est, 1984.
La DDR è sotto il controllo della Stasi, un repressivo organo di polizia che spia la vita dei cittadini. Soprattutto dei potenziali dissidenti. La Stasi annovera i più rigidi e terribili collaboratori. E tra questi spicca lui: Gerd Wiesler, votato con diligenza alla causa comunista, inflessibile e intransigente. La sua fama lo precede e lo porta a conquistare la guida di una delle missioni più importanti degli ultimi anni: avrebbe dovuto sorvegliare un noto drammaturgo dell’epoca, Georg Dreyman, e la sua compagna e attrice, Christa-Maria Sieland. Ma la sensibilità di Dreyman e la fragilità di Christa-Maria lo toccheranno profondamente. E da spia senza scrupoli Wiesler si trasforma in un essere umano. Da freddo poliziotto, pronto a denunciare chiunque commetta uno sgarbo, diventa ben presto complice della coppia. Non visto, li aiuta a superare le maglie della censura comunista e a non cadere nelle mani dei poliziotti. Mette a repentaglio la propria vita, la propria credibilità, la propria carriera, per aiutare segretamente un gruppo di intellettuali a denunciare il regime.
Le vite degli altri è stato presentato agli Oscar 2007 e ha sbaragliato la concorrenza americana conquistando pubblico e critica. L’esordio di Henckel alla regia non poteva essere più riuscito. E a ben ragione: il film è una storia di umanità e di coraggio in un’epoca in cui proprio l’umanità e il coraggio sono stati affossati per portare in auge altri valori. È una storia di morte abbiamo detto, ma non della morte nel senso più concreto del termine. Non è la morte di Christa-Maria Sieland, investita da una macchina durante una fuga disperata. È la morte di chi, in un’epoca simile, non può più esprimere le proprie idee. E l’impossibilità di parlare o di pensare liberamente non è forse morte anche questa? Non Christa-Maria Sieland quindi, ma l’amico di Dreyman, il regista Jerska, è il vero morto della vicenda. Jerska è l’emblema dell’artista di quel tempo che, deluso da un paese in cui aveva riposto molte speranze, ha deciso di abbandonare questo mondo nella maniera più brutale possibile. Impiccandosi. Il regime gli aveva impedito di scrivere, lo aveva snaturato, gli aveva tolto quello per cui era nato. Jerska era morto psicologicamente prima che biologicamente. Ma in un orizzonte così raggelante, Henckel inserisce uno spiraglio di luce: e lo spiraglio di luce è Gerd Wiesler, proprio lui, che redime la propria vita acquistando una rinnovata umanità. Se Jerska muore, Wiesler rinasce, e lo fa grazie alla coppia di artisti. È un segno il suo, il segno che anche in una realtà simile qualcosa può cambiare.
Henckel consegna alle sale cinematografiche un sobrio capolavoro osannato anche dalla critica italiana. Il cast è una rivelazione: completamente tedesco, gli attori si sono calati alla perfezione nei propri ruoli e hanno conferito ai propri personaggi una efficace drammaticità. Un ricordo particolare va riservato a Ulrich Mühe (Gerd Wiesler), scomparso poco tempo dopo la fine delle riprese.
 
Laura Savarino


LE VITE DEGLI ALTRI
(Germania, 2006)
 
di Florian Henckel Von Donnersmark
Durata: 137 minuti
Cast: Martina Gedeck, Ulrich Mühe, Sebastian Koch, Ulrich Tukur, Volkmart Kleinert

 
CURIOSITA'
È il terzo film tedesco a conseguire il riconoscimento dell’Oscar come miglior film straniero, dopo Il tamburo di latta (Die Blechtrommel) (1980) e Nowhere in Africa (Nirgendwo in Afrika) (2003).
Nel 2006, a seguito del grande successo del film, è stato pubblicato presso la casa editrice tedesca Suhrkamp il libro di Florian Henckel von Donnersmark relativo al film. Il regista descrive l’idea; i protagonisti Sebastian Koch e Ulrich Mühe raccontano il proprio ruolo e Manfred Wilke, il consulente storico, raffigura il contesto storico e si confronta con la domanda se una storia del genere sarebbe stata possibile nella DDR.
 
Il film è stato girato quasi esclusivamente a Berlino. Le riprese all’esterno dell’appartamento dello scrittore Georg Dreyman si sono svolte in Marchlewski-Straße, a Friedrichshain. Altre scene sono state girate a Frankfurter Tor, in Karl-Marx-Allee, al teatro Hebbel (all’epoca dei fatti però appartenente a Berlino Ovest) e al teatro Zittau Gerhart-Hauptmann. Da non dimenticare le riprese nella zona dell’allora sede centrale del Ministero per la Sicurezza di Stato (la Stasi appunto) in Normannenstraße, a Lichtenberg. L’autorizzazione a girare nel luogo commemorativo di Alt-Hohenschönhausen è stata negata.

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