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Lo shintoismo primitivo

Il vocabolo Shintô, composto da due ideogrammi cinesi che tradotti significano “cammino degli dei”, indica l’etimologia dello Shintoismo, religione caratterizzata da una complessa evoluzione storica. Il termine, usato in Giappone nel VI secolo d.C. per distinguerlo dal Buddismo che in quel periodo iniziava ad espandersi nel Paese, identifica la religione primitiva dei kami, popolazione originariamente emigrante dal continente cino-mongolico, che si stabilì lungo le coste delle isole del sud dell’arcipelago giapponese. Le tradizioni religiose, caratterizzate da pratiche animiste e divinatorie, sono di tipo marittimo: ritualità solenni che non permettono di dimenticare gli antenati appartenenti alle diverse tribù.
Sino all’anno 1000 d.C. in Giappone è kami ciò che appartiene ad una realtà cosmica, sacra, superiore e luminosa della quale tutto e tutti fanno parte. Con questo termine vengono identificati quegli elementi che per la loro straordinarietà sono dagli uomini considerati misteriosi (i vulcani, i corpi celesti, le montagne, le stelle,…). Kami sono inoltre gli eroi, gli uomini autorevoli e illustri, così come nell’antichità erano considerate le divinità che vivevano nelle sfere più alte del cielo o nel “mondo intermedio”.
Le relazioni dell’uomo con i kami sono caratterizzate da devozione e da una riverenza a volte colma di timore, poiché alcuni di essi corrispondono a realtà naturali funeste. Ogni clan ricerca e individua un albero, una pietra sacra o un campo di riso, un luogo in cui venerare il proprio dio tutelare, chiamato uji-kami, che mantiene l’unità della tribù. Questi spazi, dove più tardi verranno realizzati i templi, sono anche centri della vita sociale in cui portare i primi frutti del raccolto e celebrare i riti matrimoniali. Il capo del clan, intermediario della propria tribù con la divinità, lavora per mantenere propizio il kami.
Fra il 275 e il 350 d.C. l’unificazione del Paese sotto l’autorità del clan Tennô (il cui nome coincide con l’imperatore di origine celeste), l’omogeneità culturale e lo sviluppo della civilizzazione accelerarono l’affermazione dello shintoismo. La necessità di vivere in una comunità, sotto un unico capo, porta alla statuizione di alcune regole morali quali, ad esempio, un sistema di abluzioni per purificare l’individuo dalle contaminazioni esteriori che provengono dalla trascuratezza nell’osservare le norme comunitarie o dal contatto con i cadaveri o da certe malattie o dalla violazione delle norme sessuali.
All’inizio del VI secolo, in contrapposizione al buddismo, allora introdotto in Giappone, appaiono i primi testi shintoisti: cronache mitologiche in cui sono presenti molti elementi sull’aldilà e sui riti ad esso connessi.
I testi distinguono tre mondi: quello superiore dove vivono i kamis più eccellenti e gli spiriti di alcuni defunti che non dimenticano il mondo dei vivi, quello inferiore abitato dagli spiriti malefici e infine un luogo intermedio o dei kami manifestati, dove esistono i principi maschile e femminile che genereranno esseri quali le isole o i fiumi fino ad arrivare al Kami-Sol che occupa il luogo principale del pantheon shintoista.
Oggi in Giappone sono oltre centomila i templi shintoisti, in cui dimorano più di otto milioni di kami differenti, essenza e fulcro della cultura giapponese. Lo “spirito” dello shintô è presente all’alba del primo gennaio nel sacrario di Meiji Jingû, a Tokyo, in cui si venerano come divinità l’imperatore Meiji (1868-1912) e la sua sposa, Shoken, sovrani durante il periodo di maggior sviluppo della modernizzazione nipponica.
 
Maria Angela Gelati

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