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Rosso Maasai

Ancora oggi il termine "Maasai" è sinonimo di un'Africa primitiva, libera, autentica, nella quale uomini e animali si contendono l'immensa savana. I Maasai sono un popolo nomade, dalla pelle color bronzo, fiero, statuario, impenetrabile; un mondo tribale, misterioso e lontano, che affonda le radici della propria storia in luoghi e territori anch'essi distanti.
Attualmente i Maasai sono suddivisi in differenti tribù, poiché il raggruppamento è fondamentale per ciascuno, mediante la costruzione di due modelli di villaggio: l'enkang, formato da venti o cinquanta capanne in cui risiedono gli uomini sposati con le loro famiglie, e il manyatta, un agglomerato destinato al periodo di iniziazione dei giovani guerrieri dopo il rito della circoncisione.
Nella isolata quanto incantevole regione del Mara una fitta siepe di arbusti spinosi protegge il piccolo villaggio di Oloolumutia. È un enkang di venti capanne. Queste abitazioni a stento arrivano ad altezza uomo: impossibile starvi in piedi. Vi si entra attraverso uno stretto tunnel di circa un metro. Non vi sono aperture, né camini; l'aria filtra dalle pareti e dall'ingresso che di notte viene ostruito da un paravento di pelli e da bastoni. Durante la calura del giorno l'interno è fresco, senza mosche né zanzare, mentre di notte c'è un buon tepore grazie all'uso di coperte e di piccoli fuochi. Nessun guardaroba. L'abito maasai è semplice: una shuka, la coperta a scacchi rossa, ai fianchi per gli uomini e una pelle o una parte di tela allacciata alle spalle per le donne.
Secondo i Maasai la morte è un evento naturale poiché chi muore continua a vivere e ad intervenire nella vita dei propri cari. Così il decesso diviene il passaggio necessario per raggiungere Nkai (Dio) e il mondo degli antenati. Le preghiere a Nkai e le celebrazioni di sacrifici esprimono le credenze religiose e le usanze dei Maasai.
Quando all'interno del villaggio muore un membro della tribù, oltre il recinto, nei pressi di un olivo o di una acacia, viene immediatamente uccisa una mucca, poiché considerata inviolabile. Infatti dalla mucca il Maasai ricava nutrimento ogni giorno. La mucca richiama l'erba e l'erba la terra. La terra è intoccabile al punto che non viene profanata neppure per scavare pozzi per l'acqua. Nonostante la regione del Mara ne sia provvista, la maggioranza dei Maasai continua a servirsi dei torrenti e dei serbatoi naturali che incontra nel suo vagabondare. Mucca e terra rivestono una caratteristica sacra ed esigono il massimo rispetto. Per questo il pastore Maasai disdegna di "trafiggere" la terra. Non la smuove neppure per seppellire i propri defunti che preferisce, invece, abbandonare in pasto agli animali della savana.
Il sacrificio della mucca all'esterno del villaggio esprime parte del cerimoniale Maasai. Infatti il rito funebre, che si svolge dall'alba al tramonto, inizia spalmando sul corpo del defunto l'olio creato con il grasso dell'animale ucciso e termina, attraverso l'accompagnamento di danze, canti e preghiere, con il passaggio al luogo dell'abbandono rituale agli elementi della natura. Tuttavia vi sono differenti modalità. Ad esempio, per quanto riguarda l'anziano del villaggio viene formato, all'esterno del recinto, un cerchio di bastoni presi dalla siepe di arbusti volta a proteggerlo mentre all'interno viene deposto il corpo unto, questa volta, con il grasso della sacra pecora. Intorno a questo luogo simbolico circolare si svolgono le danze, i canti e le preghiere e si beve una sorta di birra fatta con i frutti del carrubo mescolati ad acqua e miele. In particolare la danza funebre esprime sia il tributo al defunto e alla sua abilità nell'espletare i compiti ascrittigli dal ruolo sociale, sia lo strumento privilegiato per la comunicazione con l'aldilà, oltre che divertire e far socializzare i presenti.
 
Maria Angela Gelati

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