le scritte sulle lapidi e la reazione alle morti violente
Vorrei accostare oggi un libro e un fatto di cronaca che ci "istruiscono" sul modo in cui si concepisce la morte nella nostra epoca.
Il libro è quello di un giornalista (Luca Cardinalini) e di un fotografo (Giuseppe Cardoni) che hanno girato l'Italia per fare un censimento e un commento sulle lapidi dei personaggi famosi. Ne è venuto fuori un testo (La terra ti sia lieve, Derive-Approdi) molto interessante dal punto di vista tanatologico perché mostra uno dei rivelatori della concezione della morte nella nostra epoca: il modo di descriverla da parte delle persone famose, attraverso gli epitaffi sulle tombe. Le persone famose, come i giovani, sono una sorta di etichetta della modernità, rappresentando quasi per "incarnazione" le mode di un'epoca: i primi perché tendono a presentarsi come tutti li vogliono, per farsi adorare (e per questo forse sono famosi); i secondi perché hanno un bisogno di appartenenza che li fa essere più omologati e più opportunisti che in altre età della vita.
Il fatto di cronaca è il funerale del piccolo Tommaso ucciso a Parma in seguito ad un rapimento sfociato in tragedia. È stato un fenomeno di massa; e il comportamento di una massa in preda all'emozione più forte, cioè la morte di un bambino ucciso violentemente, può essere considerato un altro importante rivelatore del modo in cui oggi si concepisce la morte.
Il libro parla della morte dei privilegiati, il fatto di cronaca si riferisce alla morte dei più vulnerabili. I privilegiati muoiono come tutti vorrebbero morire: alla fine di una vita ben spesa, circondati da un pubblico che è afflitto per loro e che dice loro che li ricorderà; forse soffrono meno degli altri perché hanno tutti i mezzi a disposizione per non soffrire, possono scegliere dove essere seppelliti e quello che desiderano si faccia del loro cadavere, hanno il tempo di pensare come vogliono essere ricordati anche attraverso la scelta della scritta sulla lapide. I più vulnerabili, cioè i bambini indifesi che cadono preda di qualche violento, muoiono come nessuno vorrebbe morire, prima di aver vissuto, soffrendo e non potendo scegliere nulla su come vorrebbero essere ricordati. I primi sono espressione del "potere" che l'uomo ha sulla morte, i secondi sono espressione dell'impotenza dell'uomo di fronte alla morte. Ecco perché il libro sulle lapidi non è affatto triste, mentre il funerale di Tommaso è non solo tristissimo, ma anche pieno di contenuti che fanno riflettere.
Il libro può essere citato come un compendio di curiosità sulla morte e vi si possono trovare le cose belle, strane e divertenti di cui la morte si circonda quando chi muore non è completamente in balia della morte. Il funerale di Tommaso presenta il tentativo di sublimare la morte di un bimbo ammazzato, dicendo che è un angelo che ci proteggerà e che la sua morte non sarà vana perché ci farà diventare tutti meno violenti coi bambini; ma è anche la reazione umana di sempre di fronte all'assurdo di cercare un colpevole e di ucciderlo a risarcimento ("occhio per occhio") del male. La madre di Tommaso ha detto che non può perdonare e che anche la pena di morte sarebbe poco per gli assassini del suo piccolo: vorrebbe che soffrissero come ha sofferto lei. Ma per far questo non bisognerebbe uccidere il figlio dell'assassino? La folla al funerale gridava che l'assassino "deve morire in carcere": ma chi lo dovrà uccidere se non gli altri carcerati che lo aspettano per farlo fuori o un boia? Non è un paradosso che altri assassini non sopportino un assassino e vogliano farlo fuori, o che ci voglia uno specializzato ad uccidere chi ha ucciso? È il paradosso di ogni pena di morte: per punire chi ha ucciso bisogna fare quello che si sta punendo, cioè uccidere ancora.
Sulle lapidi tutti gli assassini, dopo morti, diventano padri di famiglia integerrimi, ma il libro che ho citato non ne parla, perché parla solo delle lapidi degli uomini famosi. Significa che solo la morte assolve gli assassini? Significa che la morte è più pietosa degli uomini? Certo non si può chiedere alla madre di Tommaso di perdonare se perdonare significa condonare la responsabilità dell'assassino: solo Dio può farlo. Ma c'è un altro modo di perdonare, distinguendo tra la responsabilità e la pena: la madre di Tommaso può condonare la pena ma non la responsabilità. Ecco quale sarebbe il modo di dare voce alle vittime impedendo di stabilire loro la pena (che è un fatto ormai acquisito della nostra civiltà giuridica e che non bisognerebbe mettere in discussione): la vittima è colei che non condona mai la responsabilità al suo carnefice il quale, anche quando gli viene condonata a scopo riabilitativo una parte della pena, sa che l'unico dono (per-dono) che gli si può fare è quello di permettergli vivendo di assumersi la responsabilità di cui la vittima è l'incarnazione. D'altra parte, da chi vorrebbe essere perdonato il carnefice se non dalla vittima, quale altro perdono può essere veramente tale per lui?
Se deve morire per poter avere una lapide che lo assolva non è più giusto che viva nell'ossessione di non poter essere assolto per quello che ha fatto? Quanto bene dovrebbe fare per colmare un male così incolmabile? Non è attraverso questa incolmabilità che può sorgere nel carnefice il desiderio infinito del bene?