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I riti funebri dei popoli più lontani

In Nuova Zelanda e in Nuova Guinea l’isolamento geografico e culturale ha preservato tradizioni funebri peculiari delle popolazioni autoctone.

L’Oceania è un insieme di terre e di arcipelaghi che comprende, oltre all’Australia, anche la Polinesia, la Melanesia, la Micronesia, e la Nuova Zelanda. Viene considerato un continente nuovo, poiché, se si esclude l’Antartide, è stato l’ultimo ad essere stato scoperto dagli Europei, e il più recente ad essere stato raggiunto e popolato dall'uomo: le prime colonie umane risalgono a 50.000 anni fa ma gli insediamenti si sono completati solo 3.000 anni fa quando alcuni gruppi umani si sono stabiliti nella Polinesia.

La scoperta di queste terre da parte degli europei avvenne nel 1513, ma soltanto nella seconda metà del Settecento si compì la colonizzazione da parte soprattutto degli Inglesi. Il nome stesso “Oceania” fa capire che più che i terrori il vero protagonista di quella parte del mondo è l’oceano, sfondo dei paesaggi meravigliosi che ne fanno parte, il più potente filo conduttore che collega queste terre e isole sia da un punto di vista fisico che da un punto di vista culturale.

In questo articolo ci soffermeremo sulle usanze funebri dei popoli Maori e Huli, rispettivamente appartenenti alla Nuova Zelanda ed alla Nuova Guinea che nonostante le colonizzazioni, hanno mantenuto intatte le loro radici praticando ancora oggi una parte delle cerimonie funebri più antiche.

I Maori della Nuova Zelanda

A causa dell’isolamento geografico i Maori della Nuova Zelanda hanno sviluppato una visione della morte e del lutto priva da influenze esterne proprie dei colonizzatori. Buona parte del loro pantheon è molto simile a quello dei polinesiani, a seguito di un antico flusso migratorio. Successivamente, l’arrivo dei missionari cristiani ha sconvolto la ritualità locale ma non in modo determinante, tanto che ancora oggi mitologia e tradizioni si legano in un folklore che resta l’elemento basilare per l’identità Maori.

Una riflessione doverosa deve partire dal fatto che secondo la tradizione più antica vi sono due elementi del tutto assenti nella visione dell’aldilà: il giudizio post-mortem e di conseguenza l’idea che il mondo sotterraneo sia un luogo di tormento. Con le influenze della religione cristiana il dio della morte, Whiro, viene immaginato con le caratteristiche del diavolo della nostra tradizione, ispiratore di pensieri maligni e signore del mondo degli inferi, un luogo nebbioso ed oscuro. È l’antitesi di Tane, divinità della fertilità e della luce, a cui si contrappone. Secondo la leggenda, Whiro si nutriva dei corpi dei morti che lo rendevano sempre più forte con il pericolo di poter sconfinare dal mondo sotterraneo e venire sulla terra a divorare anche i vivi. Per questo era consigliabile la cremazione, in quanto non poteva trarre forza dalle ceneri.

I Maori dedicavano alla morte riti socialmente più importanti rispetto a quelli riservati alle nascite o ai matrimoni. Ancora oggi la cerimonia funebre (tangihanga), segue una liturgia che è cambiata di poco nei secoli, e rimane molto simile a quanto praticato nell’epoca precedente alle grandi colonizzazioni.

In passato il rito funebre cambiava a seconda del ruolo sociale della persona defunta: il tangihanga, eseguito per tutti gli appartenenti alla comunità era costituito da una serie di gesti semplici ed essenziali. La salma veniva preparata da una persona preposta, solitamente un membro della famiglia, e poi esposta per la veglia. Successivamente il corpo veniva inumato o cremato. Durante la veglia i parenti rimanevano uniti intorno alla salma ed era loro vietato mangiare sia prima che durante la veglia stessa. Assolutamente differente era il trattamento rivolto ai personaggi di spicco della comunità come i capi delle tribù; in questo caso la preparazione della salma era complessa ed il viso veniva dipinto con un impasto di terra ed ocra rossa. La veglia funebre si divideva in due momenti imprescindibili: dapprima alcuni membri della comunità pronunciavano discorsi rivolti al defunto come se fosse ancora in vita e successivamente la famiglia, detta anche whānau pani, si radunava intorno alla salma, in preghiera, anch’essa senza poter mangiare, coprendosi il capo con corone di foglie simbolo di appartenenza alla comunità. La sepoltura del corpo in questo caso non era definitiva. La salma veniva riesumata nei mesi successivi e le ossa dopo essere state ripulite e dipinte ancora una volta, venivano spostate in un luogo differente. Per questioni pratiche un simile trattamento oggi è impensabile, tuttavia la cerimonia tangihanga impone ancora ai dolenti il digiuno prima e durante l’esposizione del feretro.

Gli Huli della Nuova Guinea

Anche la Nuova Guinea è una terra remota caratterizzata da un mix etnico e culturale variegato. Esattamente come la Nuova Zelanda è rimasta isolata per molto tempo ed il fiorire di tradizioni autoctone ha fatto sì che il popolo degli Huli, etnia indigena collocata nella zona meridionale, costruisse una ritualità legata alla terra, ai cambiamenti atmosferici ed alle danze tribali. Per gli Huli, considerati gli ultimi primitivi della terra, l’acqua è un elemento di basilare importanza e si attribuisce agli spiriti degli antenati la capacità di governarne i flussi e le maree. Il rapporto tra il regno dei vivi e quello dei morti è definito da un confine labile e i dama, ovvero gli spiriti, sono divisi secondo tre tipologie: avi benefici, spiriti, predatori e spiriti causa di malattie. Questo ultimo punto è significativo perché testimonia come a seguito delle colonizzazioni una parte considerevole della popolazione Huli sia stata decimata a causa di malattie nuove che hanno avuto un impatto devastante. Non a caso, a seguito di un contagio, una delle pratiche più comuni per questo popolo era il cannibalismo nei confronti di chi secondo il pensiero comune era stato la causa del maleficio generato dal virus.

I riti funebri all’interno delle tribù erano e sono tutt’oggi caratterizzati da danze ed invocazioni e l’elemento distintivo è costituito da maschere di legno che rappresentano gli spiriti degli antenati. Il mondo sotterraneo, quello in cui secondo la tradizione precristiana vivono i defunti, ha confini sfocati e non è ben definito. Al contrario, l’idea dell’anima è invece legata ad un concetto ben preciso: dopo la morte lo spirito si stacca dal corpo ed intraprende il suo viaggio verso il sud dell’isola. Dopo molte generazioni le anime si trasformano in spiriti e diventano gli spiriti degli antenati, che sono sacri, profondamente in contatto con la natura e sono gli unici che dopo la morte, possono anche tornare sulla terra.

Se nella storia dell’uomo i coloni hanno sempre introdotto nuove formule e nuovi riti nella cultura dei popoli sottomessi tanto che con il passare del tempo le nuove influenze hanno determinato il declino di tradizioni arcaiche, Nuova Zelanda e Nuova Guinea sono gli esempi di come l’isolamento costituito dalla posizione geografica sia stato invece decisivo nel mantenere un forte radicamento della ritualità primitiva che di fatto non è mai andata del tutto perduta.
 
Miranda Nera


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