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Riti funebri nell’antica Grecia

Mitologia, campi elisi e ostentazione della ricchezza: i rituali ellenici ai tempi di Omero.

Gli antichi greci avevano un proprio modo ben ritualizzato di accostarsi alla morte e alle pratiche funerarie.

Contrariamente a quanto avveniva nell’antico Egitto, la morte non era pensata come una prosecuzione gioiosa della vita terrena: essi s’immaginavano i campi elisi, il loro Oltretomba, come popolati da ombre affrante dalla nostalgia per la vita perduta. Gli abitanti della patria della filosofia e della poesia, infatti, fin dagli albori della loro civiltà s’interrogavano su ciò che potesse accadere all’anima dopo il trapasso.

Innumerevoli sono, a tal proposito, le cosiddette “discese agli inferi” di eroi e figure leggendarie, pensiamo a Ulisse o a Orfeo, per esempio. Il rispetto per i defunti, per il momento del trapasso e per la loro memoria era, tuttavia, molto presente anche nell’ambito della cultura greca ed esistevano cerimonie e rituali specifici per dare l’estremo saluto al defunto. Gli antichi greci davano grandissima importanza alla salvaguardia della salma che non doveva essere lasciata incustodita, possibile preda di uccelli rapaci, cani e altre bestie: se, infatti, il corpo del defunto fosse stato sbranato, la sua anima non sarebbe stata in grado di raggiungere i campi elisi e avrebbe vagato in eterno, piangendo perduta. Il recupero delle salme doveva, quindi, avvenire anche nel caso dei soldati caduti in battaglia, come ci mostra in maniera vivida e drammatica Omero nell’episodio dell’Iliade, in cui il vecchio re Priamo va nell’accampamento nemico per supplicare Achille di rendergli il corpo del figlio Ettore, l’eroe fino ad allora imbattibile, protettore della città di Ilio. Infliggere una tale pena al defunto era sentita come una punizione talmente insostenibile che Antigone nell’omonima tragedia sfiderà le leggi della città e le ire della famiglia pur di recuperare il corpo dell’amato fratello lasciato in pasto alle fiere perché dichiarato nemico pubblico.

Ritualità e funerali

Gli antichi greci erano soliti bruciare i propri morti su una pira funeraria e tumularne poi le ceneri e le ossa in un’urna sepolta sotto una collinetta contrassegnata da una lapide commemorativa. Dopo il decesso, il corpo veniva accuratamente lavato, unto con balsami e olii profumati e, infine, avvolto in un telo e composto su un catafalco. A questo punto, la salma era pronta per l’esposizione, per la visita di parenti e amici che offrivano il loro ultimo saluto. Le prefiche, solitamente le donne della famiglia del morto, cantavano il lamento funebre in onore del defunto, lamentandosi e percuotendosi il petto. Seguivano poi i sacrifici animali in onore delle divinità dell’Oltretomba, il banchetto funebre, il rogo della salma e la tumulazione dei resti. Nella tomba venivano anche depositati dei fiori, gli asfodeli, e delle monete, come “pagamento” per Caronte, il traghettatore del fiume Acheronte, incaricato di traghettare i defunti nell’Aldilà; spesso veniva aggiunta anche una torta al miele, da offrire a Cerbero, il mostruoso cane a tre teste che fungeva da guardiano dell’Ade, per ammansirlo.
Ai tempi di Omero i funerali per i personaggi di spicco erano spesso accompagnati da giochi di tipo sportivo, organizzati in onore del defunto e da vari sacrifici, che mettevano in risalto l’elevato status sociale del morto e della sua famiglia, ostentando pubblicamente le ricchezze e le risorse di cui disponeva; col passare del tempo, però, le città-stato introdussero delle leggi volte a limitare e a contenere queste ostentazioni esagerate di opulenza.
Più raro il caso in cui il defunto, invece di essere arso, veniva sepolto in una tomba a forma di rettangolo insieme ad armi, gioielli e oggetti di uso quotidiano che gli erano appartenuti in vita, ai quali veniva aggiunta un’urna in cui i familiari e gli amici potevano mettere le loro offerte di vino e miele ogni volta che visitavano il tumulo. In alcune città-stato, come ad esempio Sparta, venne in seguito proibito per legge tumulare cibo e oggetti con il morto.

Dei e mitologia

Suggestiva è la mitologia greca legata all’Aldilà, con le sue divinità funerarie come il tenebroso Ade, fratello di Zeus e di Poseidone, che regna incontrastato nell’Oltretomba in qualità di dio degli Inferi; Thanatos, temibile personificazione della morte naturale, fratello di Hypnos, il sonno; le Keres, che nelle opere di Omero incarnano la morte violenta, e, infine, le Moire: Cloto, Lachesi e Atropo, che tessono e tagliano il filo del destino di ogni essere umano, decretandone così ineluttabilmente il decesso, le quali simboleggiano in maniera davvero efficace l’aleatorietà della vita umana e l’impotenza di ogni essere vivente davanti al proprio sconosciuto destino di morte. Nemmeno gli dei più potenti, infatti, potevano restituire la vita al defunto una volta avvenuta la rescissione del filo da parte di Atropo.

L’Oltretomba greco, molto più di quello dell’antico Egitto, rimanda a considerazioni filosofiche sulla natura della morte e sulla precarietà dell’esistenza, riflettendo le inclinazioni profondamente pensose di una cultura che in Occidente è stata la culla dell’arte e della filosofia così come ancora oggi vengono spesso pensate. Rappresentazioni pittoriche o scultoree di vari episodi legati alla discesa agli Inferi attestano con vividezza l’interesse mostrato per l’ignoto e il misterioso da parte dei vari strati della popolazione greca. La rappresentazione dell’Aldilà greco è poi stata accolta nella cultura dell’antica Roma, che ha fatto proprie leggende e figure mitologiche preesistenti, modificando i nomi delle divinità e amalgamando le loro caratteristiche con quelle di dei autoctoni. Immortale e indimenticabile la discesa agli Inferi di Enea, eroe tragico, nell’Eneide di Virgilio.
Linda Savelli: dottoressa in tecniche psicologiche per i servizi alla persona e alla comunità e filosofa.
Bibliografia di riferimento: L’inferno dei greci, il viaggio delle anime nell'aldilà (storicang.it).
 
Linda Savelli

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