- n. 5 - Maggio 2009
- Il pensiero di...
Ripetere la "svolta" di Mestre...
Sentire ripetere all’infinito che quello italiano è il “prodotto di qualità che tutto il mondo ci invidia” fa un po’ sorridere. E non sono il solo a pensarla così! Sembra una sorta di training autogeno per convincere se stessi che si può vivere di gloria a tempo indefinito.
Che lo sia stato è fuori di dubbio; che ancora lo sia è dubbio; che continuerà ad esserlo è problematico. Sarebbe auspicabile quindi essere più cauti e cambiare disco, iniziando ad ammettere con franchezza come stanno le cose, per evitare in futuro di essere costretti a dire: “c’era una volta…”.
Riconoscere che è sempre più preoccupante l’uso del cofano di abete mal lavorato! Che occorre affrettarsi a porvi qualche rimedio! Altrimenti, di questo passo, si potrebbe addirittura arrivare al cartone!
Assocofani è in grado di dichiarare quante di quelle casse “infestano” il mercato? Quante ne vengono prodotte in Italia?
In un precedente periodo di crisi, allorché si doveva affrontare il problema della scarsa remuneratività del larice, avviliti perché non si riusciva a vincere la paura di saltare il fosso oltre il quale c’era un insormontabile ostacolo, un attimo prima di abbandonare sconsolati l’assemblea avvenne il miracolo. Uno dei partecipanti ebbe la mirabile idea di fare una semplicissima proposta: “Perché non ignoriamo l’ostacolo e saltiamo il fosso?”. Rinfrancati, come d’incanto, accogliemmo l’idea. Si aprirono le acque e passammo il fosso.
Ad Assocofani si potrebbe suggerire di riunirsi a Mestre, poiché è lì che avvenne il miracolo.
Si potrebbe tranquillamente dire che quella decisione fu di straordinaria e vitale importanza per l’affermazione del prodotto italiano in Europa, dando a parecchi di noi produttori lo slancio e la linfa per progettare e per produrre i modelli che ci hanno caratterizzati negli anni ottanta e novanta.
Per certi versi ci troviamo ora nella stessa situazione.
Come uscirne? Non che si debba dire: “basta con l’abete!”. Ma almeno cercare di “regolamentarlo”, come si fece allora con il larice! Ci frena ancora la paura l’uno dell’altro? Con un po’ di coraggio, si potrebbe alla fine scoprire ancora una volta che si tratta di paura della propria ombra. Esattamente come accadeva prima di quel fatidico salto. Mettiamo da parte le remore che impediscono di dire come stanno veramente le cose!
Ma diciamole con franchezza!
Altrimenti aveva centomila volte ragione l’amico Resmini nel sostenere, a proposito di considerazioni più o meno analoghe, che non ci si deve illudere perché “i delusi rimarranno chiusi nelle loro delusioni, mentre gli ottimisti (che sono pochi) staranno zitti”. Ciò accadeva una decina di anni fa.
Occorre tenere sempre ben presente che il grado di professionalità di una categoria di operatori economici si valuta dalla capacità di armonizzare l’interesse collettivo.
Non esattamente come fece quel nutrito gruppo di eminenti produttori di cofani che, in procinto di prendere la via dei Balcani, agli avvertimenti che quella via avrebbe potuto portare a un drastico ed ulteriore impoverimento del mercato italiano risposero che quella produzione sarebbe stata destinata all’Europa e non al nostro Paese.
Le intenzioni forse erano buone, ma non altrettanto si può definire il risultato finale! Evidentemente!
Se queste mie punzecchianti, fastidiose (e inutili?) considerazioni dovessero far insorgere il solito male informato, facendogli ripetere che Barbieri potrebbe starsene buono e zitto dal momento che ha chiuso, dico: “Balle! Barbieri è sempre qui!”. “Doppiamente presente”, si potrebbe persino aggiungere. E vuole continuare a dire la sua. Cercando di salvare la pelle e continuando a tenere alta la bandiera che sempre ha sventolato. Rischiando, magari, di diventare l’eterno rompiscatole.
Amerigo Barbieri