- n. 2 - Febbraio 2009
- Psicologia
La relazione medico-paziente
L’evoluzione e la conclusione del “caso Englaro” rischiano di mettere in crisi la relazione medico-paziente con conseguenze imprevedibili su tutte le relazioni d’aiuto. Il medico nel suo ruolo di aiuto è contemporaneamente responsabile di fronte al paziente e di fronte a Natura, Famiglia, Società e Umanità, in quanto entrambi (medico e paziente) non appartengono solo a se stessi.
Il medico, in altri termini, deve rispondere dei suoi atti non solo al paziente che gli chiede aiuto, ma anche alla Scienza di cui è portatore, alla Famiglia, alla Società e all’Umanità, sulle quali in diversa misura e in diverso modo le scelte del paziente e quelle del medico si ripercuotono. Di conseguenza, le risposte del medico all’appello d’aiuto dei propri pazienti sono sempre il risultato di una composizione più o meno “armoniosa” tra la volontà del paziente, le conoscenze scientifiche del momento, la volontà dei familiari, le leggi scritte o non scritte di una certa Società e l’umanità del medico così come si “produce” nella relazione d’aiuto col paziente.
Da quando la famiglia Englaro ha chiesto ai medici che si considerasse non-vita la vita vegetativa di Eluana dopo l’incidente e che si smettesse di curarla e di alimentarla, tanti medici avrebbero trovato il modo di conciliare questa volontà con le conoscenze scientifiche e avrebbero lasciato morire Eluana. Così come, negli altri duemila casi di coma vegetativo persistente in cui i parenti vogliono mantenere la speranza del risveglio, altri medici trovano ogni giorno il modo di conciliare la volontà delle famiglie e la scarsa probabilità del risveglio. Purtroppo, però, la famiglia Englaro ha voluto affrontare il problema in termini di “diritto” a morire, rendendo più difficile per i medici la conciliazione dei fattori in campo, a causa dell’inevitabile clamore mediatico che la vicenda ha via via acquistato. La volontà (in quanto tale) del paziente si pone di fronte al medico come un “diritto” ad essere rispettata, imponendo al medico un’unica alternativa: identificare il suo “dovere” con la volontà del paziente!
Il medico deve naturalmente essere educato a rispettare la volontà del paziente, ma è proprio perché gli si lascia una certa libertà nel comporre i fattori in campo che egli può riuscire in tantissimi casi nel difficile compito di seguire la volontà del paziente e contemporaneamente di limitarla, tenendo conto delle conseguenze scientifiche, sociali e umane di questa volontà.
Esattamente il contrario di ciò che è accaduto nel caso Englaro, un caso politico in cui i medici hanno aspettato istruzioni o sono stati costretti a schierarsi politicamente, giocando sul conflitto tra la Famiglia che interpreta e difende la volontà del paziente e la Società italiana che ha eletto governanti che non accettano di considerare legittimo il diritto a morire. Conflitto aggravato dallo svolgersi nel contesto di un umanesimo in crisi che non riesce a stabilire se sia più umano lasciar morire un essere vivente che non ha una vita piena (vegetativa in questo caso) o se sia più umano continuare ad alimentare un paziente in coma vegetativo persistente solo perché si continua ad amarlo come prima.
Francesco Campione