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Quando l'impresa passa ai figli

Cosa intendiamo con l'espressione "passaggio generazionale"? Perché è importante programmare con un buon anticipo la successione di una azienda di padre in figlio? Qual è la metodologia da seguire affinchè l'operazione vada a buon fine garantendo stabilità e continuità?

L’Italia, è noto, è la patria delle piccole medie imprese, la maggior parte a conduzione familiare. Lo conferma anche l’ultimo rapporto dell’Osservatorio Aub promosso da Aidaf (Associazione italiana delle aziende familiari) secondo cui il 70% delle aziende con un fatturato tra i 20 e i 50 milioni di euro e ben il 59% delle imprese che superano i 50 milioni sono di stampo familiare. Va da sé che la quasi totalità delle società con fatturati inferiori ai 20 milioni sono parimenti gestite da famiglie. Sempre secondo questo studio risulta che alla guida del 25% di queste imprese vi è un leader che ha oltrepassato i 70 anni di età. Di conseguenza nei prossimi cinque anni almeno un’azienda su cinque dovrà affrontare il ricambio dei propri vertici.

Il passaggio generazionale è una fase assai delicata della vita di una impresa, tanto che le statistiche dimostrano che solo nel 30% dei casi ciò avviene con successo e solamente il 13% delle aziende arriva alla terza generazione. Nelle situazioni di insuccesso sono purtroppo frequenti i casi di dismissione dell’azienda stessa con tutte le nefaste conseguenze che vanno dalla perdita di posti di lavoro alla dispersione di preziosi bagagli di conoscenze, nonché alla scomparsa di importanti punti di riferimento nel tessuto sociale della comunità.

Per evitare esiti rovinosi è necessario che il trasferimento del know-how e delle competenze manageriali agli eredi venga pianificato con cura e metodo. In questo modo non solo verrà assicurata la continuità dell’impresa, ma si apriranno anche significative opportunità di sviluppo grazie all’apporto di nuove idee e alla padronanza delle tecnologie digitali proprie delle giovani generazioni.
Durante questo complesso percorso molti sono gli elementi di criticità che si possono riscontrare da entrambe le parti. Il titolare, che quasi sempre coincide anche con la figura del fondatore, ha la tendenza a percepire l’azienda come una sua creazione basata sulla sua filosofia e sui suoi valori e a cui ha impresso strategie operative proprie. Pertanto è spesso restio ad accogliere visioni differenti e cambiamenti delle metodologie di lavoro. Non solo, per un “patriarca” non è sempre facile accettare di fare un passo indietro e accontentarsi di occupare posizioni defilate o di cedere completamente il comando. D’altra parte figli o nipoti non sempre si trovano in questa situazione per scelta, capita a volte che abbiano acconsentito di entrare in azienda perché incapaci di sottrarsi alle aspettative della famiglia. Può essere anche che non ne abbiano la predisposizione o le capacità e in questo caso è opportuno che si indirizzino verso altre strade.
Gli aspetti psicologici non sono quindi da sottovalutare, come non sono da trascurare eventuali elementi di conflittualità a livello di relazioni familiari. Il punto di partenza in questo processo che può durare anche molti anni, sarà proprio quello di imparare a separare il lavoro e gli affari dalla vita privata ed affettiva.

Sia sulla generazione uscente che su quella entrante grava la responsabilità del cambiamento ed entrambe sono chiamate ad un lavoro sinergico che attraverso l’analisi delle caratteristiche dell’impresa, delle personalità, delle attitudini e delle visioni dei principali attori, porti alla costruzione di un piano d’azione che giunga, attraverso step intermedi, ad obiettivi condivisi. Si deve essere in grado di creare un clima costruttivo anche sotto il profilo emozionale: solo se l’imprenditore si sentirà coinvolto nel suo nuovo ruolo e i giovani saranno considerati nelle loro aspirazioni si instaureranno le premesse per un’alta probabilità di successo. Per poter contare su un risultato positivo, a volte, può essere opportuno ricorrere all’aiuto di un consulente esterno, una figura super partes che potrà facilitare il dialogo, stendere un programma ragionato di lavoro, verificarne i risultati periodici e smussare eventuali attriti.

Al contrario, la mancanza di una pianificazione rende il momento della successione potenzialmente molto critico, con tensioni che si ripercuoterebbero inevitabilmente anche sui dipendenti e collaboratori che vengono a perdere punti di riferimento sicuri e si vedono costretti a subire cambiamenti repentini, spesso radicali, che, come abbiamo visto, possono determinare anche il fallimento dell’azienda.
È bene quindi prevedere e preparare per tempo il passaggio delle consegne perché tutto avvenga nel modo più fluido e naturale possibile e garantire così un futuro certo alla propria impresa.
 
Raffaella Segantin


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