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Nuovi progetti di Case Funerarie

Qualità dell’atmosfera ed efficienza degli aspetti funzionali

La realtà del morire e quella del soffrire accompagnano l’uomo fin dal principio. Negli ultimi due secoli, tuttavia, nei paesi più avanzati la sensibilità delle persone nei confronti del tema si è come anestetizzata. La crescita del benessere e le sempre più avanzate scoperte della medicina hanno prodotto un aumento dell’aspettativa di vita, riducendo drasticamente l’esperienza della morte. L’immagine dell’uomo moderno, nel fiore dell’età e della bellezza diffusa continuamente dai media, l’hanno occultata e confinata in uno spazio quasi marginale. La stessa parola “morte”, utilizzata nel suo significato più profondo, è diventata qualcosa di sconveniente, sempre più spesso sostituita con perifrasi o lasciata alla mercé dei media o della finzione come oggetto di un riuscito romanzo giallo. Tuttavia l’argomento merita una attenzione particolare ed è degno di essere trattato con interesse da più punti di vista. Quello dell’architettura è uno di questi. La proposta di riflessione per un gruppo di giovani universitari può sembrare quanto meno stravagante, ma d’altra parte è ben evidente che proprio la morte ed il lutto sono state sin dalle origini una ispirazione al costruire umano, in taluni casi per distinguere il recinto sacro dei defunti, in altri per eternarne la memoria con un edificio che sembrasse sfuggire alla caducità. Nel nostro tempo, tuttavia, l’obiettivo da raggiungere appare diverso e tutt’altro che semplice: si tratta di pensare a spazi nuovi, adatti al rito del commiato nella società contemporanea, globale e multietnica, spazi che possano avere un ruolo positivo nei confronti dei dolenti aiutandoli nella elaborazione del lutto. Da un lato, pertanto, è importante concentrarsi da un punto di vista simbolico e semantico, dall’altro subentrano circostanze pratiche che non possono essere eluse; e la qualità globale dell’intervento si gioca anche nell’accordo tra qualità dell’atmosfera garantita ai dolenti e l’efficienza degli aspetti funzionali, celati dietro le quinte del rito. Tali considerazioni segmentano il progetto in due porzioni, l’una a servizio dei dolenti e l’altra dedicata alla preparazione del feretro, in ambedue i casi favorendo la fluidità dello spazio e il suo carattere progressivo verso un percorso. L’area del commiato tende ad isolare un tempo per la maturazione ed uno il un distacco dall’immediatezza del lutto: comprende necessariamente un cammino all’insegna di una separazione prima subita e poi, mano a mano, contemplata.
Il terreno ipotizzato per la Funeral Home di questa esercitazione intensiva è un non specificato lotto nel magma della periferia di una città di medie-grandi dimensioni. Il percorso, oltre a creare uno spazio emotivo, separa anche dal carattere spesso indistinto dei luoghi, di scarsa identità rispetto ai recinti stratificati dei centri storici. Il distacco non avviene in maniera netta, ma progressivamente, passando dal caos del mondo esterno alla quiete di uno spazio interiore, curato nei dettagli e nel preciso carattere degli edifici. La proposta progettuale segue la suggestione del labirinto. Il percorso non è immediatamente chiuso, ma i suoi muri e i suoi confini degradano verso la città secondo una progressiva disgregazione che, nella parte più profonda ed intima, accoglie giardini chiusi riservati alle camere del commiato e, verso la città al contrario, segmenta muri in forma di sedute e una ricca piantumazione.
L’aspetto naturale non è accessorio, è parte integrante del progetto; il verde insegue i percorsi, si arrampica sulle pareti, colora, profuma, rasserena il cammino verso l’ultimo saluto. La misura del costruito è data dall’orizzontalità e gli oggetti, i percorsi e le pareti emergono da una griglia modulare. Il modulo generatore non è quello verticale della persona eretta che scruta l’orizzonte, tradizionale misura del costruito, ma quello piatto dell’ombra distesa sulla terra e rivolta verso il cielo, ossia quella dell’uomo sdraiato o defunto. La misura dell’intervento sono pertanto lastre come di tomba nelle chiese antiche. Queste considerazioni appariranno nella loro chiarezza osservando il complesso dall’alto: una cittadella di ottocento metri quadrati di superficie coperta, con le camere ardenti disposte su un lato del percorso principale e la sala per il commiato dalla parte opposta. Il cammino gravita attorno a una zona di servizio (area ristoro e servizi igienici) prospiciente a una piazza rettangolare. Il sentiero che guida il visitatore è risolto con pavimentazioni differenti. Lastre rettangolari in cemento grigio permettono di orientarsi nello spazio principale, indicando le zone del passaggio fisico, mentre elementi di colore più chiaro ricoprono gli spazi di pertinenza delle camere, indicando l’avvicinarsi all’altro passaggio, quello definitivo. Le camere ardenti presentano ciascuna una anticamera, capace di garantire un opportuno filtro tra esterno ed interno e uno spazio adeguato per i saluti tra i parenti e la tipica dimensione sociale dei funerali. Un piccolo cortile verde di pertinenza è lo sfondo di ciascuna camera, come uno spazio di quiete e di liberazione. I manufatti sono, per il resto, della massima semplicità tecnica e costruttiva. Essi si configurano come scatole addossate le une alle altre, racchiuse da setti in muratura e pannelli in cemento bianco. Le parti vetrate appaiono ampie negli spazi filtro, per garantire un rapporto diretto con l’ambiente, mentre l’illuminazione è garantita solo da fessure in sommità alle pareti nelle camere ardenti cui questi espedienti garantiscono intimità. In tal modo il significato del luogo è evocato dalla penombra, tagliata da sottili lame di luce e dal cielo che si intuisce all’esterno per un sottile pertugio, oltre le chiome degli alberi.
La sala per il commiato, invece, presenta un ingresso zenitale alla luce, individuando quasi una dimensione di ascesa del defunto e quindi una percezione di speranza. È preceduta da uno spazio esterno luminoso e aperto sul quale si affaccia una tettoia come un filtro, sostenuta da una selva di pilastri inclinati, eco di molte cose e metafora di altre, connesse alla non linearità della vita, ai tanti momenti di squilibrio e ad un cammino umano che mantiene la propria verità e che si compie tra gioie e dolori, lontano da ogni perfezione. Di questa obliquità non si vuole proporre una visione pacificata o edulcorata. Al contrario si dimostra che essa è in grado di conformare uno spazio e di configurarlo ad una sua disordinata bellezza. L’interno della camera ritorna all’irregolarità della vita e dei suoi accidenti e li manifesta questa volta in un soffitto irregolare, quasi buio vicino all’ingresso e poi sempre più luminoso con l’avvicinarsi al luogo di deposizione del feretro, inquadrato al di sotto di un lucernaio posto in copertura. Il volume della camera è l’unico che emerge in altezza e che si discosta dagli altri per la forma trapezoidale.
Il linguaggio compositivo semplice e modulare, interamente generato a partire da una lastra rettangolare, permette un’adattabilità non indifferente a qualsiasi forma di lotto o ambito urbano. Anche i materiali concorrono a rendere il progetto flessibile e possono mutare con combinazioni capaci di armonizzarsi a qualsiasi contesto naturale e tecnico-costruttivo in relazione a quelli prevalenti nella zona di intervento. Qui essi sono quattro: laterizio, cemento, acciaio, vetro. L’architettura è per il resto costituita da pochi elementi versatili: setti verticali per le pareti e orizzontali per le coperture in una composizione mimetica, capace di adattarsi al contesto, con poco costo e molta flessibilità. Un sistema organico dunque, che può crescere nel tempo con i bisogni dei cittadini e della città come un ordinato giardino in grado di curare sempre più le ferite degradate della periferia e quelle interiori dell’uomo della contemporaneità.


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