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Psicologia del testamento biologico

Molte persone lasciano scritto come vogliono morire temendo di non poter esprimere appieno la propria volontà al momento della morte e di non avere, di conseguenza, una “buona morte”. Si tratta di una variante del “testamento” che da sempre rappresenta il tentativo dell’uomo di “contare” dopo morto, decidendo della destinazione del proprio patrimonio, del proprio corpo e talvolta anche della propria anima. Il testamento è tanto più legittimo quanto più si ritiene che ciò che si lascia appartiene in modo esclusivo e continua ad appartenere a coloro a cui apparteneva prima della morte.
Ma qualcosa appartiene a qualcuno finché questo qualcuno esiste, e alla sua morte appartiene agli eredi, cioè a coloro che possono dimostrare di avere con il proprietario vincoli di appartenenza. Certo si può lasciare ad estranei ciò che ci appartiene, ma il testamento può sempre essere impugnato da coloro che ritengono di avere diritti derivanti da una appartenenza (un figlio, una moglie, un socio, ...). La proprietà privata dei beni può essere, poi, messa in discussione allorché si dimostri che ciò che appartiene a qualcuno ha effetti su qualcun altro influenzandone l’esistenza. Il diritto di disporre di ciò che appartiene a qualcuno in modo esclusivo è assoluto solo quando il “bene” in questione (per i “mali” non vale, dato che nessuno accampa diritti su di essi) appartiene in modo esclusivo. Vi sono però beni che appartengono a tutti e qualcuno li ha “usurpati”, o che appartengono in modo esclusivo a qualcuno ma riguardano anche altri quando qualcuno nel godere il bene che gli appartiene fa del male a qualcun altro.
Con tutte queste limitazioni si capisce perché il testamento sia andato sempre più in crisi man mano che ci si è resi conto che il “proprio” di ciascuno è sempre mescolato con ciò che appartiene a tutti, e quindi a nessuno, e con ciò che, pur appartenendo a qualcuno, riguarda anche altri.
Vuoi lasciare il patrimonio ai tuoi figli e devi pagare le tasse allo Stato, vuoi lasciare il patrimonio a chi ti pare e i tuoi familiari impugnano il testamento o altri sostengono che appartiene a tutti. Vuoi farti seppellire o cremare e devi fare i conti con le leggi del tuo tempo, vuoi farti ibernare e devi essere ricco e avere fede nella scienza. Vuoi salvarti l’anima e devi avere fede in qualche divinità. È sempre più evidente che tu fai testamento, ma che il rispetto della tua volontà non dipende dalla stessa, ma dalla volontà di tutti così come si esprime nelle istituzioni, nelle conoscenze e nelle leggi del tuo tempo, o dalla volontà di qualcun altro che la interpreterà a modo suo o secondo i propri interessi.
Ma, nonostante tutto, la volontà individuale di affermarsi non demorde. E il lasciare scritto come si vuole morire ne è una conseguenza.
Si può ritenere illegittima la volontà di morire bene e di lasciar detto cosa significhi solo perché essa dipenderà, anche in questo caso, dalla volontà di tutti o di qualcun altro per affermarsi?
Il “testamento biologico”, come tutti i testamenti, dipende per essere rispettato dalla volontà di tutti gli altri o dalla volontà di qualcun altro? Le direttive anticipate vanno rispettate alla lettera o vanno interpretate contestualizzandole? Si può prevedere cosa potrebbe accadere alla propria morte e prendere posizione lasciando scritto, ad esempio, che non si vorrebbe (o che si vorrebbe) essere tenuti in vita artificialmente se si fosse irreversibilmente in coma. Al tempo stesso, però, resta un certo grado di imprevedibilità su ciò che potrà accadere nelle fasi finali di una vita ed è impossibile per una volontà prendere posizione su ciò che essa ancora ignora.
Il grado di prevedibilità indica in quale misura la decisione anticipata è una scelta consapevole, il grado di imprevedibilità indica in quale misura una decisione anticipata non può mai essere una scelta consapevole. Chi si mette nella prospettiva del grado di prevedibilità del futuro spinge per rendere vincolanti le “direttive anticipate”; chi guarda le cose dalla prospettiva dell’imprevedibilità sostiene che qualsiasi legge sulle direttive anticipate non può essere vincolante per il medico.
Si può uscire da questo dilemma? È il dilemma nel quale si impiglia chi si rende conto che nel voler attuare una propria legittima volontà riguardante qualcosa che gli appartiene (la vita, la morte, il corpo, l’anima, ...) deve tener conto da una parte che ciò che gli appartiene appartiene anche a tutti e a nessuno, e dall’altra che pur appartenendogli riguarda anche altri. Si può uscire da questo dilemma se si intravede la possibilità di non far entrare in conflitto la volontà individuale con le volontà (di tutti o di qualcun altro) di cui essa ha bisogno per esser attuata.
Nel caso specifico del “testamento biologico” questa possibilità di “pacificazione” può essere scorta allorché il morire e la morte di un individuo non vengano considerati come qualcosa che appartiene ad esso in modo esclusivo, ma come qualcosa che appartiene e riguarda tutti e ciascuno. Il soggetto potrebbe intuire che egli è “soggetto” della propria morte in due sensi, nel poter soggettivamente decidere con la propria volontà e nel doverla subire in forme e in modi non individualmente controllabili.
La soluzione del dilemma sta, in sostanza, nella umanizzazione della morte e del morire, nel ripristinare la verità sul fatto che morire non è solo un qualcosa di biologico che riguarda tutti gli esseri di natura, né solo qualcosa di personale che riguarda esclusivamente chi muore, ma qualcosa di umano che riguarda tutti e ciascuno.
In tal senso possiamo stilare solo un certo tipo di testamento biologico, quello che pressappoco suona così: “lascio detto come preferirei morire, poi non posso che affidarmi a chi può attuare la mia volontà rispettandola e interpretandola”.
Per questo motivo non è necessaria una legge che imponga al medico e a chi assiste i morenti di attuare la volontà degli stessi, ma occorrono un medico e una umanità che si assumano la responsabilità di difendere la volontà di colui che ha lasciato detto qualcosa. Paradossalmente è proprio perché nessuno assume questa responsabilità in nome di chi non può farlo in prima persona che ci vuole una legge che, come tutte le leggi, imponga una responsabilità che si potrebbe legittimamente non volersi prendere perché se ne è presa un’altra.
Io, ad esempio, preferisco lasciare detto che mi affido agli altri nel morire piuttosto che imporre loro la mia volontà se non corrisponde (e non sappiamo se corrisponderà) alla loro!
 
Francesco Campione

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