- n. 3 - Marzo 2010
- Fiere
L'esperienza dell'Accademia di Belle Arti di Brera a Tanexpo Design & Ricerca
Promuovere "la vita" della morte
La cultura dell’arte ha indagato e commentato, descritto e interpretato l’esperienza della morte lungo l’intera sua storia, dal patrimonio archeologico all’attività contemporanea, e quindi con le tecniche e con i sistemi iconografici, con i processi linguistico-visivi e con l’intima relazione personale; l’arte ha consegnato attraverso le opere i presupposti e i risultati dell’incontro esperienziale con la morte, dove l’immagine pittorica ed il marmo scolpito, la lastra incisa e la pellicola fotografica, l’istallazione del corpo nello spazio ed un video non sono “contenitori”, non valgono come forme implose, ma come materia viva, palpitante ed animata, estroflessa rispetto alla stessa morte. Ogni nuova opera visiva e dell’arte non è quindi da intendere come realtà ultima, rispondente ad un percorso finalizzato alla “conclusione” di un itinerario terreno e di accompagnamento, ma come valore individuale di ritorno, rete che recupera, ricordo che vive lungo la propria composizione attraverso la stessa rinascita nella fruizione. L’opera d’arte che visita la morte promuove attraverso l’atto di creazione, lungo il percorso intuitivo e l’emozione espressiva, la vita della morte stessa, la sua nascita, il suo stare nello sguardo, nel gesto e nel segno, nel percorrere.
Ogni opera d’arte include il valore della sacralità per sua intrinseca natura processuale e la gran parte di esse contemplano fattori e valori che si pongono ben oltre definizioni tematiche e collocazioni funzionali; così il tema della morte, e il suo sviluppo nei comportamenti del subire direttamente la scomparsa e del vivere l’esperienza della perdita, sono percentualmente inclusi ed estraibili attraverso la mirata istallazione in ogni opera d’arte. Il tema della morte, lo sguardo dell’arte su di essa, è di fatto rintracciabile, recuperabile e riutilizzabile dalla fruizione, inserito nel processo di partecipazione.
Se la storia dell’arte sacra contemporanea si articola sul caleidoscopio espressivo delle opere e si emblematizza su tre specifiche tappe, le “Cappelle” di Henri Matisse del 1947-1951 e di Marc Rotkho del 1965-1966 e la “Chiesa Rossa” di Dan Flavin del 1997, così il “Progetto per il Cimitero di Urbino” di Arnaldo Pomodoro del 1974 rappresenta tutti i valori posti tra la cultura dell’arte e l’esperienza della morte, tra l’azione creativa ed il sistema che vive il passaggio dalla vita alla morte. È da quel tracciato inferto alla crosta di terra, è da quel percorso di discesa congiunto tra il vivo ed il defunto, nel sodalizio che si stringe e si rinnova fin nelle radici del sepolcro collettivo, che i temi della “tomba a terra” e della “cappella di famiglia” devono tornare ad essere osservati. In quel progetto sottratto alla cultura contemporanea della morte sono raccolti ed evidenti i dati dell’esperienza affettiva per condivisione attraverso la percorrenza che non solo accompagna, ma che si rinnova e si ripete in entrata ed in uscita tra vita e morte, insieme lungo la stessa terra e sotto il medesimo cielo, nel tracciato scavato e nella luce, nella severità della materia e nell’energia dell’aria.
Ho chiesto l’estensione del viola “liturgico” come materia cromatica in grado di interpretare la collocazione di opere d’arte, di definire il senso del posizionamento di volumi e di superfici narranti, di indicare il valore dell’istallazione tra stazioni plastico-modulari atte alla riflessione; l’habitat espositivo e della fruizione, la presenza dell’opera e del lettore, hanno come fattore comune il dato del percorso, della costruzione di un tracciato che si articola, animato non da solitudine e separatezza, ma da interferenza e condivisione, da scambio e dialogo. Come ogni elaborato espressivo è frutto di una sensibilità estetica e di grammatiche visive caratterizzate da processi analitici, da sistemi progettuali in cui la sensibilità creativa si muove sperimentale, così la fruizione percorre e collega, rintraccia in autonomia i fili del pensiero nel territorio del “riposo”, ascolta e vede, condivide presenze-assenze affettive. Superfici piane di materia magmatica e sarcofaghi che dialogano silenziosi, pareti di materia luminosa umana e divina, case-dolmen ospitali, architetture ascensionali di luce, architetture dispiegate alla fruizione, architetture che si espandono nella preziosità della bellezza, istallazione di un paesaggio marmoreo frantumato in costante affermazione dell’esistenza del ricordo.
Il tema ampio ed infinito di una “risurrezione” si distribuisce lungo la grande parete di fondo di questo territorio attraversato, così che ogni frammento plastico (dalla tomba all’urna) ed il fruitore nel suo girovagare vedano un ideale paesaggio, riconoscano un nuovo itinerario, una diversa esperienza da compiere. Si aprono come finestre di speranza il “Sepolcro aperto”, la “Risurrezione di materia pittorica” e “Cieli e paesaggi oltre” quali di-svelate superfici di colore e di forma.
Andrea B. Del GuercioDirettore Dipartimento Arti e Antropologia del Sacro
Accademia di Belle Arti di Brera - Milano