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Prepararsi alla morte

Solo una minima parte di italiani programma o lascia per iscritto le proprie volontà in merito al funerale.

Lasciare un testamento è uno dei modi di prepararsi alla morte e pianificare la fine della propria vita, ma non l’unico.

Oltre al testamento, preoccupazione in genere di una esigua minoranza di italiani che hanno patrimoni ingenti da trasferire, è possibile, ad esempio, esprimere le proprie volontà rispetto al trattamento medico da adottare verso se stessi nel caso in cui non si sia più in grado di decidere (il cosiddetto “testamento biologico”), esprimere la propria volontà rispetto alla donazione degli organi, esplicitare le decisioni rispetto a cosa si vorrebbe al proprio funerale o alle modalità della propria sepoltura. La tabella presentata in queste pagine mostra la percentuale di italiani che hanno pianificato una di queste cinque attività di preparazione alla morte, distinguendo tra il periodo precedente e quello successivo allo scoppio della pandemia da Covid-19 che ha sconvolto il Paese.

Se in Italia la trasmissione dell’eredità è regolata dalla legge in modo stringente e la percentuale di chi ha fatto testamento a voce e/o per iscritto è inferiore al 10%, poco più alte sono le percentuali di chi ha pianificato, sia prima sia dopo la pandemia, una delle altre quattro attività prese in considerazione. Intorno al 15% è la quota di italiani che ha espresso le proprie volontà sul trattamento medico nel caso in cui non sia in grado di decidere e ha esplicitato la decisione su cosa vorrebbe o non vorrebbe al proprio funerale. Poco più del 20% sono gli italiani che hanno messo per iscritto o indicato a voce le proprie volontà a proposito della donazione degli organi o delle modalità di sepoltura.

I dati raccolti da ORME (Osservatorio permanete per la Ricerca sulla Morte e le Esequie) mostrano che la pandemia sembra aver scalfito il pensiero della preparazione alla morte, ma non la pianificazione.

Perché dunque la stragrande maggioranza degli italiani non pianifica? Dalle oltre 400 interviste confluite nel libro Morire all’italiana. Pratiche, riti, credenze (a cura di A. Colombo, Bologna, Il Mulino, 2022), a cui rimandiamo chi volesse approfondire questo tema, sono emersi tre atteggiamenti prevalenti tra chi non pianifica: quello di chi ha paura della morte, quello di chi nega la morte e quello, infine, di chi riflette sulla finitudine e sulle proprie volontà ma non le comunica per non arrecare disagio ai propri cari.

La motivazione principale del primo atteggiamento - quello che unisce chi mostra di avere paura della morte - è legata al processo di prima socializzazione alla morte, ovvero all’esperienza della morte e alla riflessione sulla finitudine osservabile in ambito familiare. Discutere della morte in famiglia, parlare di chi non c’è più per commemorarne la presenza, recarsi al cimitero per ricordare o visitare i propri cari, partecipare a un funerale, avere esperienza diretta di un lutto in ambito familiare, sono alcune delle esperienze vissute fin dall’infanzia che influiscono sugli atteggiamenti e sui comportamenti nei confronti della morte e del morire, e sul pensiero della morte di sé che si costruisce nel tempo. Coloro che allontano da sé il pensiero della fine non di rado hanno vissuto fin da piccoli, e continuano a vivere, la morte come un tabù, un argomento ostico in famiglia, che genera timore e angoscia, proprio perché non affrontato.

Il secondo atteggiamento - quello definibile di negazione della morte - è decisamente radicato tra i più giovani. L’età, ovviamente, è una delle variabili che influenza maggiormente la pianificazione della fine della vita. È ovvio che con l’età cresce anche la disponibilità a pianificare. Tra i più giovani non sono né la paura né il processo di prima socializzazione alla morte ad alimentare l’atteggiamento di negazione. Più semplicemente il pensiero della morte di sé è avvertito come prematuro, lontano, un argomento che non suscita alcun interrogativo pregnante. I giovani che negano la morte spesso non hanno ancora vissuto un’esperienza di lutto in famiglia o di una persona cara e hanno una percezione del tempo schiacciata sul presente.

Il terzo atteggiamento di chi non pianifica è quello di chi riflette sulla morte di sé e matura alcune volontà in merito ma non le condivide con i propri cari. La principale motivazione che induce a non comunicare le proprie volontà riflette l’esigenza di non far pesare le proprie decisioni, soprattutto quando si pensa che tali decisioni potrebbero provocare disagio, imbarazzo e in alcuni casi anche disapprovazione. Tale atteggiamento si riscontra soprattutto in persone adulte o anziane, residenti in piccoli comuni, che si dichiarano atee o agnostiche, che vorrebbero optare per la cremazione o per un funerale laico, ma si rassegnano a rispettare le preferenze dei propri familiari: «la scelta è di chi rimane. Sarebbe solo un atto egoistico imporla. Solo chi resta vivrà tale momento; non chi non ci sarà più».

E quei pochi italiani che invece scrivono o comunicano a voce le proprie volontà sulla fine della vita? Chi si prepara dichiara di avere un rapporto sereno con la morte e non fugge dal pensiero della morte di sé principalmente per tre motivi.

Tra chi pianifica c’è chi è stato socializzato in famiglie in cui la morte è stata sempre oggetto di discussione e riflessione. In queste famiglie la partecipazione dei figli ai riti funebri non è mai stata interdetta, nemmeno nell’infanzia; il tema della malattia e della perdita non sono mai stati elusi e la morte viene definita come parte della vita e della natura, una tappa a cui nessuno può sfuggire.

L’accettazione serena della morte che induce a pianificare la fine della vita è collegata anche alla religiosità. Credenti e praticanti risultano maggiormente preparati al pensiero della morte di sé. Per questi italiani l’accettazione serena della morte ha origine nella fede in una vita ultraterrena, intesa come salvezza e pace eterna, come riavvicinamento alle persone care decedute.

Altri, infine, accettano serenamente paradossalmente la morte per il motivo inverso. Tra chi pianifica ci sono infatti anche atei e agnostici che hanno maturato nel tempo un atteggiamento sereno nei confronti della morte. Come ci ha detto un’intervistata residente nel Centro Italia, che si definisce senz’altro atea e che ha dichiarato a parenti e amici di voler essere cremata: «la morte non è una cosa negativa; è solo una conclusione, perché dopo la morte non c’è niente. Vita e morte sono due innamorati abbracciati l’una all’altra, che vivono in funzione l’una dell’altra».
Risposte alla domanda "Alcune persone lasciano indicazioni su cosa fare in caso di morte improvvisa o malattia terminale, mentre altre non ci hanno mai neppure pensato. Può dirmi se lei ha…", Italia, 2018 N=2.005, 2022 N=1.500, Indagine ORME-Istituto Cattaneo

 
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