- n. 1 - Gennaio 2009
- Monumenti funerari
Alla Certosa di Bologna
Piero Bottoni e il Monumento Ossario ai Partigiani
Costruire luoghi per ricordare impegna da sempre le diverse civiltà che intendono mantenere un profondo legame con il proprio passato. In particolare i luoghi che una collettività dedica alla commemorazione e alla rappresentazione di eventi che ritiene significativi assumono, con il passare del tempo, valore di “documento”.
Tra il 1954 e il 1963 Piero Bottoni, esponente di spicco del Razionalismo in Italia, progetta su incarico di Giuseppe Dozza, il sindaco della Liberazione di Bologna, il complesso del Monumento Ossario ai Partigiani e delle Cappelle Funerarie alla Certosa; interpellato su come intendesse realizzare l’opera, rispose “andando sotto terra con i morti”.
Il monumento, inaugurato il 31 ottobre 1959, è tutto giocato sull’arte del contrappunto, che si interpone tra il linguaggio astratto e semplificato del volume esterno, in cemento armato, e quello figurativo ed espressionistico delle sculture dei partigiani; intercala tra il silenzio della superficie avvolgente e l’enfasi della scritta che corre lungo tutto il colonnato ad indicare che le figure dei partigiani liberi salgono nel cielo della gloria; alterna il chiaro arioso dello spazio fuori terra con il buio delle scale che portano al “mondo dei morti”.
In questa soluzione, dettata dalla specificità del contesto, l’opera trova una dimensione idonea ed armonica: un campo dove le tombe dei partigiani, fucilati di fronte al muro esterno del cimitero, sono state addossate al luogo stesso dell’esecuzione.
L’architetto, creando un “interno senza aperture” (che richiama, ingigantita, la forma di un vaso da lui progettato nel 1927, quando si era da poco laureato), voleva rendere il visitatore partecipe del risorgere di quei morti, analogamente al coro nel teatro greco, quale rappresentazione che l’ossario avrebbe dovuto mettere in scena. Un interno, quello dell’ossario, scavato in parte nella terra, per raccogliere le ossa dei morti, e in parte proiettato fuori, all’aperto.
Una architettura ed una scultura da seguire più dall’interno, standoci dentro, che non osservandola dall’esterno. Da fuori avrebbero dovuto limitarsi a segnalare plasticamente ai visitatori che in quel punto, l’incontro tra i due assi centrali del cimitero, proprio lì, sottoterra, vi era il luogo dove si commemoravano i caduti della guerra partigiana.
Sottoterra, al termine delle scale, in un luogo che diviene via “di raccoglimento”, si trova il sacrario vero e proprio: un ambiente circolare, in penombra, contornato da “custodie” tutte uguali contenenti le ossa dei morti, una vasca d’acqua al centro, il soffitto basso che si apre via via verso l’alto in direzione del cielo a continuare il vaso conico tronco come un gran pozzo di luce, metafora della capacità della memoria di vincere l’oblio e di esaltare nel ricordo dei vivi gli ideali di libertà.
Maria Angela Gelati