Rotastyle

una proposta di sostegno alle persone in lutto:la comunicazione epistolare tramite lettera e/o e-mail

Penuèl: slogarsi un'anca, scrivere, esserci

"Nella difficoltà, chi ti aiuta? Perdere una persona cara, assistere un familiare gravemente malato, restare accanto a chi ti sta lasciando, continuare a vivere dopo la morte di chi ami. Se stai vivendo una di queste realtà, ti può essere d'aiuto parlare o scrivere. Con un volontario o con i gruppi di auto-aiuto puoi riflettere, sfogarti, spiegare, confidarti, liberare le tue emozioni. Lo scambio di lettere tramite posta o e-mail favorisce tutti questi percorsi interiori e aiuta a convivere con il dolore". Questo il testo che promuove, in una brochure, l'innovativo servizio di sostegno psicologico messo in atto dalla ASSOCIAZIONE MARIA BIANCHI. L'intervento del Dottor Nicola Ferrari, che trovate qui di seguito, ci introduce ad una esperienza pilota che riteniamo estremamente valida da un punto di vista sia pratico che scientifico e che continueremo a seguire, in futuro, con particolare interesse.
c.p.
<"Durante quella notte, egli si alzò, prese le due mogli, le due schiave, gli undici figli e fece loro passare il guado dello Iabbòk. Li prese e fece passare loro il torrente e fece passare anche tutti i suoi averi. Giacobbe rimase solo e un uomo lottò con lui fino allo spuntare dell'aurora. Vedendo che non riusciva a vincerlo lo colpì all'articolazione del femore e l'articolazione del femore di Giacobbe si slogò mentre continuava a lottare con lui. Quegli disse: lasciami andare perché arriva l'aurora". (Gen. 32, 23-26) Mi capisci? C'è questo tizio che è alle strette, con l'esercito incazzatissimo di 400 soldati contro di lui da una parte, comandato tra l'altro da suo fratello, e il fiume dall'altra. È in trappola e lui è un tipo che per tutta la vita ha cercato di cavarsela da solo, in tutte le maniere: si è dimenato, ha tirato pugni e calci, ha scavalcato suo fratello pur di restare a galla. Ma questa volta rimane solo. È fatale: viene il momento in cui rimani solo, tu e il tuo destino, faccia a faccia. Ma poi combatte, ancora, ostinatamente. Guarda che è una lunga lotta, corpo a corpo, che dura da quando cala il sole fino al mattino, quando spunta l'aurora. E l'aurora, in oriente, spunta quasi all'improvviso, a pochissimi istanti di distanza dall'alba e dallo sfolgorare del sole pieno! È una lunga notte di lotta contro uno sconosciuto che alla fine sta quasi per soccombere: lasciami perché me ne devo andare, spunta l'aurora, basta! Certi nemici non si possono vedere, non credi?
Mi sembra quasi che sia stato usato un colpo segreto alla fine, quando l'avversario sta quasi per cedere. Hai presente quei film stupidissimi di karatè, di pugilato e menate simili, quando il buono ne prende tante che sta per perdere e poi scatta il pugno magico intanto che, semi svenuto, si ricorda della mamma morta o della fidanzata che piange? Una cosa del genere. Disarticolazione del femore: un colpo preciso e tac, sei fregato. Una sfiga improvvisa, olio sull'asfalto, nebbia impenetrabile, neuroni impazziti, il forno che perde gas, pallottole vaganti, un qualche cazzo di bacillo. Tac, e sei fregato. Non c'entra se ce l'hai quasi fatta, se resisti con onore, alla fine perdi. Però sai cosa mi piace tantissimo di questa storia? "Spuntava il sole,quando Giacobbe passò Penuèl e zoppicava all'anca". Zoppica ma attraversa Penuèl. Un corpo a corpo sfinente, un colpo magico quando avevi già vinto ma alla fine non perdi, zoppichi. Voglio dire che va avanti, comunque va avanti, con il marchio per tutta la vita ma attraversa. Il fiume è traghettato e mai sarà più come prima.
E allora mi viene da pensare se alla fine non sia così anche per me, e forse pure per te che non hai perduto né moglie incinta né figlia: cioè che la svolta della vita sia "slogarsi un'anca", un evento che non ti permette più di poggiarti su quelle cose in cui hai sempre messo la tua sicurezza e la tua via di scampo. Certo quell'avversario che combatte, l'hai capito vero?, per Giacobbe è Dio, ma a me importa relativamente dargli un nome, identificarlo come realtà soprannaturale, destino, legge fisica o quant'altro. È che finché non sperimenti una lotta dove alla fine devi cedere, lasciare sul campo quello che hai – soldi, carriera, felicità, progetti, le cose che t'interessavano - Nicolino caro, che hai conosciuto? Se zoppichi, se ti sono state tolte le tue armi per difenderti, le migliori che avevi e non hai sbocco da nessuna parte, beh, stai vivendo. La vita vera. Quella che per nessuna ragione al mondo vorresti perdere>>.
Tac. Tac. Tac. Nicolino caro, tac. Mi sono risuonate in testa per una notte intera. E la vita vera, l'anca che fa male, il fiume, l'aurora. Mancavano solo i violini in sottofondo e sarebbe stato perfetto per un film. Però il giorno dopo dovevo rispondere e nessun regista sarebbe venuto ad aiutarmi. Cos'ho da dire, che c'è da elaborare, consigliare, assorbire, stimolare? Che posso aggiungere, dare, offrire?
Mi piace pensare che questa lettera, questo marito all'improvviso trovatosi vedovo e senza figli, sia stato decisivo per la nascita del progetto di accompagnamento psicologico alle persone in lutto tramite la comunicazione epistolare, ma forse non sarebbe rispettoso nei confronti di Riccardo, Asia, Benvenuta, Stefano, Maria.
Come per tutte le notti inquiete che si rispettino, il giorno dopo mal di testa, nervosismo costante, poche idee e ancora più confuse della sera prima. Nessuna pensata geniale, nessun impegno memorabile, nessuna emozione indimenticabile. Solo un desiderio: esserci, privo di memorabili consigli e incancellabili suggerimenti; solo essere lì, al cuore della vita di chi sta perdendo il gusto di vivere e restare. Assolutamente restare.
E per tentare questo, si è reso necessario, quasi automatico, organizzare la ‘presenza' in modo sistematico. Da qui hanno avuto inizio i vari passaggi del percorso che hanno portato all'attivazione del servizio:
1. la formazione di un primo gruppo di operatori disposti ad attivarsi tramite la scrittura (lettere postali e/o e-mail) a sostegno delle persone in lutto;
2. la pubblicizzazione;
3. la gestione e la supervisione in itinere dell'attività.
Si è trattato quindi di realizzare ex-novo una attività continuata e di gruppo che potesse penetrare nell'isolamento che accerchia una persona in lutto: molto frequentemente accade infatti che si è e si viene lasciati soli quando chi ha vissuto accanto a noi muore. Un vuoto di amicizie, valori, riferimenti, si crea intorno a chi perde un proprio caro, in maniera prepotente e quasi automatica, proprio nei momenti in cui ci sarebbe più bisogno di sostegno. Per contrastare (!) tutto questo la nostra Associazione, operante dal 1986 accanto ai malati terminali, si era già attivata tramite gruppi di mutuo/auto-aiuto interni e presso altre realtà socio-sanitarie; ci eravamo però accorti della difficoltà, per molte persone, di essere disponibili e preparate interiormente per vivere percorsi di condivisione comune e/o confronti diretti, tramite queste modalità. Il livello di coinvolgimento personale, le ripercussioni emotive, l'incognita dell'altro sono ostacoli che non di rado impedivano di partecipare, pur riconoscendo il bisogno personale e l'efficacia dell'iniziativa.
L'utilizzo della scrittura apre invece - evidentemente per alcune persone, non per tutte - enormi spazi non solo mentali: "Tutti i dolori sono sopportabili se trasformati in racconto. Davanti al dolore, sentiamo una duplice necessità: raccontare o tacere. Raccontare la propria tragedia, significa farla esistere nella mente di un'altra persona con la speranza di essere capiti, accettati, nonostante la ferita. Significa anche trasformare il proprio trauma in una confidenza che assume quindi un valore relazionale: Sei l'unica persona cui l'ho detto. Una volta condiviso, il trauma subisce una trasformazione emozionale, una metamorfosi (…) Dopo l'angoscia della confessione, orale o scritta, le persone ferite provano spesso una straordinaria serenità: Ecco, questo sono io. Sono così, prendere o lasciare. L'identità dell'autore autobiografico suscita un improvviso sentimento di coerenza e accettazione. Mi sono presentato così come sono: chi mi amerà d'ora in poi, mi amerà per quello che sono, con ciò che ha contribuito a creare la mia identità…prima del mio racconto mi facevo amare per la mia parte socialmente accettabile e lasciavo nell'ombra un altro frammento di me stesso. Con il racconto mi sono presentato facendomi amare per quello che sono, in modo autentico e totale".
Il primo anno di lavoro è stato interamente dedicato a creare i presupposti perché il servizio potesse offrirsi pubblicamente con solide basi; oltre quindi alla formazione iniziale, sono stati creati gli ‘strumenti' minimi necessari: una carta da lettera e una busta specificatamente concepite, la suddivisione dei ruoli all'interno del gruppo, i tempi e le modalità per le riflessioni comuni e la supervisione in itinere. Ufficialmente iniziamo nella primavera 2000: da allora contatti scritti con persone in lutto tramite e-mail e posta, richieste in progressivo aumento, delusioni cocenti, tentativi di allargamento del gruppo, raccolta di fondi per gestire il tutto, scoramenti, momenti di profonda pienezza e tutto ciò che accompagna, inevitabilmente, ciò in cui si crede.
A tutt'oggi, dopo tre anni circa di lavoro, sono emersi con particolare chiarezza alcuni dati:
1. le persone in lutto che inviano spontaneamente lettere per un primo contatto con i volontari hanno già intrapreso una iniziale forma di ricostruzione/elaborazione del vissuto doloroso. In queste lettere infatti si ritrovano presentazioni dettagliate degli avvenimenti successi e frequenti, approfondite considerazioni personali sulle ripercussioni emotive, il vissuto interiore, le implicazioni morali e/o trascendentali. La scrittura diventa così occasione di auto-reinterpretazione personale a prescindere dalle risposte che si possono ricevere alle lettere inviate.
2. Le persone in lutto che ricevono lettere e accettano di iniziare una corrispondenza, nello scrivere trovano inedite occasioni di ripensamento. Chi è disponibile al rapporto epistolare modifica, nel corso delle lettere scritte, emozioni e idee, comunicando, di volta in volta, cambiamenti: l'ansia che caratterizza i primi messaggi sembra diminuire d'intensità; la confusione e il senso di solitudine si affievoliscono; aumentano le reazioni attive (‘fare' qualcosa di concreto) e si riducono i rimpianti, il senso d'abbandono, le relative ripercussioni interiori; i momenti in cui ci si sente in grado di sopportare la situazione sono sempre più frequenti e liberamente espressi.
3. Chi ha scarsa abitudine nello scrivere, vive i primi messaggi che riceve in modo particolarmente intenso e significativo. Lo stupore e il ringraziamento sono sempre presenti nelle prime risposte e, tendenzialmente, nasce il desiderio di approfondire la conoscenza diretta con il volontario (tramite telefono o incontro). Forse, in questi casi, la disaffezione alla scrittura fa vivere questa modalità comunicativa come una possibilità che, nella lieta sorpresa data dalla novità, non è in grado di esprimere e di contenere il vasto mondo intimo legato al doloroso momento che si sta vivendo.
4. La scrittura, per i destinatari del servizio, è mezzo, non fine. È, in altri termini, "occasione per", strumento, opportunità e non giustifica in sé il contatto che si sta instaurando con il volontario. Non ci sono spazi e tempi nella persona in lutto per riflettere su ciò che accade alla sua scrittura (sia nei casi di risposte a lettere ricevute sia di lettere inviate come primo contatto): il desiderio di comunicare non permette di considerare e di porre particolare attenzione alle modalità linguistiche utilizzate (costruzione delle frasi, scelte degli aggettivi, consequenzialità dei pensieri,…).
5. Il rapporto epistolare tramite e-mail presenta varie differenze rispetto a quello ‘carta e penna' per minore attenzione agli aspetti formali della comunicazione; maggiore immediatezza e spontaneità, con conseguenti messaggi meno rielaborati e istintivi (il che comporta, per noi, differenti modalità di gestione della risposta); forte senso di urgenza: il desiderio di esprimersi e di sfogarsi è molto intenso e la richiesta di aiuto (anche se non sempre manifestata) è accorata; il livello culturale del ricevente si intuisce come più elevato rispetto alla media di chi scrive a mano.
A volte lo scambio epistolare è stato il preludio per incontri diretti tra le due vite in contatto, in altre situazioni i messaggi sono proseguiti per mesi senza che ci fosse mai il bisogno, il desiderio o la curiosità di vedersi; ma il ‘dolore di ghiaccio', il ‘peso gelido' che più persone ci esprimono, comunicando il loro vissuto di perdita e annientamento esistenziale, sembra lentamente diluirsi: "solo parlarne, scriverne, urlarlo al mondo aiuta a lenire la mia disperazione. Non voglio farmaci, non sono malata, non voglio strizzacervelli, non sono da curare: pretendo qualcuno che mi capisca, che mi ascolti, che mi inciti. Da qualche parte del mondo deve pur esserci! Imparerò il giapponese, il russo, il dialetto della Mongolia se serve, ma imparerò".
Lettera dopo lettera, e-mail dopo e-mail, la scrittura, diretta a se stessi o all'interlocutore, di getto o accuratamente soppesata, ha contribuito a creare occasioni che facilitano l'elaborazione del lutto: lo stimolo e la possibilità di scrivere quasi impongono una razionalizzazione dell'evento traumatico, necessaria per farsi intendere da chi legge, permettono una libera espressione dei propri vissuti interiori, favoriscono l'ascolto delle parole dell'altro e di tutto ciò che questo implica, agevolano il ricordo - rievocazione della vita passata. Il ghiaccio non scompare, il peso non sparisce, e chi riuscirebbe a farlo d'altronde se non se stessi? Ma un po' di acqua – fredda, non gelida – si impone alla vista: e attraversare Penuèl non sembra più così folle.
 
Nicola Ferrari
"Non piangere cara Mary. Lasciaci piangere per te, ora sei troppo stanca. Non sappiamo quanto è fitto il buio, ma se tu sei in alto mare, forse quando ti diciamo che siamo con te, non avrai tanta paura. Le ondate sono altissime, ma ogni ondata che copre te copre anche noi. Cara Mary, tu non puoi vederci, ma ti siamo proprio accanto. Può esserti di conforto? Con affetto, Emily". da una lettera di Emily Dickinson

per saperne di più

L'ASSOCIAZIONE MARIA BIANCHI, sorta a Suzzara (MN) nel 1986, ha creato una seconda sezione a Mantova nel 1988; nel 1999 è iniziata la formazione per un gruppo di volontari a Mirandola (MN) e nel 2001 a Viadana (MN). L'attività è caratterizzata da: sostegno psicologico ai malati terminali e ai familiari/amici in lutto, formazione al personale curante professionale e volontario, sensibilizzazione dell'opinione pubblica. Tra i vari servizi realizzati segnaliamo: la mediateca specializzata sui temi specifici dell'associazione con libri, video, tesi di laurea, riviste del settore; i gruppi di auto/mutuo aiuto; la consulenza presso Scuole di formazione socio-sanitarie, altre associazioni, personale medico e paramedico; progetti in collaborazione con altre realtà nazionali.

ASSOCIAZIONE MARIA BIANCHI
Volontari per l'assistenza ai malati terminali e alle persone in lutto
Viale Libertà 32, Suzzara (MN)
Telefono: 348-3623379
assmariabianchi@hotmail.com
www.mariabianchi.it

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