- n. 12 - Dicembre 2011
- Cimiteri d'Europa
Alla ricerca di una cultura sempre viva
PASSEGGIANDO NEL CIMITERO DI MONTPARNASSE
Parigi è romantica, artistica, elegante, raffinata, cosmopolita, … L’elenco potrebbe essere ancora lungo, come quello del turista che annota nel proprio taccuino di viaggio i luoghi da visitare e le cose da fare.
Oltre ai rinomati musei e ai monumenti storici, la Ville Lumière offre, a chi è appassionato di arte e di architettura, un insolito e ricco percorso che narra due secoli di storia non solo francese, ma anche europea: i quattro cimiteri monumentali della città (Montmartre a nord, Père Lachaise a est, Montparnasse a sud e Passy al centro) sono ormai entrati nelle guide turistiche al pari del Louvre o del Centre Pompidou, luoghi della memoria che collocano al centro la storia dell’uomo nella sua dimensione individuale in relazione alle pratiche collettive e all’evoluzione della società. La loro regolare dislocazione attorno al perimetro del centro della città fornisce curiose indicazioni. Fino alla fine del XVIII secolo era pratica comune nelle società europee, con qualche differenza tra le diverse nazioni, seppellire i defunti all’interno delle mura cittadine. Era la Chiesa a custodire i propri fedeli anche dopo la morte in luoghi di grande significato e di intensità simbolica: dentro le chiese, nel camposanto recintato adiacente o ai piedi delle murature perimetrali. A metà del Settecento divenne preponderante l’idea che tali sepolture fossero pericolose per l’igiene e la pratica si rivelò un problema di ordine pubblico. A Parigi vennero smantellati i cimiteri cittadini come quello dei Santi Innocenti nel cuore della città vicino a Les Halles, caratterizzato da un’area racchiusa da un recinto porticato nel cui perimetro erano dislocate le tombe eccellenti mentre le sepolture collettive erano disordinatamente ammucchiate nello spazio centrale e, sopra il porticato, si trovavano gli ossari.
L’operazione viene ricordata dagli storici come il simbolico atto di avvio della riforma dei cimiteri. Si inizia a progettare un nuovo luogo di sepoltura romantico, diametralmente opposto al precedente, ovvero un cimitero giardino che trova nel paesaggio naturale (artificialmente costruito) una nuova possibilità di espressione. La morte non è più un fatto oggettivo, ma individuale e l’uomo può trovare conforto in uno spazio gradevole e immerso nella natura. Il Père-Lachaise è sicuramente simbolo di questa epoca e di questa mentalità: rinomato per la sua bellezza monumentale e per le tombe di celebri personaggi lì sepolti, è il prodotto di questa inversione di tendenza avvenuta alle soglie del XIX secolo quando l’amministrazione pubblica parigina acquisì parte di un ampio terreno di Mont-Louis, residenza del Padre Francois d’Aix de La Chaize detto il Père Lachaize, al tempo confessore del re Luigi XIV. La maggior parte dei turisti ama visitarlo, trascurando altri cimiteri costruiti nello stesso periodo attorno alla città come quello storico di Montparnasse che si è rivelato un luogo piacevole e culturalmente appassionante. Il terreno prescelto per la sua progettazione era una altura artificiale nata da una discarica pubblica di pietrisco dove sorgevano tre antiche fattorie appartenenti a istituzioni caritatevoli e un mulino a vento ancora oggi visibile. Con la Rivoluzione francese, i terreni degli ordini religiosi vennero confiscati e a Montparnasse iniziarono ad essere seppelliti i corpi dei poveri che morivano negli ospedali e che nessuno reclamava. All’inizio del XIX secolo, Nicolas Frochot, prefetto del Dipartimento della Senna, acquisì circa dieci ettari di questi terreni per installarvi uno dei tre cimiteri fuori le mura. La prima inumazione ebbe luogo il 25 luglio 1824 e con l’ampliamento del territorio parigino, voluto da Napoleone III nel 1860, il cimitero fu compreso nella città.
All’inizio del Novecento il quartiere di Montparnasse divenne un centro culturale di avanguardia grazie a Modigliani e a Chagall; gli esiliati politici Lenin e Trotsky discussero le loro strategie politiche sorseggiando cognac in uno dei numerosi caffè del quattordicesimo arrondissement e gli americani Hemingway e Miller caratterizzarono la zona con una ricercata atmosfera bohémienne poi interrotta dalle atrocità della guerra Civile Spagnola e dalla Seconda Guerra Mondiale.
Anche se non grande e popolare come Père-Lachaise, il cimitero di Montparnasse è un angolo di storia all’interno di un interessante quartiere nonché uno degli spazi verdi più importanti della città con i suoi 19 ettari e 1.200 alberi, prevalentemente tigli, frassini e conifere. Oggi conta circa 35.000 tombe e accoglie un migliaio di nuove salme l’anno. Giacciono qui le spoglie di molti intellettuali francesi e di celebri personaggi cari alla cultura europea: Charles Baudelaire, Samuel Beckett, Jean-Paul Sartre, Man Ray, Kiki de Montparnasse, Simone de Beauvoir, Guy de Maupassant, Serge Gainsbourg, Alfred Dreyfuss, Gyula Brassaï, Julio Cortázar, Marguerite Duras e Susan Sontag. Scrittori, filosofi, uomini politici, poeti, cantautori, attori e attrici, industriali, editori, fotografi e pittori sono tutti riuniti in un unico luogo deputato a custodire la memoria storica per la collettività.
All’entrata del cimitero viene fornita una piantina per riuscire ad orientarsi fra le vie e per trovare (non è facile) le tombe dei personaggi famosi, quasi fosse una sessione sportiva di orienteering. Io e altri turisti, cartina alla mano, ci sparpagliamo alla ricerca dei personaggi abbinati ai numeri segnati sulla cartina. Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir sono i primi ad accogliermi. Una tomba semplice in pietra, crisantemi gialli e tulipani bianchi. Non traspaiono l’impeto e l’energia di una donna che ha gettato le basi per la rivoluzione femminista con il suo libro Il Secondo Sesso (1949), una intellettuale sempre in prima linea per diverse cause del progresso civile. Non traspare neppure l’attivismo del filosofo esistenzialista Sartre, il compagno di vita al centro del suo ultimo grande lavoro letterario La cerimonia degli addii (1981) in cui la scrittrice ne descrive la morte. Una curiosità: le loro lapidi sono segnate da insolite impronte di baci lasciate da un rossetto rosso.
Continuo il percorso fino a scoprire l’ultima dimora di un cantautore simbolo per il popolo francese. Serge Gainsbourg mi attrae con una tomba ornata da una moltitudine di fiori accostati ad accendini, mozziconi di sigarette, caricature, dediche, testi di canzoni, foto, biglietti della metro parigina. Il cantante, un personaggio eccentrico e carismatico, contraddittorio e discusso per il suo stile di vita, ha segnato profondamente la cultura musicale francese. Chansonnier abile nello spingere il proprio linguaggio musicale e letterario al di là di ogni limite immaginato fino ad allora, scrisse canzoni capaci di durare nel tempo contaminandosi con tutti i generi: dal pop britannico e statunitense al jazz, alle vibrazioni afro-cubane e al reggae. Morì venti anni fa all’età di 63 anni. Proseguo la mia passeggiata ascoltando Gainsbourg cantare: “La mort a pour moi le visage d’une enfant, Au regard transparent, Son corps habile au raffinement de l’amour, Nous prendras pour toujours, Elle m’appelle par mon nom, Quand soudain je perds la raison, Est-ce un malefice…”[La morte ha il viso di un bambino, dallo sguardo trasparente, un corpo abile per le raffinatezze dell’amore, ci prenderà per sempre. Mi chiama per nome, quando all’improvviso perdo la ragione, è un maleficio….].
Trovo finalmente la tomba di Julio Cortázar, scrittore che ha rinnovato la letteratura latinoamericana più di ogni altro. Anche questa, come quella di Gainsbourg e a differenza della compostezza di tutte le altre, spicca per la vivacità delle decorazioni e per l’originalità degli omaggi lasciati dai fans. Francobolli, biglietti della metro e di spettacoli teatrali, foto, lettere, messaggi scritti persino sul marmo, citazioni e testi in spagnolo. Lo slogan “América Latina Libre” e l’immagine della falce e martello richiamano il legame spirituale con Che Guevara. C’è chi gli rende omaggio facendo riferimento alla sua letteratura filosofica e metafisica e al personaggio fantasioso più riuscito dei suoi romanzi: la Maga. Su un post-it giallo Naty scrive: “Una muerte simple, brillante, Argentina te agradece” [Una morte semplice, brillante, l’Argentina ti ringrazia], frase che ci rammenta le circostanze misteriose relative alla sua scomparsa. In una delle tante biografie, l’ex amante e scrittrice uruguayana Cristina Peri Rossi, sostiene che causa della morte sia stata l’Aids e non una leucemia come enuncia la versione ufficiale. Rivoluzionario nel suo pensiero politico, sperimentatore nella sua creazione letteraria, malato di “gigantismo” fisico, è morto nel mistero, come tutte le leggende. La ricchezza di omaggi e di parole trovati sulla sua tomba mi fanno capire che il culto attorno allo scrittore argentino è silenzioso, ma tenace, profondo e contagioso, tanto da poter competere con altre icone pop quali, ad esempio, Jim Morrison, sepolto nell’altro cimitero parigino di Père-Lachaise.
Riprendo il percorso seguendo, questa volta, il filo conduttore della fotografia e trovo due personaggi che hanno fatto la storia del secolo scorso: il fotografo surrealista americano Man Ray e la danzatrice Juliet Browner, sua moglie e musa ispiratrice. La loro tomba reca lo slogan “Together Again” e la coppia si erge su una collinetta, lasciando alle spalle una distesa di lapidi e di croci. “Man Ray”, uomo raggio, è lo pseudonimo di Emmanuel Rudnitzky, fotografo, pittore, creatore di oggetti e di film sperimentali e autore di molte opere divenute vere icone del Novecento come “Le violon d’Ingre” e “Cadeau”. Trovo Baudelaire e Beckett e dopo tre ore di passeggiata, mi accorgo che manca all’appello la tomba di Marguerite Duras. Cammino e mi fanno da eco le parole contenute nei suoi Testi Segreti (1992): “Qui la speranza vive intera, il dolore è radicato nella speranza. A volte mi stupisco di non morire. Quello che mi aiuta a vivere è l’istante, in se stesso, arduo, inafferrabile”. Nel 1996, con un libro di cinquanta pagine intitolato Vieni presto o morte, la scrittrice ottantunenne ormai gravemente malata, annunciò al popolo francese la propria fine. Non riesco a trovare la tomba, ma lascio il cimitero con la convinzione che passeggiare tra questi personaggi che hanno oltrepassato la vita, dignitosamente riuniti in un unico luogo della memoria, mi ha portato pace di spirito e mi ha educato al senso di ciò che va oltre la nostra stessa esistenza, “dove non è più lutto, né dolore, né pianto, ma pace”.
Martina Mandrioli