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PANE E MIELE DURANTE LA VEGLIA

Fin dall'antichità, il banchetto funebre è stato uno dei rituali che ha maggiormente coinvolto nel lutto la collettività.
Occasione di incontro tra parenti ed amici, riuniti nella memoria del defunto, tra sobrietà ed eccessi, è arrivato alle soglie del Novecento ed anche oltre.
La sua diffusione in molte zone d'Italia, soprattutto in Sardegna, ed anche in Europa.

Offerto dalla famiglia del defunto, era uno dei momenti di maggiore partecipazione della comunità al lutto. Se il banchetto funebre rappresentava innanzitutto una forma di onoranza della persona venuta a mancare, rispondeva anche, secondo le credenze, ad un'altra funzione: quella di neutralizzare l'aggressività del morto attraverso la consumazione comune del pasto. La tradizione, di origini antichissime, è passata attraverso i secoli, arrivando, in Italia, fino a ridosso del Novecento. Alle volte è stato anche un modo per ostentare ricchezza da parte della famiglia del defunto. In ogni caso, il banchetto ha avuto un ruolo centrale di aggregazione in tutte le società, borghesi e contadine, aristocratiche e pastorali.
DALL'ANTICHITÀ, TRA FESTE ED ECCESSI
Se nell'antica Grecia il banchetto funebre aveva i caratteri della festa ed era una occasione di incontro tra i parenti che pensavano di parlare così con il defunto, per i Romani era un modo con cui la famiglia si purificava dalle lacrime versate.
Infatti in quella occasione i congiunti abbandonavano le vesti del lutto e talvolta organizzavano anche dei giochi. Il banchetto pagano passò poi nel mondo cristiano. Il cosiddetto refrigerium era molto diffuso: preparare cibi e bevande in occasione dei funerali appariva una cerimonia utile per rinfrancare l'anima.
La Chiesa, che ammetteva l'usanza, si scagliò contro gli eccessi alimentari, soprattutto quando si prese l'abitudine di organizzare i convitti nelle chiese. Così, a Milano, Sant'Ambrogio, nella seconda metà del 300, proibì con fermezza ogni banchetto nelle basiliche; il vescovo di Verona San Zenone, a cavallo tra 300 e 400, accusò coloro che andavano per cimiteri offrendo pranzi ai defunti.

LA GRANDE DIFFUSIONE IN SARDEGNA
La tradizione proseguì nei secoli: in Italia era diffusa ancora nell'Ottocento, soprattutto in Sardegna, dove il banchetto funebre continuava ad essere un rituale molto sentito. Spesso i banchetti erano piuttosto imponenti, per dimostrare la potenza della famiglia e allo stesso tempo glorificare il defunto.
Nell'isola, quando una persona moriva, si uccidevano molti animali: in parte servivano al banchetto, in parte venivano regalati alle famiglie che partecipavano al funerale, in parte venivano dati ai poveri. Erano i parenti più prossimi del defunto a portarli alle persone più bisognose e in cambio chiedevano loro preghiere per il morto.
In provincia di Nuoro, si macellavano mucche, pecore e capre e si invitavano i vicini ad un grande banchetto. Quando i commensali erano sazi, si collocava il defunto su una barella e lo si portava nella cappella più vicina.
In qualche paese, la sera del funerale, la famiglia e i parenti si riunivano attorno al focolare e mangiavano un piatto di maccheroni a suffragio dell'estinto.
A Sassari si credeva che il morto rimanesse in piedi dietro la porta di casa fino a quando non fosse stato imbandito il banchetto in suo onore. In varie zone della provincia, gli eredi dei defunti benestanti, tra l'ottavo e quindicesimo giorno dal decesso, distribuivano nella comunità cinque o più mucche.

Tra i documenti del periodo, si è ritrovata una particolare abitudine dei luoghi: quella di una breve cena seguita da un abbondante banchetto.
Così, la sera precedente il seppellimento, durante la veglia, gli uomini deponevano il morto su un tavolo, in un angolo della stanza, e lo coprivano con un lenzuolo. Poi mangiavano pane e miele, lasciando al defunto una parte della cena. Credevano infatti che, di notte, si ristorasse. Quindi, tra il settimo e il nono giorno dalla morte, le donne facevano bollire enormi caldaie di maccheroni conditi con sugo e formaggio.
Appena pronti, tre, quattro ragazzi andavano in giro per il vicinato, portando ad ogni famiglia un piatto della pietanza. Nessuno rifiutava il dono, che era in memoria del defunto.

L'usanza del banchetto funebre è stata segnalata in alcune zone sarde ancora nei primi vent'anni del Novecento, soprattutto nelle comunità di pastori, dove si macellavano le vacche e si divoravano in assoluto silenzio: i parenti però potevano mangiare solo dopo il seppellimento, mentre i partecipanti si nutrivano dinanzi allo stesso cadavere. Presso i pastori della Gallura, invece, si consumavano le interiora delle bestie uccise: dopo questo pranzo si faceva una preghiera ad alta voce e si distribuivano grossi pezzi di carne.

AL NORD E AL CENTRO, ZUPPE E TAGLIATELLE
Nel resto d'Italia, il banchetto funebre veniva preparato in modo particolare nelle zone centrali e settentrionali.
In Lombardia la famiglia del morto usava offrire il pranzo. Per la Valtellina e la Valcamonica si ricorda, fino al 1930, il consumo di una zuppa di riso cotto nel latte: in alcuni casi questa vivanda veniva mangiata durante il tragitto verso il seppellimento, sulla bara stessa.
In Emilia si mangiavano tagliatelle dopo il funerale, una tradizione molto diffusa soprattutto in molti centri attorno a Rimini. Testimonianze del Piemonte ricordano che nella regione si abbondava con il vino; anche dalle Marche sono arrivate notizie di ricchi banchetti.

IN EUROPA, FORMAGGI E CAFFÈ
Ancora in tempi non troppo lontani, in diverse regioni della Francia, dopo l'inumazione, si preparavano le tavole intorno al cimitero. Al termine del pranzo, il parente più prossimo prendeva il suo bicchiere, ognuno lo imitava e gridava con lui "alla salute del povero morto".
Il giorno dei morti, si faceva un banchetto sulla tomba, a cui si credeva partecipassero gli stessi defunti. In Bretagna la veglia funebre era sempre accompagnata dal pranzo, di solito abbondante e servito dopo la mezzanotte. Credendo che il morto partecipasse, si preparava il posto anche per lui. In alcune comunità attorno alle Alpi, si portava al cimitero un otre di vino.

In alcuni villaggi della Svizzera, ancora nella seconda metà dell'Ottocento, si segnala una veglia particolare: i partecipanti ricevevano dalla famiglia mosto e vino a volontà, che, nelle credenze locali, assicuravano al morto il riposo nella tomba.
Durante la notte, nelle zone vicino a Berna, si preparava la zuppa di piselli con lo speck e il formaggio e ognuno mangiava pane e formaggio in abbondanza: il forno non doveva raffreddarsi e le porte del deposito del formaggio non dovevano essere sprangate.

In Inghilterra, il banchetto si teneva dopo il ritorno dal cimitero. La tavola veniva apparecchiata anche con il posto del defunto: si servivano sidro, caffè, dolci, liquori, pane, formaggio, ma in modo particolare prosciutto. Infatti quest'alimento era considerato indispensabile e se ne metteva da parte uno ogni anno per le eventuali morti. Si beveva in abbondanza, ma il primo bicchiere di vino era bevuto in silenzio in memoria del defunto, del quale venivano ricordate le buone qualità.

In Bulgaria, il funerale terminava con l'allestimento di una tavola presso la tomba o nell'atrio della chiesa. Si mangiava pesce lesso, formaggio e pane, alle volte spalmato di miele.
A capotavola sedeva il più anziano dei parenti, che provvedeva ad incensare il desco. Si credeva che anche l'anima del defunto fosse a tavola: a lei venivano offerti il primo bicchiere di vino e il primo boccone di cibo.

 
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