- n. 2 - Febbraio 2007
- Musica
Un singolare Flauto magico a Torino
Pamina vuol morire
Ma noi stavamo morendo (o quasi) dal ridere.
Quando sentiamo menzionare il
Flauto magico di
Mozart, è normale che per prima cosa ci venga in mente il personaggio di
Papageno, l'uccellatore col suo buffo abito di piume e il suo magico
carillon; ma subito ci sovviene che la fiaba del principe
Tamino (di cui
Papageno è il popolaresco "doppio") e della sua amata
Pamina si converte a un certo punto in una vicenda di iniziazione ad un mondo di nobili ideali di saggezza illuminata, dietro i quali facilmente si intravedono i tratti della filantropia massonica settecentesca.
E ogni rito di iniziazione comporta intrinsecamente, per quanto simbolica e stilizzata, l'idea di un pericolo di morte da affrontare e da superare. "
Colui che percorre questo cammino carico di dolori / sarà purificato attraverso il fuoco, l'aria, l'acqua e la terra; / se egli riesce a dominare il timore della morte, / dalla terra balzerà verso il cielo. / Egli potrà allora essere illuminato, / per potersi completamente dedicare ai misteri di Iside", cantano per esempio gravemente i preposti al rito.
Ecco dunque le prove dell'acqua e del fuoco, che i due giovani dovranno superare (con l'aiuto del flauto magico!) dimostrando di conoscere il valore di un atteggiamento di serena e coraggiosa calma di fronte all'idea della morte: il tutto in un clima rituale, simbolico, per nulla realistico, che esclude, anche nella musica, l'idea di una partecipazione emotiva, sentimentale. Partecipazione emotiva, realismo psicologico che compaiono invece, connessi proprio al tema della morte, in quello che forse è il vertice dell'opera, cioè nella bellissima aria cantata in precedenza da
Pamina quando, ancora ignara della situazione, di fronte al silenzio ritualmente imposto a
Tamino si crede dimenticata ed abbandonata e canta tristemente la sua decisione di ritrovare la serenità togliendosi la vita.
L'aspetto invece per così dire "leggero", popolaresco, comico dell'opera è stato di fatto indubbiamente privilegiato nell'interessante (e controverso) esperimento di messa in scena del
Flauto magico proposto dal
Teatro Regio di
Torino.
Un problema ricorrente negli allestimenti del
Flauto è quello delle lunghe scene parlate in tedesco, per lo più giudicate dai registi (ma la questione è dibattuta) lunghe, noiose e drammaturgicamente deboli; sta di fatto comunque che in genere vengono drasticamente accorciate. L'intera questione è stata ripensata - su commissione del Teatro - da uno scrittore che è anche un musicologo,
Alessandro Baricco, il quale coraggiosamente elimina del tutto il parlato originale e incornicia i "numeri" musicali in una drammaturgia completamente nuova: si rappresenta (per la regia del lituano
Oskaras Korsunovas) una piazza di paese in cui un impresario e i suoi collaboratori preparano, presentano e mettono in scena un
Flauto magico appunto, discutendo accanitamente con un invadente e petulante sindaco; il tutto alla vasta e variopinta presenza dei paesani, con bambini, il prete, tre suore, ragazze graziosamente discinte, barboni e quant'altro. Il tono di questa nuova "cornice" è comico, a volte volutamente farsesco, anche per riprendere quella matrice popolaresca che è certamente uno degli elementi costitutivi del genere cui appartiene il capolavoro mozartiano.
Una parte del cautissimo pubblico torinese, anche atterrito forse dall'indubbia spregiudicatezza dell'esperimento, ha però trovato con qualche comprensibile ragione troppo invasiva la presenza di questo allegro caravanserraglio, in particolare nei momenti in cui è a contatto con il versante serio e "sublime" dell'opera. Le contestazioni che ne sono derivate (soprattutto peraltro durante la "prima", meno o per niente nelle repliche), e le successive discussioni, hanno comunque il torto di mettere in ombra le notevoli qualità dell'esecuzione musicale, affidata alle cure assai fini di un direttore qualificatissimo come Fabio Biondi, e di una buona compagnia di canto nella quale ha particolarmente spiccato la
Pamina di
Rachel Harnisch (e anche quella di
Gemma Bertagnolli nel secondo
cast).
Baricco aveva in effetti dichiarato che desiderava vedere che effetto facesse sentire la commovente aria di
Pamina subito dopo essere morti dal ridere. Proprio morti dal ridere, nonostante l'ingegnosità dei siparietti comici, a dir la verità non eravamo; ma a parte questo va detto che almeno nel caso specifico, anche per la bravura delle interpreti, ancora una volta un inconfondibile accento di verità, musicale e umana, ha risuonato nel canto di
Pamina che stancamente ripete "
allora per me ci sarà pace solo nella morte".
Franco Bergamasco