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Oliviero Toscani. Quando la pubblicità diventa arte

Un ricordo di Oliviero Toscani, geniale provocatore che ha cambiato le regole della comunicazione e della pubblicità.

Lo scorso 13 gennaio ci ha lasciato Oliviero Toscani per una setticemia causata dall’amiloidosi, una malattia rara e incurabile che l’aveva colpito.

Si è spento a 82 anni in un ospedale della provincia toscana, terra dove aveva scelto di vivere oltre quarant’anni fa.

Figlio per così dire d’arte, essendo il padre un noto fotoreporter, Oliviero Toscani nasce a Milano nel febbraio 1942. Pubblica la sua prima foto sul Corriere della Sera, ripresa poi da testate internazionali, a soli 14 anni. È l’immagine che immortala il volto sofferente di Rachele Mussolini, durante la tumulazione del Duce. Il giovane Toscani, che stava solamente accompagnando il padre per un servizio sull’evento, era riuscito a condensare in un unico scatto la drammaticità del momento e della storia d’Italia del Ventennio.
Laureatosi in fotografia e grafica all’Università Delle Arti di Zurigo negli anni ’60, inizia molto presto a lavorare nel campo pubblicitario, distinguendosi fin da subito per la sua irruenza creativa.
Dal primo spot per il cornetto Algida passa rapidamente a collaborare con le riviste di moda e costume più prestigiose a livello internazionale come Elle, Vogue, GQ, Harper's Bazaar, Esquire, Stern, l'Uomo Vogue e Donna e con le maggiori agenzie di comunicazione per cui realizzerà campagne pubblicitarie per grandi marchi del fashion e del design (Valentino, Esprit, Chanel, Robe di Kappa, Fiorucci, Prenatal, Jesus, Artemide, Woolworth, giusto per citarne alcuni) così come pure con istituzioni pubbliche quali il Ministero del Lavoro e il Ministero della Salute.

È stato un personaggio geniale e visionario fortemente controverso e trasgressivo, come testimoniano le sue campagne di comunicazione. Una delle prime, e delle più famose per il clamore suscitato, è stata quella del 1973 che mostrava un primo piano del “lato B” di una modella che indossa succinti pantaloncini del marchio Jesus accompagnati dallo slogan: “Chi mi ama, mi segua”. Intuibile che sia la Chiesa che la politica si dettero subito da fare per censurarla!
 

Inizia nel 1982 il sodalizio con Luciano Benetton, che durerà fino al 2000. Il suo apporto sarà fondamentale nel creare una forte identità aziendale
e nel determinare strategie di comunicazione alternative, contribuendo in modo significativo all’affermazione e alla diffusione del brand United Colors of Benetton nel mondo. Le sue campagne, incentrate su tematiche sociali, sono innovative e dirompenti. Associare un marchio dell’industria della moda ad argomenti delicati e scomodi come il razzismo, la mafia, la malattia, l'omofobia, la guerra o la pena di morte, sembra inammissibile.
Ma è proprio ciò che è accaduto: sui cartelloni pubblicitari, sui manifesti e sulle pagine patinate delle riviste di quegli anni il logo dell’azienda veneta non è più abbinato a morbidi e rassicuranti maglioncini colorati, ma compare su foto di tutt’altro genere, spesso scioccanti. Un marchio di moda diventa un mezzo di promozione di campagne di sensibilizzazione sociale. Una vera e propria rivoluzione.

Affinché il messaggio sia più incisivo, Toscani non esita di avvalersi di immagini potenti, raccapriccianti, emotivamente destabilizzanti, molte delle quali saranno poi considerate autentiche opere d’arte. Sono concepite per scuotere le coscienze, neutralizzare i luoghi comuni, uccidere i pregiudizi, affrontare i tabù; immagini che vengono usate come grimaldelli per sovvertire le regole, scardinare schemi prestabiliti in modo da far scorgere ciò che spesso non si vuole o non si riesce a vedere perché nascosto dalla spessa crosta delle convenzioni.

Oliviero Toscani ha immortalato le modelle e i personaggi più famosi del suo tempo ma sono le immagini che hanno caratterizzato le pubblicità di Benetton a diventare storia.
Foto di punta della collezione autunno/inverno 1990/91 è quella di una coperta che avvolge in un unico abbraccio due donne, una bianca e una di colore, e una bambina dai tratti orientali: la prefetta rappresentazione di una famiglia arcobaleno e multietnica, presentata in tempi in cui non esisteva nemmeno il concetto di una famiglia diversa da quella tradizionale.



È del 1996 l’immagine dei tre cuori ripresi nella loro cruda anatomia, etichettati come “bianco”, “nero” e “giallo”, ma del tutto identici, per sottolineare che le razze sono solo una sovrastruttura culturale che di fatto non esistono perché dentro siamo tutti uguali.
Anche se casto, ha rappresentato un vero scandalo il bacio tra una giovane suora e un altrettanto giovane prete, diventata una delle sue opere più iconiche. Si trattava dell’ennesima provocazione per veicolare un messaggio di amore universale che per la sua forza e la sua bellezza non può essere imbrigliato in alcun ordine sociale o morale.



La carriera di Toscani non è fatta solo di foto. Sono innumerevoli le iniziative da lui dirette: lavori editoriali, libri, programmi televisivi, masterclass, mostre ed esposizioni. Negli anni Novanta, sempre in collaborazione con Benetton, lancia la prima rivista globale Colors, e apre Fabrica, centro internazionale per le arti e la ricerca della comunicazione (tuttora attivo) per offrire ai giovani una opportunità di crescita creativa e di interscambio multiculturale. Nel 2004 crea in Toscana La Sterpaia, un altro centro di ricerca della comunicazione moderna, dove si tengono workshop formativi di alto livello rivolti ad un ristretto numero di giovani talentuosi. Nel 2007 ha dato vita al progetto fotografico e video Razza Umana, incentrato sulle diverse caratteristiche fisiche, somatiche, sociali e culturali dell’umanità. Porta la sua firma anche il progetto Nuovo Paesaggio Italiano, contro il degrado nel nostro Paese.

Le polemiche non l’hanno mai scalfito. Sempre caustico, sarcastico e politicamente scorretto, Toscani non si curava di piacere, perché come ebbe ad affermare “se uno fa una cosa che piace a tutti diventa banale. Così ha tirato sempre dritto per la sua strada, quella della provocazione ad ogni costo, senza preoccuparsi di censure, denunce e critiche più o meno feroci. Non tutti l’hanno capito anche se i suoi lavori sono stati esposti e premiati in tutto il mondo.

È stato un alternativo anche nell’ora della morte. Per suo esplicito volere non si è tenuta alcuna cerimonia pubblica.
Ha lasciato questo mondo indossando una camicia rossa con penne di fagiano infilate nel taschino, jeans e cinturone da cowboy e i suoi tipici occhiali. Nella stanza tanti rami di ulivo, per far entrare un po’ della natura toscana che tanto amava, e le note di Forever young (per sempre giovane) di Bob Dylan, una delle sue canzoni preferite che è un invito a rimanere sempre giovani nel cuore e nella mente per affrontare la vita fino all’ultimo con la curiosità e la leggerezza di un ragazzo. Esattamente come ha vissuto lui.
 
Raffaella Segantin

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