Rotastyle

Sul tema delle case funerarie

Nuove proposte progettuali

Organizzato da Luigi Bartolomei e da Alberto Bortolotti, dal 18 al 21 aprile si è svolto a Montefalco, presso il Monastero Agostiniano di Santa Chiara della Croce, il primo workshop intensivo di Progettazione sul tema di una Casa Funeraria per aree suburbane Italiane, progetto che trae origine dalla convenzione siglata tra il Dipartimento di Architettura e il Centro Studi Oltre ed al quale ho partecipato con alcuni compagni del corso di laurea in Ingegneria Edile-Architettura. È stata una esperienza di estraneazione. Ci siamo condotti fuori dalla città e dall’ordinario per conquistare la distanza della riflessione e per interpretare spazialmente i rapporti che intercorrono tra società contemporanea e morte, tra città e memoria, tra la vita e il commiato.
Strutture assenti nella maggior parte delle realtà urbane italiane, ma oggi sempre più necessarie, le funeral home sono potenzialmente capaci di fornire risposte efficaci e concrete all’evidente mancanza di luoghi decorosi e idonei all’ultimo Saluto e al Ricordo. Il Direttore di Oltre Magazine Carmelo Pezzino, intervenuto presso il workshop, ha saputo illustrare efficacemente staticità e dinamismi della situazione italiana tanto rispetto alle ultime realizzazioni, quanto rispetto agli aspetti normativi. Quattordici partecipanti, suddivisi in quattro gruppi e guidati da due tutor, sono stati invitati a sviluppare progetti preliminari di una Casa Funeraria per la piccola e media impresa italiana, elaborando soluzioni diversificate (da un massimo di 800 mq ad un minimo di 400 mq) sempre contraddistinte da bassi costi di realizzazione e da tecnologie costruttive, pur personalizzabili, all’insegna della semplicità. Nei suoi esiti, il workshop ha fornito quattro progetti, ciascuno dei quali ipotizzato per il contesto periurbano di una città di dimensioni medie, la cui nuova multiculturalità e pluralità confessionale è forse l’aspetto fondamentale da tenere in considerazione in vista di una proposta che sappia declinare la dignità dell’ultimo saluto per ciascuna tradizione religiosa e per le frange sempre più ampie di cittadini atei, agnostici o non credenti.
Comune l’articolazione degli spazi: servizi per ricevere i dolenti nell’immediatezza del lutto, offrendo luoghi adeguati per presentare con dignità e con delicatezza le prestazioni offerte, ambiti di accoglienza e di smistamento prima delle camere del commiato e, alle spalle e indipendenti da queste, le sale per la preparazione tecnica del feretro, riservate agli addetti, ai tecnici e agli uffici dell’impresa. Discretamente, tutti gli esempi prevedono aree ristoro coerenti con la dimensione dell’intervento e con la probabile affluenza. Nel caso delle funeral home di dimensioni maggiori il progetto prevedeva anche la realizzazione di una Sala per il Commiato, pensata come luogo in cui poter celebrare il rito funebre o eseguire commemorazioni, disponibile per diversi culti e liturgie. Le prerogative delle superfici massime utilizzabili sono state la base per fornire una eterogeneità nelle risposte, così da indagare al meglio il maggior numero di aspetti possibili che la materia, ricca quanto complessa, ha offerto.
Estremamente consonanti al tema si sono rivelati le modalità e gli spazi del nostro lavoro, immersi in un luogo protetto, quasi nascosto, in una stanza semplice, con quattro tavoli e affaccio su un hortus a sbalzo sulla vallata, mai statica nel dinamismo dei suoi toni chiaroscurali. Una situazione incredibilmente feconda. Questi luoghi, pensati dalla loro origine per la riflessione dell’essere umano, ci hanno aiutato a poter porre l’accento del nostro percorso progettuale proprio sulla persona ed indirettamente su noi stessi. Per qualche tempo siamo stati “comunità”, nel senso letterale del termine. Trasferiti per quattro giorni nella foresteria del Monastero, abbiamo lasciato il nostro quotidiano per poter meglio riflettere insieme sui temi della Morte, dell’Ultimo Saluto e del Ricordo nella realtà del nostro tempo. Indirettamente siamo stati così invitati a fermarci, a sostare in un luogo che ci è stato aperto nelle regole antiche dell’ospitalità monastica, a rafforzare il nostro radicamento all’argomento e alla terra. All’ombra degli alberi del giardino i visi, i pensieri e i profili dei partecipanti sono divenuti via via più familiari, secondo modalità che solo intense esperienze di condivisione possono offrire.
L’organizzazione della foresteria si è rivelata congeniale alla conquista di una dimensione quotidiana e condivisa, in cui momenti lavorativi intimi si sono uniti ritmicamente ad eventi di riposo corali in cui le opinioni ed i pensieri sono emersi liberamente e con estrema facilità. Su una materia che in Italia vede ancora una bibliografia assai ridotta, e una altrettanto scarsa presenza di effettive realizzazioni, i dialoghi intrattenuti nei momenti di quiete e la condivisione di esperienze e di riflessioni personali nelle pause di ricreazione hanno costituito momenti felici e leggeri, di fondamentale importanza all’acquisizione di una posizione culturale su un tema così estraneo al dibattito quotidiano. Il pranzo e la cena nel refettorio si sono così tramutati in dibattiti sul Ricordo e sulla Memoria; anche la visita ad una cantina locale di Sagrantino è stata occasione per far decantare spunti di qualche ora prima in cui la specificità dei luoghi si è fusa con il nostro pensiero declinandosi in molte sfaccettature, dal bere al mangiare, così intimamente connesse a quelle del vivere e del morire, ai suoi luoghi ed al suo paesaggio.
L’immersione offerta dall’argomento ha corrisposto non solo a quella nel paesaggio, ma anche a quella in sé stessi. Si è scelta la cornice del bosco attorno all’eremo delle carceri per un confronto personale su testi di Leopardi, di Qoelet e di Francesco d’Assisi come strumenti per scandagliare il proprio io e per mettere a sbalzo una posizione personale sulla specifica esperienza progettuale. Le coordinate descritte hanno individuato così situazioni sociali, personali e di immersione paesaggistica estremamente efficaci, offrendo luoghi inediti per discussioni inedite, capaci di introdurre l’esperienza panica del simbolo. Ospiti di forme archetipiche dello spazio costruito, un chiostro, la nostra riflessione si è sporta su temi archetipici dell’esistenza umana, quelli del vivere e del morire, quasi l’astrazione e la stabilità delle forme concedesse di superare la caducità delle cose.
Abbiamo parlato con persone che abitano in perpetuo la densità di questo luogo, confrontandoci con una suora di clausura che rispondeva a domande e ad interrogativi dall’interno del suo mondo, un ritaglio di cielo, rivelandoci una delle tante possibilità con cui l’uomo regola la propria esistenza. Il racconto della sua quotidiana esperienza ci ha fatto riflettere sul tema del recinto, non solo nella sua accezione fisica, ma come declinazione dei concetti di intimità, di protezione e di riparo, elementi la cui discussione è stata fondamentale per la redazione dei progetti. La verticalità nuda della Chiesa di San Paolo Apostolo a Foligno e il modo con cui al suo interno la comunità vive la liturgia, è stata descritta dai sacerdoti quale episodio di eccellenza dell’architettura sacra del nostro tempo di Massimiliano e Doriana Fuksas.
Le Case Funerarie, al pari di temi singolari, fortemente caratterizzati e dalle importanti implicazioni socio-culturali che ne amplificano la complessità, si prestano ad essere sviluppate in esperienze di “ritiro progettuale” e workshop. La ristrettezza degli orizzonti temporali in cui si circoscrive l’iniziativa (quattro giorni, e larga parte delle tre notti tra questi), favorisce la freschezza del gesto e l’aderenza ad elementi di pura intuizione, evitando la banalità e impedendo radicalmente parentele e prossimità tra le proposte. I progetti non potranno che assumere la forma di “diamanti grezzi”, forti ma allo stesso tempo “giovani ed instabili”, che, presentati in modo completo, sapranno innescare una discussione accesa. Discussione, dibattito e confronto che sono presupposti propri dell’attività universitaria e aspetto ineludibile dei suoi esiti, come dimostrerà la Mostra sui risultati di questo laboratorio che si offrirà alla cittadinanza bolognese nella seconda metà del mese di giugno.
 
Fabio Paolini


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